Sono un po’ contrastata nel recensire questa lettura.
E leggendo le recensioni fatte finora, mi accorgo che in effetti è un libro che non riscuote commenti unanimi.
Devo ammettere che fino ad un buon terzo della lettura ero veramente scocciata, delusa e annoiata. Trovavo il tutto di una noia e una banalità estrema.
Però poi, non saprei nemmeno dire perché, il libro mi ha preso, i colpi di scena mi hanno interessato e portato ad una lettura sempre più coinvolta.
Finita la lettura rimango perplessa, perché non saprei veramente trovare grandi pregi.
Il primo pregio che mi viene in mente sono le descrizioni di Barcellona. Una Barcellona lontana dall’immagine di città chiassosa e colorata, una Barcellona fredda e gotica, più simile ad una Parigi ottocentesca che ad una vivace città spagnola di mare. La tipicità ispanica più classica viene evocata dai nomi delle strade e dei cibi, con le loro assonanze calde e avvolgenti caratteristiche dello spagnolo.
E questo mix fra la freddezza di una Barcellona in cui incredibilmente nevica, piove e fa freddo in continuazione e i calienti nomi di strade, piazze e cibi mi è piaciuto molto.
Ma mi viene il sospetto che questo sia un pregio dovuto solo al fatto di leggere il libro in una lingua diversa da quella in cui è stato scritto, quindi non so se si può considerare un punto a favore.
Credo comunque che questa Barcellona in bianco e nero volesse essere oltre che il logico sfondo ad una storia un po’ noir anche un rimando al periodo della dittatura franchista, anche se, per come si svolge la vicenda, l’ambientazione storica rimane veramente qualcosa che si può appena apprezzare in controluce nella trama.
Mi è piaciuta l’idea dell’intreccio fra la vita di Carax e quella di Daniel, questo gioco di rimandi fra le vicende dello sfortunato scrittore e il giovane libraio.
I personaggi però sono un po’ bidimensionali, escono poco dal libro, tranne che Firmin che mi è sembrato incredibilmente vivo e ben riuscito.
Insomma, nonostante debba ammettere che è una lettura che da un certo punto in poi è filata via volentieri, non saprei proprio cosa mi rimane e in certi momenti alcune uscite del tipo “sono tuo padre” di Dart Fener in Guerre Stellari, mi hanno divertito in un modo che non credo fosse nell’intento dell’autore.
In conclusione, se si lascia alla lettura un intento di svago leggero e un po’ distratto, questo libro ben si adatta. Ma non appena ci si appresta ad un’analisi un po’ più approfondita del perché e per come, il tutto crolla come un castello di carte.
Francesca