Zefiro
da sudovest
Serafino Gubbio trova un impiego come operatore presso una casa cinematografica. Qui, nascosto dietro la sua macchina da presa conosce vari personaggi, in primis Varia, avventuriera russa, che seduce abbandona e distrugge i suoi amanti, tra cui un amico di Serafino stesso. Si dipanano quindi al di là delle cinepresa intorno al principale personaggio osservato, Varia appunto, altre storie, tra cui l’amore non ricambiato di Serafino stesso per Luisetta, la figlia del suo padrone di casa. Il finale, che ometto per non rovinare il gusto della lettura, è sommamente drammatico.
Bellissimo romanzo di Luigi Pirandello, che racconta, col suo stile piano ma al contempo talvolta ricercatissimo fino al tecnicismo, come si andava, o meglio come lui pensava si andasse prefigurando in quegli anni di crescente meccanizzazione il nostro mondo. Con capacità quasi profetiche peraltro.
Nulla sappiamo di questo Serafino Gubbio, protagonista e voce narrante, non una descrizione fisica, se sia alto o basso o biondo o moro, lui è “una mano che gira la manovella” impassibile e lontano da ciò che riprende, quasi difeso, sospettiamo che non ne reggerebbe l’urto altrimenti, dalla macchina da presa che filtra e scherma la crudezza feroce del vivere e dell’esistere.
Non manca il tema delle maschere ovviamente, tanto caro e strutturale a Pirandello, che noi indossiamo, a volte inconsapevoli, per poter affrontare gli altri ed il mondo. Soffocandoci un po', anzi parecchio.
Altro tema paventato, oggi col senno di poi fa sorridere magari, ma ben rende l’idea di che dibattito, pensieri e dubbi dovessero esserci in quegli anni di ascesa del cinema che introduceva il sonoro, il declino dell’arte ad opera del progresso tecnologico, la diagnosticata deriva del teatro, per esempio, arte superiore, a vantaggio del cinema letto come mera emulazione del reale e sua pallida ombra disincarnata. Riflessione devo dire, mutata mutandis molto attuale. Di più. Non ci si ferma all’arte, ma si va a fondo sulla vita stessa, nei passaggi in cui Serafino amaramente si considera, nel suo ruolo di operatore, come “servo” di una macchina, costretto a tale stato per poter mangiare e vivere
Micidiale il passo in cui Gubbio rivede sua nonna invecchiata e quasi irriconoscibile. La casa dei suoi nonni ed i suoi nonni stessi erano nel suo immaginario lo scrigno dei suoi valori, della sua tranquillità. Ma in questo mondo in corsa dove tutto cambia, nulla è saldo, nulla è per sempre, neanche ciò che abbiamo di più intimo.
Serafino raggiungerà l'agiatezza economica. Ma è solo apparenza. Leggendo questo libro non si hanno dubbi: è la storia di uno sconfitto.
Consigliato: 3,8/5
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"Eravamo già all'entrata del reparto del Positivo: finii d'esser Gubbio e diventai una mano"
"Che mondaccio, signor Gubbio, che mondaccio è questo! che schifo! Ma pajono tutti... che so! Ma perché si dev'essere così? Mascherati! Mascherati! Mascherati! Me lo dica lei! Perché, appena insieme, l'uno di fronte all'altro, diventiamo tutti tanti pagliacci? Scusi, no, anch'io, anch'io; mi ci metto anch'io; tutti! Mascherati! Questo un'aria così; quello un'aria cosà... E dentro siamo diversi! Abbiamo il cuore, dentro, come... come un bambino rincantucciato, offeso, che piange e si vergogna!"
Bellissimo romanzo di Luigi Pirandello, che racconta, col suo stile piano ma al contempo talvolta ricercatissimo fino al tecnicismo, come si andava, o meglio come lui pensava si andasse prefigurando in quegli anni di crescente meccanizzazione il nostro mondo. Con capacità quasi profetiche peraltro.
Nulla sappiamo di questo Serafino Gubbio, protagonista e voce narrante, non una descrizione fisica, se sia alto o basso o biondo o moro, lui è “una mano che gira la manovella” impassibile e lontano da ciò che riprende, quasi difeso, sospettiamo che non ne reggerebbe l’urto altrimenti, dalla macchina da presa che filtra e scherma la crudezza feroce del vivere e dell’esistere.
Non manca il tema delle maschere ovviamente, tanto caro e strutturale a Pirandello, che noi indossiamo, a volte inconsapevoli, per poter affrontare gli altri ed il mondo. Soffocandoci un po', anzi parecchio.
Altro tema paventato, oggi col senno di poi fa sorridere magari, ma ben rende l’idea di che dibattito, pensieri e dubbi dovessero esserci in quegli anni di ascesa del cinema che introduceva il sonoro, il declino dell’arte ad opera del progresso tecnologico, la diagnosticata deriva del teatro, per esempio, arte superiore, a vantaggio del cinema letto come mera emulazione del reale e sua pallida ombra disincarnata. Riflessione devo dire, mutata mutandis molto attuale. Di più. Non ci si ferma all’arte, ma si va a fondo sulla vita stessa, nei passaggi in cui Serafino amaramente si considera, nel suo ruolo di operatore, come “servo” di una macchina, costretto a tale stato per poter mangiare e vivere
Micidiale il passo in cui Gubbio rivede sua nonna invecchiata e quasi irriconoscibile. La casa dei suoi nonni ed i suoi nonni stessi erano nel suo immaginario lo scrigno dei suoi valori, della sua tranquillità. Ma in questo mondo in corsa dove tutto cambia, nulla è saldo, nulla è per sempre, neanche ciò che abbiamo di più intimo.
Serafino raggiungerà l'agiatezza economica. Ma è solo apparenza. Leggendo questo libro non si hanno dubbi: è la storia di uno sconfitto.
Consigliato: 3,8/5
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"Eravamo già all'entrata del reparto del Positivo: finii d'esser Gubbio e diventai una mano"
"Che mondaccio, signor Gubbio, che mondaccio è questo! che schifo! Ma pajono tutti... che so! Ma perché si dev'essere così? Mascherati! Mascherati! Mascherati! Me lo dica lei! Perché, appena insieme, l'uno di fronte all'altro, diventiamo tutti tanti pagliacci? Scusi, no, anch'io, anch'io; mi ci metto anch'io; tutti! Mascherati! Questo un'aria così; quello un'aria cosà... E dentro siamo diversi! Abbiamo il cuore, dentro, come... come un bambino rincantucciato, offeso, che piange e si vergogna!"
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