Ondine
Logopedista nei sogni
Giovedi 17 settembre si inizierà la lettura di "Stella distante" (Estrella distante) di Roberto Bolano.
Leggeranno insieme (in ordine alfabetico):
francesca
Minerva6
Ondine
qweedy
Posto l'incipit:
La prima volta che vidi Carlos Wieder fu nel 1971 o forse nel 1972, quando Salvador Allende era presidente del Cile.
A quei tempi si faceva chiamare Alberto Ruiz-Tagle e ogni tanto frequentava il laboratorio di poesia di Juan Stein, a Concepción, la cosiddetta capitale del Sud. Non posso dire che lo conoscessi bene. Lo vedevo una volta, due volte alla settimana, quando andavo al laboratorio. Non parlava tanto. Io sì. La maggior parte di noi che ci andavamo parlava molto: non soltanto di poesia, ma di politica, di viaggi (che nessuno allora immaginava che sarebbero stati come poi sono stati), di pittura, di architettura, di fotografia, di rivoluzione e lotta armata; la lotta armata che ci avrebbe portato una nuova vita e una nuova epoca, ma che per la maggior parte di noi era un sogno o, più precisamente, la chiave per aprire la porta dei sogni, gli unici per cui valesse la pena vivere. E anche se sapevamo vagamente che i sogni spesso si trasformano in incubi, non ci importava. Avevamo dai diciassette ai ventitré anni (io ne avevo diciotto) e quasi tutti eravamo iscritti alla Facoltà di Lettere, tranne le sorelle Garmendia, che studiavano sociologia e psicologia, e Alberto Ruiz-Tagle, che a quanto aveva detto una volta era autodidatta. Sul fatto di essere autodidatta in Cile nei giorni precedenti il 1973 ci sarebbe molto da dire. Il punto è che non sembrava un autodidatta. Cioè: non sembrava un autodidatta esteriormente. Gli autodidatti, in Cile, nei primi anni Settanta, nella città di Concepción, non si vestivano come si vestiva Ruiz-Tagle. Gli autodidatti erano poveri. Parlava come un autodidatta, questo sì. Parlava come credo che ora parliamo tutti noi, noi che siamo ancora vivi (parlava come se vivesse dentro a una nuvola), ma si vestiva troppo bene per non aver mai messo piede all’università. Non dico che fosse elegante – anche se a modo suo lo era – o che avesse uno stile particolare; i suoi gusti erano eclettici: a volte si presentava in abito e cravatta, altre volte in abbigliamento sportivo, senza disdegnare i blue jeans e le magliette. Comunque si vestisse, qualsiasi cosa Ruiz-Tagle si mettesse era sempre cara, di marca. Insomma, Ruiz-Tagle era elegante e io a quell’epoca non credevo che gli autodidatti cileni, sempre in bilico tra il manicomio e la disperazione, potessero essere eleganti.
Ringrazio qweedy e francesca per aver accolto la mia proposta e ringrazio chiunque vorrà unirsi.
Leggeranno insieme (in ordine alfabetico):
francesca
Minerva6
Ondine
qweedy
Posto l'incipit:
La prima volta che vidi Carlos Wieder fu nel 1971 o forse nel 1972, quando Salvador Allende era presidente del Cile.
A quei tempi si faceva chiamare Alberto Ruiz-Tagle e ogni tanto frequentava il laboratorio di poesia di Juan Stein, a Concepción, la cosiddetta capitale del Sud. Non posso dire che lo conoscessi bene. Lo vedevo una volta, due volte alla settimana, quando andavo al laboratorio. Non parlava tanto. Io sì. La maggior parte di noi che ci andavamo parlava molto: non soltanto di poesia, ma di politica, di viaggi (che nessuno allora immaginava che sarebbero stati come poi sono stati), di pittura, di architettura, di fotografia, di rivoluzione e lotta armata; la lotta armata che ci avrebbe portato una nuova vita e una nuova epoca, ma che per la maggior parte di noi era un sogno o, più precisamente, la chiave per aprire la porta dei sogni, gli unici per cui valesse la pena vivere. E anche se sapevamo vagamente che i sogni spesso si trasformano in incubi, non ci importava. Avevamo dai diciassette ai ventitré anni (io ne avevo diciotto) e quasi tutti eravamo iscritti alla Facoltà di Lettere, tranne le sorelle Garmendia, che studiavano sociologia e psicologia, e Alberto Ruiz-Tagle, che a quanto aveva detto una volta era autodidatta. Sul fatto di essere autodidatta in Cile nei giorni precedenti il 1973 ci sarebbe molto da dire. Il punto è che non sembrava un autodidatta. Cioè: non sembrava un autodidatta esteriormente. Gli autodidatti, in Cile, nei primi anni Settanta, nella città di Concepción, non si vestivano come si vestiva Ruiz-Tagle. Gli autodidatti erano poveri. Parlava come un autodidatta, questo sì. Parlava come credo che ora parliamo tutti noi, noi che siamo ancora vivi (parlava come se vivesse dentro a una nuvola), ma si vestiva troppo bene per non aver mai messo piede all’università. Non dico che fosse elegante – anche se a modo suo lo era – o che avesse uno stile particolare; i suoi gusti erano eclettici: a volte si presentava in abito e cravatta, altre volte in abbigliamento sportivo, senza disdegnare i blue jeans e le magliette. Comunque si vestisse, qualsiasi cosa Ruiz-Tagle si mettesse era sempre cara, di marca. Insomma, Ruiz-Tagle era elegante e io a quell’epoca non credevo che gli autodidatti cileni, sempre in bilico tra il manicomio e la disperazione, potessero essere eleganti.
Ringrazio qweedy e francesca per aver accolto la mia proposta e ringrazio chiunque vorrà unirsi.
Ultima modifica: