Roth, Philip - Pastorale Americana

tetsuya1977

New member
Un libro incredibile. La sua capacità di scrivere è imbarazzante. Mi ha colpito molto la sua immensa bravura nello sviscerare i fatti, che in questo libro non sono poi molti alla fine. Saper cambiare continuamente prospettiva e stato d'animo, questo mi è rimasto.
Forse ho sbagliato a leggerlo per primo tra i romanzi di questo autore, ma comunque è diventato uno dei miei libri preferiti.
 

latuaann

New member
E' un libro molto bello.Che tocca tasti a cui credo ognuno di noi (in particolar modo se genitore) sia molto sensibile.Certo ognuno ha le proprie chiavi di lettura, e certo questo libro non parla solo del rapporto tra genitori e figli,del susseguirsi delle generazioni,del conflitto e della continuità insiti in esso.Parla dell'abisso tra ciò che vorremmo essere e magari (quasi sempre) non siamo,tra ciò che vorremmo il nostro mondo fosse e magari non è.Parla delle tensioni,delle lacerazioni,delle aspirazioni che ogni essere umano porta in sè, e della lotta che deve compiere per districarsi tra le cose (e le persone,e i sentimenti,che proviamo nonostante noi stessi) che ci spingono avanti e quelle che ci spingono contro un muro. E parla della società,della religione,dell'economia,del razzismo..Insomma Roth come sempre nei suoi libri alla fine ci mette un pò di tutto e ognuno di noi sceglie cosa mettere in primo piano.
 

pigreco

Mathematician Member
Che dire? Il libro termina con una domanda e io inizio questo commento con un'altra domanda. Un libro indefinibile che ti cattura sin dalla prima pagina e non ti permette di staccarti da lui. Continui a pensare allo Svedese anche mentre non leggi. L'azione e il ritmo non sono nemmeno particolarmente incalzanti ma la prosa di Roth è talmente fluida che le pagine scorrono quasi automaticamente sotto agli occhi. Avevo letto solo "Lamento di Portnoy" ma qui siamo su un altro livello: le avventure di Portnoy a confronto con questo grande romanzo sembrano quasi un divertissement dell'autore. In "Pastorale Americana" Roth scava a fondo nella psicologia dei personaggi, del protagonista in particolare. Durante la narrazione ci si dimentica quasi che le avventure dello Svedese sono in realtà elucubrazioni mentali di Zuckerman che in qualche modo deve spiegarsi come un mito possa vivere il proprio declino e soprattutto come un mito arrivi al declino. Un consiglio spassionato? Leggetevelo! Prossima tappa con Roth: "Il teatro di Sabbath".
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Ho deciso di leggere questo libro, unanimamente considerato il capolavoro di Roth, dopo essere rimasta molto delusa da La macchia umana (letto dopo aver visto il film che invece mi era piaciuto molto), con tante più aspettative in quanto mi è stato fortemente consigliato...

Ora che l’ho finito, provo delle sensazioni contrastanti. Confermo di non amare in modo particolare lo stile dell’autore, troppo denso di troppe cose... spesso inutilmente ostico...
Però quest'opera, così ricca, così pregna, non mi ha lasciato indifferente. Mi ha emozionato, e l’ha fatto in modo crudo, a volte persino violento, in alcuni punti toccando tasti quasi personali.
Certo non è facile “identificarsi” con lo Svedese e con la sua tragedia familiare (non tutti abbiamo parenti terroristi in famiglia, per fortuna!) ma nella drammatica “straordinarietà” della sua vita, non si riflettono i fallimenti dell’umanità intera, l’infrangersi del sogno universale di una vita serena, normale, contro l’irrazionalità della vita reale, così imprevedibile, incomprensibile, inaccettabile?

Come persona che ha sempre avuto una certa difficoltà ad accettare le proprie sconfitte, ho trovato verosimili e intensi gli sforzi dell Svedese per far quadrare sempre e comunque la propria vita anche quando tutto sembrava sfuggirgli di mano, per cercare di dare un senso anche all'assurdo ... Mi sono identificata nel suo amore spasmodico per il dovere, nel suo bisogno di essere sempre “perfetto”, di non deludere nessuno...

Come mamma, ho trovato sublime l’interrogarsi disperato di un padre che non può accettare la propria estraneità alla tragedia di una figlia perduta... Forse è questo aspetto ciò mi ha colpito di più (probabilmente perchè appunto, essendo mamma, mi sono identificata molto): può un genitore non sentirsi responsabile della sorte dei propri figli? Certo, si mette al mondo una creatura e in quello stesso momento già non ci appartiene più: ma è sufficiente questo per metterci l’anima in pace?

Credo che il motore di quest'opera sia il conflitto irriducibile fra l’irrazionalità della vita, della morte, dei rapporti umani, e il desiderio estremo, disperato, ma mai del tutto spento, di voler trovare un senso nonostante tutto... nonostante a volte sia proprio questo bisogno di razionalità “a tutti i costi” che determina, o se nn altro acuisce, il nostro fallimento, il nostro dolore...
Mi è piaciuto da morire il “focoso” dialogo fra lo Svedese e suo fratello: per un momento ci allontaniamo dal punto di vista dello Svedese per immedesimarci in quello, più crudele e disincantato, ma forse più "realistico", del volitivo Jerry: è il punto in cui ho odiato di più il protagonista, il suo rispetto irragionevole per le regole si trasforma in una colpa che non è più scusabile... ("se ami tua figlia, valla a prendere e portala a casa"...)

Infine c’è un ultimo aspetto, apparentemente secondario, ma che fa da cornice a tutto il romanzo: il rapporto “ambiguo” che intercorre fra la mente creatrice e l’oggetto della sua creazione: in questo caso fra Nathan Zuckerman (alter ego dello stesso Roth) e lo Svedese. Questo libro è uno dei pochi in cui la genesi di un romanzo, e in particolare di un personaggio, è sviscerata in modo esplicito e dettagliato, senza lasciare spazio a false illusioni.
“...nonostante questi e altri sforzi (...) sarei stato pronto a riconoscere che il mio Svedese non era lo Svedese originario.
e poco più avanti “ma se questo significava che avevo immaginato una creatura completamente fanstastica; se questo significava che la mia concezione dello Svedese era più fallace di quella di Jerry (...)... Beh, chi lo sa. Chi può saperlo?
Non è questo un interrogarsi sul significato e sul valore della letteratura, della finzione letteraria? Con una premessa del genere, il resto della storia diventa quasi una metastoria, e ho trovato questo aspetto molto, ma molto interessante.

Per concludere... be’, non sono brava a concludere. É un libro che è stato capace di “darmi”... Quanto e cosa mi abbia dato, ancora non riesco a percepirlo... Forse non leggerò nient’altro di Roth (il suo stile non mi è congeniale) ma sicuramente sono molto, molto contenta di averlo letto.
 
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Des Esseintes

Balivo di Averoigne
Premetto che non ho letto nulla di Roth e che trovo scandaloso si legga questo Roth e non l'altro, quello bravo.. :) "Penitenziagite!" :mrgreen: Ho letto tutti i commenti presenti in questo post e sono perplesso! :D
Possibile che non ci sia una sola persona che abbia spiegato bene di quale sia la trama del romanzo (solo nel primo commento si accenna qualcosa in modo confuso)??? Credo sia l'aspetto fondamentale! Attendo una spiegazione da un'anima pia :D
 

pigreco

Mathematician Member
Premetto che non ho letto nulla di Roth e che trovo scandaloso si legga questo Roth e non l'altro, quello bravo.. :) "Penitenziagite!" :mrgreen: Ho letto tutti i commenti presenti in questo post e sono perplesso! :D
Possibile che non ci sia una sola persona che abbia spiegato bene di quale sia la trama del romanzo (solo nel primo commento si accenna qualcosa in modo confuso)??? Credo sia l'aspetto fondamentale! Attendo una spiegazione da un'anima pia :D

Osservazione numero uno: e se uno i due Roth li legge entrambi perchè in maniera diversissima sono due grandi della letteratura...? :D

Osservazione numero due: hai ragione, non avevo fatto caso a questa particolarità. Credo che il fatto che nessuno parli della trama di questo libro sia un punto a suo favore: in effetti se ripenso a Pastorale Americana non mi viene subito in mente la trama del romanzo, ma la sua incredibile scorrevolezza, le sensazioni forti che esso mi ha lasciato dentro. Per un sunto della trama ci si può benissimo affidare all'apposita pagina di Wikipedia :)
 

white89

InLove Member
Ho deciso di leggere questo libro, unanimamente considerato il capolavoro di Roth, dopo essere rimasta molto delusa da La macchia umana (letto dopo aver visto il film che invece mi era piaciuto molto), con tante più aspettative in quanto mi è stato fortemente consigliato...

Ora che l’ho finito, provo delle sensazioni contrastanti. Confermo di non amare in modo particolare lo stile dell’autore, troppo denso di troppe cose... spesso inutilmente ostico...
Però quest'opera, così ricca, così pregna, non mi ha lasciato indifferente. Mi ha emozionato, e l’ha fatto in modo crudo, a volte persino violento, in alcuni punti toccando tasti quasi personali.
Certo non è facile “identificarsi” con lo Svedese e con la sua tragedia familiare (non tutti abbiamo parenti terroristi in famiglia, per fortuna!) ma nella drammatica “straordinarietà” della sua vita, non si riflettono i fallimenti dell’umanità intera, l’infrangersi del sogno universale di una vita serena, normale, contro l’irrazionalità della vita reale, così imprevedibile, incomprensibile, inaccettabile?

Come persona che ha sempre avuto una certa difficoltà ad accettare le proprie sconfitte, ho trovato verosimili e intensi gli sforzi dell Svedese per far quadrare sempre e comunque la propria vita anche quando tutto sembrava sfuggirgli di mano, per cercare di dare un senso anche all'assurdo ... Mi sono identificata nel suo amore spasmodico per il dovere, nel suo bisogno di essere sempre “perfetto”, di non deludere nessuno...

Come mamma, ho trovato sublime l’interrogarsi disperato di un padre che non può accettare la propria estraneità alla tragedia di una figlia perduta... Forse è questo aspetto ciò mi ha colpito di più (probabilmente perchè appunto, essendo mamma, mi sono identificata molto): può un genitore non sentirsi responsabile della sorte dei propri figli? Certo, si mette al mondo una creatura e in quello stesso momento già non ci appartiene più: ma è sufficiente questo per metterci l’anima in pace?

Credo che il motore di quest'opera sia il conflitto irriducibile fra l’irrazionalità della vita, della morte, dei rapporti umani, e il desiderio estremo, disperato, ma mai del tutto spento, di voler trovare un senso nonostante tutto... nonostante a volte sia proprio questo bisogno di razionalità “a tutti i costi” che determina, o se nn altro acuisce, il nostro fallimento, il nostro dolore...
Mi è piaciuto da morire il “focoso” dialogo fra lo Svedese e suo fratello: per un momento ci allontaniamo dal punto di vista dello Svedese per immedesimarci in quello, più crudele e disincantato, ma forse più "realistico", del volitivo Jerry: è il punto in cui ho odiato di più il protagonista, il suo rispetto irragionevole per le regole si trasforma in una colpa che non è più scusabile... ("se ami tua figlia, valla a prendere e portala a casa"...)

Infine c’è un ultimo aspetto, apparentemente secondario, ma che fa da cornice a tutto il romanzo: il rapporto “ambiguo” che intercorre fra la mente creatrice e l’oggetto della sua creazione: in questo caso fra Nathan Zuckerman (alter ego dello stesso Roth) e lo Svedese. Questo libro è uno dei pochi in cui la genesi di un romanzo, e in particolare di un personaggio, è sviscerata in modo esplicito e dettagliato, senza lasciare spazio a false illusioni.
“...nonostante questi e altri sforzi (...) sarei stato pronto a riconoscere che il mio Svedese non era lo Svedese originario.
e poco più avanti “ma se questo significava che avevo immaginato una creatura completamente fanstastica; se questo significava che la mia concezione dello Svedese era più fallace di quella di Jerry (...)... Beh, chi lo sa. Chi può saperlo?
Non è questo un interrogarsi sul significato e sul valore della letteratura, della finzione letteraria? Con una premessa del genere, il resto della storia diventa quasi una metastoria, e ho trovato questo aspetto molto, ma molto interessante.

Per concludere... be’, non sono brava a concludere. É un libro che è stato capace di “darmi”... Quanto e cosa mi abbia dato, ancora non riesco a percepirlo... Forse non leggerò nient’altro di Roth (il suo stile non mi è congeniale) ma sicuramente sono molto, molto contenta di averlo letto.



Concordo pienamente con te, e ti ringrazio per il bel commento, anche io ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad un grande libro, ma forse il giudizio finale ha risentito un po' della difficoltà incontrata nel confrontarmi con lo stile di Roth (prima lettura); anche se dalla lettura dei commenti vedo che molti di noi non hanno incontrato la stessa difficoltà. Chiedo consiglio a chi è più esperto conoscitore di Roth, perchè non intendo abbandonare definitivamente l'autore.
Forse non è stata la scelta migliore partire da Pastorale Americana? grazie.
 

Grantenca

Well-known member
Come persona che ha sempre avuto una certa difficoltà ad accettare le proprie sconfitte, ho trovato verosimili e intensi gli sforzi dell Svedese per far quadrare sempre e comunque la propria vita anche quando tutto sembrava sfuggirgli di mano, per cercare di dare un senso anche all'assurdo ... Mi sono identificata nel suo amore spasmodico per il dovere, nel suo bisogno di essere sempre “perfetto”, di non deludere nessuno...

Come sempre trovo interessantissime le tue considerazioni: Ho letto altri libri di questo autore, ma questo è qello che più mi ha coinvolto. Il fatto di raccontare la vita di un mito di gioventù, un ricordo perenne di perfezione e grandezza, la cui vita da adulto ha continuato ad inseguire (ed in un cero senso a raggiungere - matrimonio perfetto - successo professionale elevatissimo) questo ideale, e poi la caduta e la distruzione proprio all'interno della famiglia per un fatto del tutto inspiegabile dato lo stile di vita dell "svedese" e che anche l'autore, a mio avviso, lascia al giudizio del lettore: forse colpa dei tempi ma, a mio avviso, forse proprio della "perfezione" di tale padre. Un libro comunque molto bello di un autore tra i migliori (forse al livello di Richard Yates ?) degli scrittori americani moderni.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Concordo pienamente con te, e ti ringrazio per il bel commento, anche io ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad un grande libro, ma forse il giudizio finale ha risentito un po' della difficoltà incontrata nel confrontarmi con lo stile di Roth (prima lettura); anche se dalla lettura dei commenti vedo che molti di noi non hanno incontrato la stessa difficoltà. Chiedo consiglio a chi è più esperto conoscitore di Roth, perchè non intendo abbandonare definitivamente l'autore.
Forse non è stata la scelta migliore partire da Pastorale Americana? grazie.

ti ringrazio (così come Grantenca! :ad:) e mi permetto di risponderti io stessa, visto che alla fine di Philip Roth ho letto tre libri (che non saranno tantissimi, ma sufficienti -credo- a farsi un'idea dell'autore)...
Io credo che Pastorale Americana sia un ottimo inizio: c'è tutto Roth lì dentro. Quello "forte", quello ostico (il suo stile non è facile, lo ribadisco, è molto denso e occorre starci dietro con una certa attenzione se si vuole cogliere tutto) ma anche quello coinvolgente, sconvolgente... insomma: c'è il Roth che non lascia indifferenti.
Se poi -come mi sembra di capire da quel che scrivi- non è che non ti sia piaciuto, ma solo hai avuto un po' di difficoltà, a maggior ragione mi sento di poterti tranquillizzare: leggine un altro, solo così potrai capire se sei o no in sintonia con lui. Io ti consiglierei Il teatro di Sabbath (ma ti avverto: è piuttosto "strong", sia come contenuti sia come linguaggio) ma so che anche Il lamento di Portnoy è molto bello...
Io stessa vorrei leggere altro in futuro, ma temo di restare delusa: è come se, dopo quelli che ho già letto, credo di non poter più provare delle emozioni cos'ì forti, così intense...

In bocca al lupo! :wink:
 

white89

InLove Member
ti ringrazio (così come Grantenca! :ad:) e mi permetto di risponderti io stessa, visto che alla fine di Philip Roth ho letto tre libri (che non saranno tantissimi, ma sufficienti -credo- a farsi un'idea dell'autore)...
Io credo che Pastorale Americana sia un ottimo inizio: c'è tutto Roth lì dentro. Quello "forte", quello ostico (il suo stile non è facile, lo ribadisco, è molto denso e occorre starci dietro con una certa attenzione se si vuole cogliere tutto) ma anche quello coinvolgente, sconvolgente... insomma: c'è il Roth che non lascia indifferenti.
Se poi -come mi sembra di capire da quel che scrivi- non è che non ti sia piaciuto, ma solo hai avuto un po' di difficoltà, a maggior ragione mi sento di poterti tranquillizzare: leggine un altro, solo così potrai capire se sei o no in sintonia con lui. Io ti consiglierei Il teatro di Sabbath (ma ti avverto: è piuttosto "strong", sia come contenuti sia come linguaggio) ma so che anche Il lamento di Portnoy è molto bello...
Io stessa vorrei leggere altro in futuro, ma temo di restare delusa: è come se, dopo quelli che ho già letto, credo di non poter più provare delle emozioni cos'ì forti, così intense...

In bocca al lupo! :wink:

Grazie del consiglio, spero di non lasciar passare troppo tempo prima del prossimo Roth! Ti farò sapere.
 

stellonzola

foolish member
attenzione potrebbe contenere spoiler

Mi è difficile commentare questo libro perché da un lato mi ha colpito molto per gli argomenti che tocca e mi ha costretta a pensare molto a fondo, dall'altro mi è parso eccessivamente ripetitivo e noioso nello stile (ho deciso che i "capolavori" forse non fanno per me).
Qualcuno mi detesterà per quello che stò per dire :ad:, ma ho pensato spesso, mentre lo leggevo: "perché non l'ha scritto Mc Ewan?", mi sarebbe piaciuto vedere se con il suo stile il romanzo sarebbe stato più scorrevole ed accattivante.
I temi trattati sono molto interessanti, ben sviluppati (anche se spesso troppo ripetitivi).
Mi è parso che questo sia un libro che, tra le tante cose, parla degli stereotipi dentro i quali ci ritroviamo chiusi e legati. Il protagonista deve fare i conti con i suoi ruoli: il ragazzo di successo che deve sposare la donna giusta, l'imprenditore con la famiglia perfetta, il padre che non sbaglia mai; la moglie si ritrova chiusa in un personaggio che non ama, quello della ragazza per bene, amata da tutti solo per il suo aspetto e per il suo ruolo di figlia e moglie... e via via tutti i personaggi che incontriamo hanno una facciata che si scontra con la loro vera natura. Qualcuno vince sulla sua maschera, qualcuno ci convive e qualcuno alla fine non si rende nemmeno più conto di cosa sia vero e cosa falso.
Interessante il tema del senso di responsabilità dei genitori nei confronti delle scelte dei figli: l'introspezione infinita di questo padre che cerca di spiegarsi il comportamento della figlia, che cerca di darsene una colpa, o di assolversi, o di giustificarla incolpando qualcun'altro.
Il personaggio che ho preferito è quello del fratello, lo adoravo già nelle prime descrizioni dell'infanzia e mi è parso poi in seguito l'unico vero, con i piedi per terra e capace di vedere gli eventi con distacco e lucidità. (la scena della telefonata nella quale parlano della sorte di Merry è splendida!)
Alcuni fatti non mi sono ben chiari: Il giornalista che racconta la storia in realtà la inventa cercando di ragionare sugli eventi? perché forse mi sono persa qualche dettaglio, ma mi sembrava di capire che né lo svedese né il fratello alla fine gli dicono granché... E poi che ruolo ha nella storia la ragazza riccia che si spoglia davanti a lui? che senso ha avuto inserirla nel racconto? Non capisco chi è e cosa fa... se fosse davvero un' amica di Merry non avrebbe senso che si mettesse a perdere tempo con suo padre, se fosse una pazza e basta non potrebbe conoscere i dettagli della vita della figlia... ho addirittura pensato che forse non esiste e la vede solo lui... tipo "fantasma della pazzia di sua figlia"... :boh: :mrgreen:
Mi hanno annoiato terribilmente le infinite descrizioni di come è cambiata la città, dei libri sul baseball, della storia della famiglia, delle descrizioni ridondanti dei sentimenti di Seymour... Avrei volentieri tagliato qua e là paragrafi interi, lasciando solo quello che mi ha dato molto da pensare.
Per fortuna dopo un po' di tempo lo stile dell'autore, che ti sia piaciuto o meno, rimane solo un'eco (come la colonna sonora dei film) e ti ricordi i temi e le riflessioni, che in questo caso sono ottimi.
Non me ne vogliano gli amanti di Roth se l'ho criticato per il suo stile che molti ritengono geniale, sono io che non sono preparata a sufficienza per apprezzarlo! :HIPP
 

Grantenca

Well-known member
Mi è difficile .
Non me ne vogliano gli amanti di Roth se l'ho criticato per il suo stile che molti ritengono geniale, sono io che non sono preparata a sufficienza per apprezzarlo! :HIPP

Il bello della letteratura è proprio questo!!! Ognuno apprezza lo stile di uno scrittore ( o di un opera) più confacente alla sua visione e apprezzamento dell'arte letteraria. Io ad esempio non sono riuscito a leggere l'ULISSE di Joyce, pur considerando il racconto I MORTI (da gente di Dublino) una delle opere più belle che abbia mai letto.
 

velmez

Active member
Da poco mi sto avvicinando alla letteratura contemporanea statunitense e, forse dovrei leggere qualche altro romanzo prima di dirlo, però mi sto rendendo conto che il denominatore comune di questi autori (tra l'altro quasi tutti ebrei :?) è la continua tendenza all'introspezione fino alla nausea, il bisogno perpetuo di doversi dare delle risposte e di ricercare delle spiegazioni freudiane nei comportamenti e negli sconvolgimenti del loro equilibrio... In una terrà promessa dove tutto è possibile, dove la Stato persegue come primo obiettivo la felicità del suo popolo, quando qualcosa va storto (e succede spesso... :BLABLA) tutti a chiedersi perché, per come, di chi è la colpa?
Mi è piaciuto l'argomento del romanzo, l'ho trovato interessante (non ho capito a che livello fosse autobiografico :?) e la scrittura di Roth è scorrevole... ma è una tortura!! Questo continuo chiedersi perché, rivangare il passato, fatti insignificanti avvenuti che avrebbero potuto sconvolgere così tanto la vita della figlia al punto di trasformarla in una terrorista... mah!
Mi rendo conto che un genitore potrebbe finire in un vortice di questo genere, (anche se da figlia mi verrebbe da rispondere che l'analisi fatta dallo Svedese è sicuramente incompleta, le sue sono solo elucubrazioni di quel che è accaduto, vorrei conoscere quel genitore che conosce intimamente la figlia di 16 anni...), e capisco che alla fine il libro si è concentrato su questo... ma poi cosa succede?
Questo racconto biografico dello Svedese è tutta una montatura dello scrittore oppure sono notizie che ha effettivamente raccolto? e se così fosse, possibile che non poteva farci sapere che fine ha fatto la figlia? e questa fantomatica Rita? o perlomeno poteva almeno spiegarci come è avvenuto poi il passaggio a un cambiamento di vita radicale: nuova moglie e, addirittura tre figli??? Come gli è venuto in mente di fare altri figli? è comprensibile che poi se ne vanti così tanto...
leggerò sicuramente altro :MUCCA
 
Pastorale Americana- Philip Roth
450 inutili pagine.
Suddivise in tre parti:
Paradiso ricordato: le gare di pippatlon al liceo in cui vinceva chi schizzava prima.
La caduta: delirio semionirico in cui ci si confronta con Angela Davis e il '68 americano che successe peraltro nel '64.
Paradiso perduto: i pompini di Linda Lovelace in Gola Profonda.

Inframezzato a tutto cio' l' epopea di una famigia ebrea ( tutti gli altri sono o irlandesi, o italiani, o negri... loro sono "ebrei") che alla terza generazione diventano milionari.
E alla quarta la figlia impazzisce e manda tutto a puttane.
Peccato; un piccolo sforzo e con l' ultimo incrocio poteva venir fuori pure il WASP.ino.

Un po' come nel film "Fragole e sangue".
I bianchi era meglio se lasciavano fare la contestazione ai negri. Che almeno qualche ragione ce l' avevano e loro, i bianchi, non rischiavano di fare la figura dei pirla.

Libro assolutamente inutile.
Patetica enfatizzazione del "terrorismo pacifista" anti guerra del Vietnam, che non ha lasciato alcuna traccia nella storia e neppure nella cronaca.
La "mitica" rivolta di Newark, che a lui e' costata la fabbrichetta, e a noi 200 pagine di tritamento di marroni, non sappiamo che sia e ce ne frega pure una cippa lippa.

Voto 3, naturalmente in serie B.
Qua tra il 2 e 1.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Premetto che non ho letto nulla di Roth e che trovo scandaloso si legga questo Roth e non l'altro, quello bravo.. :) "Penitenziagite!" :mrgreen: Ho letto tutti i commenti presenti in questo post e sono perplesso! :D
Possibile che non ci sia una sola persona che abbia spiegato bene di quale sia la trama del romanzo (solo nel primo commento si accenna qualcosa in modo confuso)??? Credo sia l'aspetto fondamentale! Attendo una spiegazione da un'anima pia :D
Forse non c'è proprio una trama, o meglio quello che si avvicina di più ad una trama è l'intervento di Ayuthaya che è quello che avrei scritto anche io a modo mio se avessi letto il libro in un passato meno remoto.
Quello che mi ha lasciato il romanzo, e che ricordo, è una mezz'ora di riflessione sul casino di una delle tante famiglie americane e questo svedese eroe iniziale di una storia che ho trovato spesso confusa ma con qualche picco geniale.
Aveva vinto il Pulitzer o sbaglio?
Cmq un buon romanzo: dentro, voglio dire, c'è roba buona nella confusione e si fa leggere con piacere sebbene a tratti, ricordo, un po' mi annoiavo.
Leggere l'altro Roth diceva qualcuno? Ma sono diversi. Nel complesso forse, dico forse, preferisco Joseph...
 

Jessamine

Well-known member
Ci ho messo parecchio tempo per riuscire a digerire (e non credo di esserci ancora riuscita) "Pastorale americana". Questo solitamente significa che un libro non mi sia piaciuto moltissimo, ma in questo caso si tratta proprio del contrario: non so da quanto tempo non mi capitava un romanzo talmente bello, talmente denso, duro, incisivo da non permettermi di leggere in maniera troppo spedita, perché ogni pagina, ogni paragrafo aveva bisogno di essere masticato, assimilato, indagato e trattenuto a lungo prima di poter aggiungere nuove parole.
E' già stato detto moltissimo su "Pastorale americana", e io non credo di poter aggiungere molto altro, se non il fatto che sono felicissima che Roth sia uno scrittore così prolifico, perché ora avrei voglia di comprare la sua intera bibliografia e passare tutte le mie ore libere a leggere poche pagine e riflettere molto.
Trovo la scrittura di Roth straordinaria, densissima, è vero, ma perfettamente equilibrata, senza una parola fuori posto (ecco, è per poter leggere prose così senza intermediari che mi piacerebbe padroneggiare perfettamente l'inglese, ma, maledizione, ho ancora troppa strada da fare per poter arrivare ad un traguardo simile), di una precisione chirurgica che quasi inibisce (e mai come in questo caso penso che l'espressione "precisione chirurgica" sia estremamente indovinata: Roth maneggia la sua scrittura con sicurezza e precisione, e la utilizza per sezionare la vita - quella dello Svedese, dell'America, e perché no, dell'umanità).
Fa male, questo romanzo, fa male perché, pur essendo apparentemente distante dalla vita dei molti (l'immensità di certe tragedie, per fortuna, non toccano in prima persona ognuno di noi), in realtà si riduce ad un paradigma, a riflessioni portate all'estremo, certo, ma terribilmente semplici e vicine, alla portata di chiunque. "Pastorale americana" è il paradigma di tutte le speranze, dei sogni, dell'impegno che chiunque può profondere nelle cause più diverse, e dell'irrazionalità della vita, capace di spazzare via ogni impegno con un battito di ciglia. E' un romanzo che si chiude con una domanda, e l'unica risposta possibile, sembra essere che non esistono motivazioni, che le cose accadono, che qualunque cosa si possa fare, la vita non terrà conto dei nostri desideri, del nostro impegno, di quanto di buono abbiamo fatto (o abbiamo creduto di fare), perché non esiste razionalità, non esiste una finalità, non ci sono cause ultime.
"Pastorale americana" è uno di quei romanzi che non possono lasciare indifferenti, nel bene o nel male. Con me certamente non lo ha fatto.
 

Grantenca

Well-known member
E' stupefacente che ci siano pareri così discordanti su questo libro. Capirei pareri discordanti sull'autore, ma su questo libro, che è senza dubbio il migliore che questo prolifico autore abbia scritto, mi ha veramente sorpreso.
Questo però è anche il bello della letteratura; ognuno vede le cose a modo suo.
 

malafi

Well-known member
Ennesimo giudizio controverso che do su un libro.

Forse questi miei alti e bassi nel corso della lettura dei libri dipendono anche dal fatto che leggendo prima di addormentarmi, non sempre ho la lucidità necessaria per seguire i fili dei ragionamenti del romanziere?
O forse è anche perché mi piacciono le cose lineari, non amo flashback e flashforward e in particolare, in questo romanzo, non ho amato il non chiaro passaggio tra la narrazione iniziale in prima persona dello scrittore ed il,resto del romanzo, dove si narrano le vicende dello svedese in terza persona. Chi ha raccontato quelle cose allo ‘scrittore’? Lo svedese, l’amica al ballo? O è sfuggito qualcosa a me?

Per il resto, è un ottimo romanzo, ma, ripeto, intriso di alti e bassi: molto bella ed intensa la prosa di Roth, molto forti i temi, bellissima la cena finale che è la sublimazione della disgregazione della società benpensante americana e dell'impotenza delle famiglie di fronte alle crisi adolescenziali. Ma tanti passaggi a vuoto, o meglio, inutili e noiosi nell’economia del romanzo, me l'hanno reso un po' noioso.

Anche in questo caso un 3/5, come media tra alti e bassi.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Ennesimo giudizio controverso che do su un libro.

Forse questi miei alti e bassi nel corso della lettura dei libri dipendono anche dal fatto che leggendo prima di addormentarmi, non sempre ho la lucidità necessaria per seguire i fili dei ragionamenti del romanziere?
O forse è anche perché mi piacciono le cose lineari, non amo flashback e flashforward e in particolare, in questo romanzo, non ho amato il non chiaro passaggio tra la narrazione iniziale in prima persona dello scrittore ed il,resto del romanzo, dove si narrano le vicende dello svedese in terza persona. Chi ha raccontato quelle cose allo ‘scrittore’? Lo svedese, l’amica al ballo? O è sfuggito qualcosa a me?

Per il resto, è un ottimo romanzo, ma, ripeto, intriso di alti e bassi: molto bella ed intensa la prosa di Roth, molto forti i temi, bellissima la cena finale che è la sublimazione della disgregazione della società benpensante americana e dell'impotenza delle famiglie di fronte alle crisi adolescenziali. Ma tanti passaggi a vuoto, o meglio, inutili e noiosi nell’economia del romanzo, me l'hanno reso un po' noioso.

Anche in questo caso un 3/5, come media tra alti e bassi.
Immaginavo queste tue impressioni circa Pastorale; o forse speravo avresti scritto quanto sopra. Forse perché a grandi linee riflette quanto ho percepito anche io da questo romanzo. O almeno le sensazioni che ricordo, visto che sono passati molti anni da quando l'ho letto.
Ogni volta che si parla di P. Roth mi viene in mente Saul Bellow. E ogni volta mi viene da consigliare di leggere quest'ultimo invece di Roth. Oppure (per carità Pastorale Americana è un libro che nel suo genere va letto, eh) sarà perché io preferisco la roba di P. Roth giovane.
È come ascoltare i Rolling Stones degli ultimi 25 anni e apprezzarli, amarli anche, senza magari conoscere cosa hanno fatto a cavallo fra gli anni '60 e '70. Quelli erano i ruvidi, sporchi Stones del blues e del rock. Ora vestono come gli attori più famosi (forse Keith Richards ancora no)...

Mi sembra che non ci sia più un Philip Roth autentico e che, sebbene Pastorale Americana si possa considerare un libro "vecchio", i vecchi lavori, quelli vecchi davvero, fossero più genuini. Può anche darsi che mi faccia influenzare dalle mie preferenze ma se il nostro si fosse ritirato una decina di libri fa, forse la penserei diversamente.
Il Nobel glielo daranno quando sarà morto. Vedrete. Io speravo lo vincesse alcuni decenni fa per la roba che ha scritto alcuni decenni fa.
Se volete uno scrittore ebreo americano, oggi, nel 2017, leggete Nathan Englander (o, ripeto, i primi lavori di Roth oppure, ancora, il grande Saul Bellow).

Se questo mio intervento circa Pastorale Americana vi sembra troppo negativo, sappiate che gli ho dato un bel 4/5.
 
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