“Delitto e castigo” è, come ci spiega lo stesso Dostoewskij, il racconto dettagliato delle vicende accadute al giovane Raskolnikov, ex studente, ridotto all’indigenza dalla mancanza di denaro e di lavoro, oppresso dall’aura protettiva della madre e della sorella e per di più misantropo. Per uscire dalla sua condizione di uomo ordinario e per elevarsi a quella di uomo straordinario, Raskolnikov decide di uccidere una vecchia usuraia che vive delle altrui sventure. Raskolnikov si prefissa di liberare la società da questo “pidocchio” e di donare il suo oro agli altri, così porta a termine con successo il suo piano delittuoso, uccidento fortuitamente anche la sorella della vecchia, sopraggiunta durante l’omicidio. Da questo momento Raskolnikov vive tra il senso di colpa e la strenua e lucida difesa di sé, tra la misantropia e il bisogno di verità e giustizia anche nei rapporti con chi lo circonda. Dopo un lungo travaglio interiore gli eventi e le riflessioni lo inducono a costituirsi per scontare il suo castigo e la sua condanna.
Creando il personaggio di Raskolnikov, Dostoewskij ha voluto rappresentare la condizione (per nulla inconsueta) di un uomo, un giovane, che si dibatte tra il proprio io che vuole emergere ed affermarsi come straordinario e le rigide convenzioni di una società che lo vorrebbe stretto tra studio, lavoro e famiglia condannandolo all’ordinarietà. Con un incedere a tratti lento ed angosciante ed a tratti guizzante e vivo, l’autore ripercorre il travaglio psicologico, umano e concreto di quest’uomo che mai, fin quasi alla fine del romanzo, si ritiene colpevole: egli ha ucciso la vecchia e sua sorella, ma non vuole che quest’azione si definisca delitto giacché egli ha liberato la società da un peso. E infatti riflette che forse ciò che è considerato sbagliato è solo un fattore estetico: se egli avesse ucciso con le bombe forse sarebbe stato giustificato ed in questo si vede la sua critica alla società ed alla giustizia che punisce lui, uomo “superiore” e non chi fa la guerra. Così Raskolnikov è ossessionato da questi pensieri, da queste idee fisse, intrappolato nella condizione che con l’omicidio lui stesso ha creato, ed oscilla costantemente tra delirio e folle lucidità.
Ma in questo lungo romanzo, uno dei maggiori di Dostoewskij, non c’è solo Raskolnikov: sono tanti i personaggi che in vario modo incidono sulla storia e sulle decisioni del giovane. Ci sono la madre e la sorella, ci sono i due diversi ma entrambi abietti pretendenti di quest’ultima, ci sono gli amici (o presunti tali) di Raskolnikov e poi c’è Sonja, personaggio di infinita dolcezza, con la quale Raskolnikov si confiderà e che arriverà ad amare. E poi c’è un ultimo messaggio che l’autore vuole lasciarci: il libro non si chiude con la condanna di Raskolnikov a scontare il castigo, anzi nelle ultime pagine si avverte chiaramente la possibilità di una rinascita, di una riapertura alla vita, di un passaggio dalla colpa all’espiazione.
Per concludere… Questo è un libro importante che mi è piaciuto molto. Personalmente non riesco ad inserirlo nei miei libri preferiti ed ancora, a lettura ultimata, non me ne spiego la ragione. Resta il fatto che “delitto e castigo” fa parte dei capisaldi della letteratura e dovrebbe starsene lì, nella libreria di ognuno di noi, con i segni visibili delle ore impiegate per leggerlo: è un libro che va vissuto, letto e riaperto a distanza di tempo perché ci sarà sempre qualcosa che ci è sfuggito, una riflessione nuova che non avevamo fatto… è sempre così coi grandi libri, o almeno, io la penso così.
Creando il personaggio di Raskolnikov, Dostoewskij ha voluto rappresentare la condizione (per nulla inconsueta) di un uomo, un giovane, che si dibatte tra il proprio io che vuole emergere ed affermarsi come straordinario e le rigide convenzioni di una società che lo vorrebbe stretto tra studio, lavoro e famiglia condannandolo all’ordinarietà. Con un incedere a tratti lento ed angosciante ed a tratti guizzante e vivo, l’autore ripercorre il travaglio psicologico, umano e concreto di quest’uomo che mai, fin quasi alla fine del romanzo, si ritiene colpevole: egli ha ucciso la vecchia e sua sorella, ma non vuole che quest’azione si definisca delitto giacché egli ha liberato la società da un peso. E infatti riflette che forse ciò che è considerato sbagliato è solo un fattore estetico: se egli avesse ucciso con le bombe forse sarebbe stato giustificato ed in questo si vede la sua critica alla società ed alla giustizia che punisce lui, uomo “superiore” e non chi fa la guerra. Così Raskolnikov è ossessionato da questi pensieri, da queste idee fisse, intrappolato nella condizione che con l’omicidio lui stesso ha creato, ed oscilla costantemente tra delirio e folle lucidità.
Ma in questo lungo romanzo, uno dei maggiori di Dostoewskij, non c’è solo Raskolnikov: sono tanti i personaggi che in vario modo incidono sulla storia e sulle decisioni del giovane. Ci sono la madre e la sorella, ci sono i due diversi ma entrambi abietti pretendenti di quest’ultima, ci sono gli amici (o presunti tali) di Raskolnikov e poi c’è Sonja, personaggio di infinita dolcezza, con la quale Raskolnikov si confiderà e che arriverà ad amare. E poi c’è un ultimo messaggio che l’autore vuole lasciarci: il libro non si chiude con la condanna di Raskolnikov a scontare il castigo, anzi nelle ultime pagine si avverte chiaramente la possibilità di una rinascita, di una riapertura alla vita, di un passaggio dalla colpa all’espiazione.
Per concludere… Questo è un libro importante che mi è piaciuto molto. Personalmente non riesco ad inserirlo nei miei libri preferiti ed ancora, a lettura ultimata, non me ne spiego la ragione. Resta il fatto che “delitto e castigo” fa parte dei capisaldi della letteratura e dovrebbe starsene lì, nella libreria di ognuno di noi, con i segni visibili delle ore impiegate per leggerlo: è un libro che va vissuto, letto e riaperto a distanza di tempo perché ci sarà sempre qualcosa che ci è sfuggito, una riflessione nuova che non avevamo fatto… è sempre così coi grandi libri, o almeno, io la penso così.