Prima proposta, Hot
Clochard
Un ringhio al mio passaggio: sguardo fisso
Stravaccato sulla tua lettiera di cartoni
Spalle appoggiate al muro del parcheggio,
Mi “saluti”, immobile, con un sorriso assente
Resti d’una cuffia tibetana, il colore incerto
Le buffe appendici penzolanti al collo
Come elmo spartano delle tue Termopili
Patibolare grugno e guance scavate celano;
Rivendican ribelli sparute ciocche l’aria
Cispose e indecifrabili fessure gli occhi,
D’una lente orfani gli occhiali di John Lennon
Vittima d’una tra tante risse una stanghetta.
Bocca sdentata, tra la folta barba incolta
Lorda testimone ancor dell’ultima tua cena
Mani seminascoste nelle tasche sfondate
Di quello che fu un piumino invernale trendy;
Ampi strappi e non più un consunto Gore-Tex,
Del compito della traspirazione si fan carico.
Tra poco il sole, risentito, caccerà via entrambi:
Te e quell’ombra traditrice, che refrigerio t’offre
Dal legittimo potere di questo afoso agosto
E come parte di quel circo naturale
L’eterno palcoscenico del mondo
Come greggi ovine in transumanza
Rondini viandanti e uccelli migratori
Come nostri preistorici comuni avi
Come fiori di girasole all’Armageddon
Lentamente solleverai il corpo emaciato
Sulle lunghe gambe valghe rinsecchite
Scalzi piedi gonfi, non solo per il sole scuri
Laceri jeans macchiati, sformati e troppo corti
Le spalle ingobbite, claudicando goffo
Faticosamente ti incamminerai, spingendo
Il carrello arrugginito del supermercato
Come fa l’infermo col deambulatore:
Supporti ambedue di un’esistenza,
Frutto rispettivo di scelta e condanna.
La tua merce ti riflette come specchio:
Robe gettate da tutti quegli zombie
Nel globale consumismo omologati
Dopo un breve approccio compulsivo
Rottamando ciò che più lor non serve.
Proprio come con te da che nascesti.
Perché ho l’impressione che sia tu,
A guardare me con compassione?