166° MG - Inferno (Divina Commedia) di Dante Alighieri

wolverine

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Canto 13 inferno

Nesso non era ancora arrivato sull'altra sponda (del Flegetonte), quando noi ci incamminammo attraverso un bosco in cui non c'era nessun sentiero.
Le foglie non erano verdi, ma di colore scuro; i rami non erano lisci, ma nodosi e contorti; non c'erano frutti, ma spine velenose.
Quelle belve selvagge che in Maremma, tra Cecina e Corneto, evitano i luoghi abitati, non hanno sterpi così aspri né così intricati.
Qui nidificano le sudicie Arpie, che cacciarono dalle isole Strofadi i Troiani preannunciando loro delle tristi disgrazie.
Esse hanno grandi ali, colli e volti umani, zampe artigliate e un gran ventre piumato; emettono lamenti sugli strani alberi.
E il buon maestro cominciò a dirmi: «Prima che tu ti addentri nella selva, sappi che sei nel secondo girone e vi resterai finché entreremo nel sabbione infuocato. Perciò guarda bene, perché vedrai cose che non sarebbero credute se mi limitassi a dirtele».
Io sentivo levarsi lamenti da ogni parte, ma non vedevo nessuno che li emettesse; allora mi fermai, confuso.
Io credo che Virgilio credette che io credessi che tra quei cespugli uscissero tante voci, emesse da anime che si nascondevano da noi.
Perciò il maestro disse: «Se tu spezzi qualche ramoscello da una di queste piante, i tuoi pensieri non avranno più ragion d'essere».
Allora stesi un poco la mano e strappai un ramoscello da un gran pruno; e il suo tronco gridò: «Perché mi spezzi?»
Dopo aver perso sangue nero, ricominciò a dire: «Perché mi laceri? non hai alcuno spirito di pietà?
Fummo uomini, e adesso siamo diventati cespugli: la tua mano sarebbe certamente più pietosa, se anche fossimo state anime di serpenti».
Come quando si brucia un ramoscello verde da una delle estremità, e dall'altra cola la linfa e si sente un cigolio in quanto esce dell'aria, così dal ramo rotto uscivano insieme parole e sangue; allora io lasciai cadere il ramo spezzato e restai lì pieno di timore.
Il mio maestro rispose: «Se egli avesse potuto credere ciò che ha letto solo nei miei versi, anima offesa, (Dante) non avrebbe certo levato la mano contro di te; ma la cosa incredibile mi costrinse a indurlo a un'azione che pesa anche a me.
Ma digli chi fosti in vita, così che per rimediare lui possa restaurare la tua fama nel mondo terreno, dove può tornare».
E il tronco: «Con le tue dolci parole mi alletti in tal modo che non posso stare zitto; e a voi non sia fastidioso se io mi attardo un po' a parlare di me.
Io sono colui che tenni entrambe le chiavi del cuore di Federico II, e che le usai così bene nel chiudere e nell'aprire che esclusi dai suoi segreti quasi tutti (divenni il suo più fidato consigliere): fui fedele al mio alto incarico, al punto che persi per questo la pace e la vita.
La prostituta (invidia) che non distolse mai gli occhi disonesti dalla reggia dell'imperatore, e che è morte di tutti e vizio delle corti, infiammò tutti gli animi (dei cortigiani) contro di me; ed essi infiammarono a loro volta l'imperatore, al punto che i miei onori si trasformarono in lutti (caddi in disgrazia).
Il mio animo, spinto da un amaro piacere, credendo di sfuggire il disonore con la morte, mi rese ingiusto contro me stesso, che pure non avevo colpe.
Per le nuove radici di questo albero, vi giuro che non fui mai infedele al mio signore, che fu tanto degno di onore.
E se qualcuno di voi tornerà nel mondo terreno, riabiliti la mia memoria, che ancora soffre del colpo subìto a causa dell'invidia».
Virgilio rimase un poco in silenzio, poi mi disse: «Dal momento che tace, non perdere tempo; parla e chiedigli quello che vuoi».
E io a lui: «Domandagli tu ancora di quegli argomenti che credi possano interessarmi; io non potrei, tanto è il turbamento che provo».
Allora Virgilio riprese: «Possa realizzarsi ciò che le tue parole hanno richiesto grazie all'azione spontanea (di Dante), o spirito imprigionato: ti prego ancora di dirci come l'anima si lega a questi tronchi, e dicci, se puoi, se mai accade che qualcuna si liberi da queste piante».
Allora il tronco soffiò forte e poi quell'aria si tramutò in queste parole: «Vi risponderò in breve.
Quando l'anima feroce (del suicida) si separa dal corpo dal quale ella stessa si è staccata, Minosse la manda al settimo Cerchio.
Cade nella selva e non finisce in un punto prestabilito; ma dove il caso la scaglia, lì germoglia come un seme di farro.
Cresce come un arbusto e una pianta selvatica: le Arpie, poi, nutrendosi delle sue foglie provocano dolore, e aprono una via attraverso la quale il dolore fuoriesce.
Come le altre anime, anche noi andremo a riprendere i nostri corpi (il giorno del Giudizio), ma non per rivestircene: infatti non è giusto riavere ciò che ci si è tolti.
Li trascineremo qui e i nostri corpi saranno appesi per la triste selva, ciascuno all'albero della propria ombra nemica».
Noi eravamo ancora in attesa accanto all'albero, credendo che volesse aggiungere altro, quando fummo sorpresi da un rumore, in modo simile a colui che sente arrivare il cinghiale e la muta dei cani sulle sue tracce, e che ascolta le bestie e il fogliame che stormisce.
Ed ecco arrivare da sinistra due dannati, nudi e graffiati, che fuggivano così veloci che rompevano ogni ramo della foresta.
Quello davanti urlava: «Presto, vieni in aiuto, vieni, o morte!» E l'altro, al quale sembrava di andare troppo lento, gridava: «Lano, le tue gambe non furono così agili alle giostre (battaglia) di Pieve del Toppo!» E poiché forse gli mancò il respiro, si nascose accanto a un cespuglio.
Dietro di loro la selva era piena di cagne nere, che correvano affamate come cani da caccia scatenati.
Esse azzannarono il dannato che si era nascosto e lo fecero a brandelli; poi portarono via le sue carni ancora doloranti.
Allora la mia guida mi prese per mano e mi condusse al cespuglio che piangeva, inutilmente, attraverso i rami rotti e sanguinanti.
Diceva: «O Iacopo da Sant'Andrea, a cosa ti è servito usarmi come scudo? che colpa ho io della tua vita peccaminosa?»
Quando il mio maestro si fu fermato sopra di lui, disse: «Chi sei stato in vita, tu che soffi parole dolorose e sangue attraverso tanti rami spezzati?»
E quello rispose: «O anime che siete giunte a vedere lo scempio disonesto che ha separato da me le mie fronde, raccoglietele al piede del triste cespuglio.
Io fui della città (Firenze) che mutò in san Giovanni Battista il primo protettore (Marte); e lui per questo la rattristerà sempre con la sua arte (la perseguiterà con guerre); e se non fosse che su un ponte dell'Arno rimane un frammento di una sua statua, quei cittadini che la ricostruirono sulle ceneri lasciate da Attila, avrebbero lavorato inutilmente. Io mi impiccai nella mia casa».
 

momi

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scusate il ritardo!

per il canto XII vorrei scegliere due terzine:
" Qual è quel toro che si slaccia in quella
c'ha ricevuto già 'l colpo mirtale,
che gir non sa, ma qua e là saltella,
vid'io lo Minotauro far cotale;"

"Noi ci appressammo a quelle fiere snelle:
Chiron prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro alle mascelle.
Quando s'ebbe scoperta la gran bocca,
..."

Le scelgo, non tanto perché siano le più belle, ma, dal mio punto di vista, rappresentano l'essenza del canto:
la contrapposizione di due figure mitologiche, entrambe metà uomini e metà animali, ma nel caso del Minotauro rimane solo la parte bestiale, anche e soprattutto nei gesti, e dall'altra parte c'è Chirone con il suo scostarsi la barba usando la cocca di una freccia, che c'è lo fa visualizzare come un vecchio saggio!
 

wolverine

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Le anime del tredicesimo canto si macchiano del peccato del suicidio e per questo vengono rinchiuse in alberi dove le arpie nidificano, arpie che escono sembrano uscire dai versi dell'Eneide. Si può benissimo immaginare la faccia fatta da Dante scoprendo sangue nero al posto della linfa vitale.(una faccia che faremmo tutti,un po' come nel film sleepy hollow con j.Depp).
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Tra i rovi infernali Dante sente le anime lamentarsi, ma non riesce a capire bene da dove arrivino i lamenti, confuso com’è ha bisogno di una testimonianza concreta che gli faccia da bussola. Spezza un ramo, un ramo qualsiasi, e casualmente scopre che quel fusto imprigionava lo spirito di Pier della Vigna, un cantore siciliano.

Molti critici hanno scorto da questa scena un rimando all’Eneide, con particolare riferimento alla sepoltura di Priamo, le cui spoglie sono anch’esse interrate in una selva di arbusti e rovi.
Dunque è solo per caso che veniamo a contatto con l’anima del tutore personale di Federico II di Svevia, che sentitosi tradito dal proprio padrone, si toglierà la vita.

Non a caso dal fusto che Dante ha spezzato esce sangue nero, il sangue peggiore e più orribile di tutti. Pier della Vigna chiede a Dante di riabilitare la sua figura, quando tornerà nel mondo dei vivi, perché sente che la sua figura è stata macchiata di peccati che in realtà non ha commesso.
Federico II di Svevia, forse, tramò per ucciderlo, perché alcuni cortigiani, forse invidiosi della posizione del della Vigna, avevano fatto in modo che alle orecchie del re giungessero voci di complotto, che, ora che è morto, il della Vigna stesso dice di non aver mai ordito.

Siamo nella foresta dei suicidi, una sorta di altra selva oscura,fatta di alberi infernali che raccolgono le anime di coloro che, non avendo retto le difficoltà della vita, hanno preso la vigliacca scorciatoia.
Come se si trattasse di una vera e propria scena di teatro, vediamo apparire sullo sfondo due figure che corrono veloci attraversando il palco a rotta di collo, uno dei due viene raggiunto da alcune cagne nere che lo sbranano orribilmente. Si tratta di due scialacquatori, per i quali Dante evidentemente non portava gran rispetto.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
La mia terzina

"Uomini fummo e ore sem fatti sterpi:
ben dovrebb'esser la tua man più piu,
se state fossimo anime di serpi"

ps io per un mese circa non riuscirò a scrivere su questo 3d, sto partendo per un viaggio. Vi prego di continuare a postare le parafrasi dei canti e di tenere vivo il 3d. Quando tornerò vedrò di recuperare il terreno perduto.

Direi di non aspettare più Andrea, che ormai da molto tempo non scrive più. Se ovviamente dovesse tornare, le sue considerazioni saranno ben accette...
 

momi

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Vorrei ancora aggiunger qualcosa a questo canto:

-la selva come vera protagonista di questo canto, tragica e assurda.
- la drammatica perenne dissociazione fra lo spirito e il corpo come motivo unitario di tutto il canto: chi ha sdegnato la vita della carne è degradato a livello vegetale e anche dopo il giudizio universale non potrà rivestirsi del proprio corpo.
- Pier della Vigna rappresenta la fedeltà curiale, come Francesca l'amore cortese, Farinata l'impegno politico e Cavalcante l'orgoglio intellettuale; tutti personaggi che anche se negativi di per se, hanno posto dei valori mondani al centro della loro esistenza invece che dei valori metafisici.


La mia terzina favorita.
"Qui le trascineremo, e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
ciascuno al prun dell'ombra sua molesta."

@Wolverine, se per te va bene, posso postare il prossimo canto, dato che Zingaro ci osserverà da lidi lontani :mrgreen:
 

wolverine

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Vorrei ancora aggiunger qualcosa a questo canto:

-la selva come vera protagonista di questo canto, tragica e assurda.
- la drammatica perenne dissociazione fra lo spirito e il corpo come motivo unitario di tutto il canto: chi ha sdegnato la vita della carne è degradato a livello vegetale e anche dopo il giudizio universale non potrà rivestirsi del proprio corpo.
- Pier della Vigna rappresenta la fedeltà curiale, come Francesca l'amore cortese, Farinata l'impegno politico e Cavalcante l'orgoglio intellettuale; tutti personaggi che anche se negativi di per se, hanno posto dei valori mondani al centro della loro esistenza invece che dei valori metafisici.


La mia terzina favorita.
"Qui le trascineremo, e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
ciascuno al prun dell'ombra sua molesta."

@Wolverine, se per te va bene, posso postare il prossimo canto, dato che Zingaro ci osserverà da lidi lontani :mrgreen:
Per me va benissimo.... Procedi pure quando vuoi.
 

momi

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parafrasi canto XIV

in ritardo, ma alla fine eccola qua:

Poiché l'amore per la patria comune mi commosse,
raccolsi i rami sparsi e le resi a quell’anima, la cui voce era già diventata debole.
Giungemmo poi al punto di confine dove il secondo girone
si separa dal terzo, e dove si vede la spaventosa arte della giustizia divina.
Per meglio spiegare le novità delle cose che vedemmo,
vi dico che arrivammo ad una pianura che non lascia mettere radici a nessuna pianta.
La selva dei suicidi le fà da cornice tutt’intorno,
così come il fossato del Flegetonte fa con essa: qui fermammo il passo, stretti sull’orlo.
Il suolo era fatto da sabbia arida e spessa,
non diversa da quella che fu calpestata dai piedi di Catone l’ Uticense
Oh giustizia di Dio, quanto devi essere temuta
da chiunque legga il racconto di quello che si mostrò allora ai miei occhi!
Vidi molti gruppi di anime nude che piangevano tutte in modo assai compassionevole,
e sembrava che ognuna di loro fosse punita secondo una legge diversa.
Alcune anime giacevano a terra supine,
alcune sedevano rannicchiate, altre ancora camminavano di continuo.
Le anime che giravano intorno erano più numerose,
quelle invece distese erano di meno, ma si lamentavano molto più delle altre per il dolore.
Sopra tutto quel sabbione, con un cadere lento, piovevano delle larghe strisce di fuoco,
simili a fiocchi di neve che cadono in montagna quando non spira il vento.
Simili a quelle fiamme che Alessandro, nelle regioni calde dell’India,
vide cadere compatte fino a terra sul suo esercito;
per cui diede ordine ai soldati di scalpicciare il suolo, affinché le fiamme
si estinguessero meglio mentre erano ancora isolate tra loro;
Così scendevano quelle fiamme eterne;
per cui la sabbia si accendeva, proprio come l'esca con l'acciarino, ad accrescere il dolore.
La danza delle misere mani (dei dannati) era senza posa,
mentre scuotevano da un lato e dall'altro il nuovo fuoco.
Cominciai a dire: “Maestro, tu che superi tutte le difficoltà,
ad eccezione dei demoni ostinati che sono usciti contro di noi all’ingresso della porta di Dite,
chi è quel grande che non sembra preoccuparsi dell'incendio e giace sprezzante e torvo, così che la pioggia di fuoco non sembra renderlo più mite?»
E quello stesso dannato, che capì che io domandavo di lui alla mia guida, gridò:
«Io sono da morto tale quale fui da vivo.
Se anche Giove stancasse il suo fabbro (Vulcano) da cui, adirato, prese la folgore acuta che mi colpì il giorno della mia morte;
o se stancasse gli altri Ciclopi senza posa nell'Etna, presso la nera fucina, gridando "Buon Vulcano, aiuto, aiuto!,
proprio come fece nella battaglia di Flegra, e mi fulminasse con tutta la sua forza,
non potrebbe avere su me una vendetta soddisfacente».
Allora il mio maestro parlò con la voce così alterata come non l'avevo mai sentito:
«O Capaneo, nel fatto che la tua superbia non diminuisce tu sei maggiormente punito:
nessuna pena sarebbe adeguata al tuo furore, tranne che la tua stessa rabbia!»
Poi si rivolse a me con volto più sereno, dicendo: «Quello fu uno dei sette re che assediarono Tebe;
e disprezzò Dio, e sembra che lo faccia ancora, e pare che non consideri il suo potere;
ma, come gli ho detto, la sua rabbia è degno ornamento al suo petto.
Ora seguimi e bada di non mettere i piedi nella sabbia infuocata, ma tienili sempre vicini alla selva».
Giungemmo in silenzio là dove fuori dalla selva sgorga un piccolo fiume, il sui rossore (di sangue) mi fa ancora ribrezzo.
Come dal Bulicame esce un ruscello che poi le prostitute si dividono,
così quel fiumiciattolo scorreva giù per la sabbia.
Il fondale ed entrambi gli argini erano fatti in pietra, per cui compresi che lì c'era il passaggio.
«Tra tutto ciò che ti ho mostrato dopo aver varcato la soglia infernale il cui passaggio non è negato a nessuno,
i tuoi occhi non hanno mai visto nulla che fosse interessante come questo fiume, che estingue in sé tutte le falde di fuoco».
Queste parole mi furono dette dalla mia guida; allora lo pregai che mi elargisse il cibo di cui mi aveva suscitato il desiderio.
Allora lui disse: «In mezzo al Mediterraneo c'è un paese andato in rovina, chiamato Creta, sotto il cui antico re (Saturno) il mondo fu un tempo innocente (nell'età dell'oro).
Vi sorge una montagna chiamata Ida, un tempo ricca di corsi d'acqua e boschi, ora abbandonata come cosa vecchia.
Rea la scelse come nascondiglio sicuro per suo figlio (Giove), e per nasconderlo meglio, quando piangeva, vi faceva gridare (i Coribanti).
Dentro il monte si erge (la statua di) un vecchio, che volge le spalle a Damietta e guarda Roma come se fosse il suo specchio.
La su testa è fatta d'oro zecchino, le braccia e il petto sono in puro argento, poi è fatto di rame fino all'inguine;
da qui in giù è tutto fatto di ferro, tranne il piede destro che è in terracotta; e si regge su quello più che sull'altro.
Ogni parte della statua, tranne la testa, è spaccata da una fessura che fa sgorgare lacrime, le quali si raccolgono ai piedi e forano la roccia sottostante.
Formano un corso d'acqua che scende nella voragine infernale:
alimentano l'Acheronte, lo Stige e il Flegetonte;
poi scendono ancora per questo stretto canale, fin là dove non si scende più (il fondo dell'Inferno) e dove formano Cocito; e cosa sia quel lago lo vedrai, quindi non ne parliamo qui».
E io a lui: «Se questo fiumiciattolo nasce così dal mondo terreno, perché allora lo vediamo solo ora sull'orlo del Cerchio?»
E lui a me: «Tu sai che questa voragine è tonda; e anche se tu ne hai percorso un buon tratto,
scendendo verso il basso sempre a sinistra,
non hai ancora percorso tutta la circonferenza: per cui, se vedi una cosa nuova, non devi assolutamente stupirtene».
E dissi ancora: «Maestro, dove sono il Flegetonte e il Lete? Che del secondo taci, mentre del primo dici che è prodotto da questa pioggia di lacrime».
Rispose: «Mi piacciono tutte le tue domande, ma il bollore dell'acqua rossa di sangue doveva risolvere uno dei tuoi dubbi.
Vedrai il Lete, ma fuori dall'Inferno, là dove le anime vanno a lavarsi (nell'Eden) quando si sono pentite delle loro colpe e le hanno cancellate».
Poi aggiunse: «Ormai è tempo di allontanarsi dal bosco; seguimi lungo gli argini del fiume, poiché non sono bruciati dalla pioggia infuocata e ogni fiamma si spegne sopra di loro».
 
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wolverine

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Canto XV

Era uno degli argini rocciosi ci porta lontani dalla selva; e il fumo del Flegetonte fa ombra di sopra, così che protegge dal fuoco l'acqua e gli argini stessi.
Come i Fiamminghi fra Wissant e Bruges erigono dighe per tener lontana la marea, temendo che le onde si avventino contro di loro;
e come fanno i Padovani lungo il Brenta per difendere le loro città e i castelli prima che la Carinzia senta il caldo (si sciolgano le nevi):
così erano costruiti quegli argini, anche se il costruttore, chiunque fosse, non li aveva eretti così alti e grossi.
Ormai ci eravamo allontanati dalla selva tanto che non l'avrei più vista se anche mi fossi voltato,
quando incontrammo una schiera di anime che veniva lungo l'argine e ognuna di esse ci guardava come si osserva qualcuno in una sera di novilunio; e strizzavano gli occhi verso di noi come fa il vecchio sarto per infilare l'ago nella cruna.
Mentre i dannati mi scrutavano in tal modo, fui riconosciuto da uno che mi prese per il lembo della veste e gridò: «Che meraviglia!»
E io, quando lui tese verso di me il suo braccio, fissai il suo volto così che non potei non riconoscerlo, benché fosse tutto bruciato, e avvicinando la mano al suo viso risposi: «Voi siete qui, ser Brunetto?»
E lui: «Figlio mio, non dispiacerti se Brunetto Latini torna un po' indietro con te e lascia proseguire la schiera (dei dannati)».
Io gli dissi: «Ve ne prego con tutte le mie forze; e se volete che io mi trattenga con voi lo farò, purché acconsenta costui che mi guida».
Lui disse: «Figliolo, se un dannato di questo gruppo si arresta un solo istante, poi deve giacere cent'anni senza potersi riparare quando il fuoco lo ferisce.
Perciò prosegui: io ti seguirò e poi raggiungerò la mia schiera, che va piangendo la sua dannazione eterna».
Io non osavo scendere dall'argine per andare insieme a lui; ma tenevo il capo chino, come un uomo che dimostra la sua deferenza.
Lui cominciò: «Quale fortuna o destino ti porta quaggiù prima della tua morte? e chi è costui che ti fa da guida?»
Io gli risposi: «Lassù, nella vita serena, mi sono smarrito in una valle prima che la mia vita raggiungesse il suo culmine.
Solo ieri mattina ne sono uscito: mi apparve costui (Virgilio), mentre ci stavo rientrando, e mi riporta a casa per questo cammino».
E lui a me: «Se tu segui la tua stella, non puoi non raggiungere i tuoi obiettivi letterari e politici, se ho inteso bene quando ero in vita;
e se non fossi morto precocemente, vedendo che il cielo era così ben disposto verso di te ti avrei aiutato a compiere la tua opera.
Ma quell'ingrato e maligno popolo che è disceso anticamente da Fiesole (i Fiorentini) e conserva ancora la rozzezza dei montanari, diventerà tuo nemico per le tue buone azioni: e ne ha ben donde, poiché non è opportuno che il dolce fico nasca tra i frutti agri.
Un vecchio proverbio li definisce ciechi; è gente avara, invidiosa e superba: cerca di preservarti dai loro costumi.
La tua fortuna ti riserva tanto onore che entrambe le parti (Bianchi e Neri) vorranno sfogare il loro odio contro di te, ma l'erba sarà lontana dal caprone.
Le bestie di Fiesole (Fiorentini) si divorino tra loro e non tocchino la pianta, ammesso che ne nascano ancora nel loro letame, in cui rivive la santa semenza di quei Romani che restarono a Firenze quando fu fondato il nido di tanta malvagità».
Io gli risposi: «Se potessi esaudire ogni mio desiderio, voi sareste ancora tra i vivi;
poiché nella mia mente è ben presente, e ora mi commuove, la cara e buona immagine paterna di voi quando nel mondo mi insegnavate di quando in quando come l'uomo acquista fama eterna: e finché vivrò la mia lingua esprimerà quanto ciò mi sia gradito.
Io prendo nota ciò che narrate della mia vita, e mi riservo di farmelo spiegare insieme a un'altra profezia (di Farinata) da una donna (Beatrice) che saprà farlo, se arriverò sino a lei.
Io voglio che vi sia chiaro che sono pronto a ciò che la fortuna mi riserva, purché non mi rimorda la coscienza.
Tale profezia non è nuova al mio orecchio: dunque la fortuna giri pure la sua ruota come vuole, e il contadino ruoti la sua zappa».
Il mio maestro (Virgilio) allora si voltò indietro sulla destra e mi guardò, dicendo poi: «È buon ascoltatore chi prende nota di ciò che gli vien detto».
Non per questo smisi di parlare con ser Brunetto, e gli domandai chi fossero i suoi compagni di pena più importanti.
E lui a me: «È bene conoscerne qualcuno: degli altri sarà preferibile tacere, perché occorrerebbe troppo tempo a elencarli tutti.
Sappi insomma che furono tutti chierici e importanti letterati di gran fama, la cui vita fu lercia dello stesso peccato (sodomia).
Prisciano va con quella brutta schiera, e anche Francesco d'Accorso; e se avessi desiderio di vedere un tale sudiciume, potresti vedere colui che il servo dei servi (Bonifacio VIII) trasferì da Firenze a Vicenza, dove morì e lasciò i suoi sensi protesi al vizio.
Ti direi di più, ma il cammino e il discorso non possono prolungarsi, poiché vedo levarsi là nuovo fumo dal sabbione.
Arrivano anime con la cui schiera non devo mescolarmi. Ti sia raccomandato il mio Trésor nel quale ho ancora fama, e non chiedo altro».
Poi si voltò e sembrò uno di quelli che corrono il palio a Verona per il drappo verde, nella campagna; e sembrò il vincitore, non il perdente.
 

wolverine

New member
Argomento del Canto
Ancora nel III girone del VII Cerchio, dove sono puniti i violenti contro Dio (tra cui i sodomiti). Incontro con Brunetto Latini. Profezia di Brunetto sull'esilio di Dante.
È l'alba di sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300.
 

momi

Member
ancora un canto dedicato alle vicende politiche di Firenze e anche qui a Dante viene predetta l'inimicizia e l'invidia del popolo fiorentino nei suoi riguardi, ma anche la sua futura gloria (Dante tra i sui peccati non ha sicuramente quello della falsa modestia!).

Di nuovo Dante relega all'inferno un personaggio che ha ammirato e che considera suo maestro, sembra una contraddizione, ma è dall'inizio del suo viaggio che Dante ci tiene a sottolineare che le virtù umane, per quanto elevate, non bastano a salvare se non sono nell'ambito della legge divina.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Commento al canto 14

Il canto del famoso Capaneo, colui che farà adirare con la propria superbia il maestro Virgilio.
Dopo essersi lasciati alle spalle la terra degli alberi dei suicidi, Dante e Virgilio arrivano ad una terra deserta, brulla, arida. Il terreno è fatto di sola sabbia e i peccatori che vi giacciono doloranti hanno commesso tre tipi di peccati, tutti comunque riconducibili a quello mortale di sfida all’Onnipotente –ricordiamoci che siamo nel Medio Evo-: bestemmiatori, usurai e sodomiti si lamentano colpiti continuamente da una pesante pioggia di fuoco. I corpi dei dannati ardono e i peccatori non sanno come allontanare il fuoco dai loro corpi.

Non c’è che dire, siamo nel bel mezzo dell’inferno, un’immagine spettrale ben documentata da un bellissimo quado di Doré (“i bestemmiatori”).

Dante vede in questa selva di dolore Capaneo, re in terra che con la sua immonda superbia osò disconoscere l’onnipotenza del Divino.

Arriviamo alla famosa descrizione da parte di Virgilio del “senso infernale” del Flegetonte, fiume che nuovamente si para davanti ai nostri due.
Creta, laddove cioè nasce il fiume infernale, fu centro di quel mondo inizialmente immune dal peccato. Ma ora da una montagna dell’isola greca sgorga quel fiume di lacrime e sangue chiamato Flegetonte, come se Creta piangesse per i peccati del mondo e non fosse più il bastione contro Satana.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Commento al canto 15

I sodomiti, protagonisti di questo canto, direi che non sono altro che gli omossessuali. Mai canto fu più attuale, anche se dobbiamo leggere il Dante cristiano nell’ottica medievale, un’ottica che oggi pare marziana e non ha nessun punto di contatto con la nostra attuale.

Ma questo è soprattutto il canto di Brunetto Latini, l’antico maestro di Dante, il quale evidentemente si stupisce di trovarlo all’inferno tra i sodomiti. Della sua presunta omosessualità non ci sono testimonianze storiche attendibili, le poche righe scritte su di lui, lo descrivono come “uomo di mondo”, che evidentemente non prova nulla in tal senso.
Ma tant’è, Dante lo caratterizza come tale e direi di non farci troppo cruccio di quest’aspetto per noi, oggi, del tutto irrilevante .

Bellissima l’immagine dei due scrittori, discepolo e maestro, che discorrono attraversando il sabbione di fuoco, sempre camminando l’uno vicino all’altro, perché i sodomiti (è il Latini a spiegarcelo) non possono mai fermarsi, in quanto il movimento allieta il loro perenne bruciore. Dante ha paura a camminare dentro il sabbione infuocato, quindi segue il suo maestro da sopra all’argine. E i due discorrono così, tra le pene dell’inferno, allietandosi con la loro reciproca filosofia.
Il personaggio di Latini è simile a quello di Farinata degli Uberti, entrambi profetici e grandi stimatori di Dante.

In particolare il Latini dice a Dante, in poche parole, che è talmente alta la sua visione politica e talmente alto il suo ingegno che non potrà che inimicarsi il popolo fiorentino, corrotto e senza via di uscita.
Firenze, dice Latini, non può essere la patria di Dante.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Parafrasi canto 16

Ero sul posto quando sentii il tonfo
dell’acqua che si gettava di sotto,
simile a quello delle arnie nei loro rombi.

quando tre anime si separarono contemporaneamente,
correndo, da quel girone tormentato dalla
pioggia di questo martirio

Venivano verso di noi, ciascuno gridando:
«Fermati, tu che sembri venire
dalla nostra stessa terra malvagia (Firenze)».

Ahimè, che piaghe vidi nelle loro membra,
alcune recenti, altre vecchie, provocate dalle fiamme accese!
Non provo meno dolore, oggi, al ricordarle

Alle loro grida Virgilio si fermò;
e volgendo il viso verso me, disse «Ora aspetta»,
con costoro bisogna essere cortesi.

E se non fosse per il fuoco che saetta
e per la natura del luogo, allora direi
che meglio sarebbe per te avere fretta che non per loro».

Ricominciarono, appena ci fermammo,
a parlare come prima e
camminare in cerchio.

Così come il lottatori nudi e unti,
avvisano l’avversario per loro vantaggio,
prima che siano battuti e puniti,

così ruotando ciascuno il viso
verso di me torcendo il collo
in senso opposto rispetto al loro andare.

E uno disse «Se sono solo la miseria di questo luogo
a renderci invisi
e il nostro aspetto volgare,

dovresti dirci chi sei per rendere omaggio
alla nostra fama, visto che da vivo
te ne vai sicuro per l’inferno.

Questi, che mi segue da vicino,
nudo e completamente spellato,
aveva in realtà grande fama:

fu nipote della buona Gualdrada;
e si chiamò Guido Guerra, e in sua vita
fece molte cose, sia con la ragione che con la spada.

L'altro, pure lui vicino a me,
era Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
nel mondo doveva esser gradita.

E io, posto son con loro in croce,
fui in vita Iacopo Rusticucci , e certo
ebbi in sorte una moglie selvaggia che mi fece molto male».

Se io, Dante, fossi stato protetto dal fuoco,
mi sarei gettato in mezzo a loro,
e credo che Virgilio lo avrebbe permesso;

ma poiché sarei finito arso vivo,
vinse la paura sulla mia voglia
di abbracciarli.

Poi cominciai: «Non ho dispetto, ma pena
per la vostra condizione,
una pena che farò fatica a cessare,

dal momento che il mio Maestro spese per voi
parole per le quali pensai
che foste quelle persone che effettivamente siete.

Anch’io sono di Firenze, e non
ho mai sentito le vostre opere o i vostri nomi
senza provare grande rispetto.


Lascio il cattivo sentiero e cerco cose buone
che Virgilio mi ha promesso;
ma prima devo scendere nelle viscere».


«Se lungamente la tua anima condurrà
il tuo corpo», rispose Iacopo Rusticucci,
«e se la fama durerà dopo la tua morte,


saresti nella condizione di dirci
se la nostra città è ancora valente,
o se del tutto è sprofondata nel peccato;

perché devi sapere che Guiglielmo Borsiere, si lamenta spesso
con noi e con altri suoi compagni,
della condizione di Firenza».


«Le genti nuove e i facili guadagni
hanno generato orgoglio a dismisura,
Firenze, proprio tu, che ora devi piangere».


Così gridai con la faccia al cielo;
e i tre, che interpretarono questo lamento come risposta,
si guardarono l'un l'altro come ci si guarda di fronte ad una verità sgradita.


Tutti risposero«Se sei sempre così schietto,
con tutti,
ebbene, sei molto onesto!

Perciò, se uscirai vivo da questi luoghi bui
e tornerai a riveder le belle stelle,
quando ti gioverà raccontare che fosti qui,

fa che la gente parli di noi».
Quindi ruppero il cerchi, fuggendo così velocemente
che pareva avessero messo le ali alle gambe.


Non avrei potuto dire nemmeno un “amen”
prima che fossero spariti;
e che a Virgilio sembrasse il momento di andare.


Io lo seguivo, e ci eravamo rimessi in cammino da poco,
che sentii nuovamente il suono
del Flegetonte.

Come quel fiume che ha un proprio cammino
prima dal MonViso verso Este,
e dalla sinistra costeggia l’appennino tosco emiliano,


che si chiama Acquacheta
prima di scendere a valle giù nel basso letto,
e a Forlì cambia nome,


rimbomba là sopra San Benedetto
dell'Alpe per cadere in una cascata
per poi cadere nuovamente in altre cascate più piccole;


così, giù da una ripa scoscesa,
trovammo risuonare quell' acqua nera,
così forte che faceva male alle orecchie.


Io avevo una corda legata ai fianchi,
quella stessa corda con cui
avevo pensato di catturare la lonza maculata.


Dopo che l’ebbi sciolta,
così come Virgilio mi aveva chiesto,
gliela porsi aggrovigliata com’era.


Quindi Lui si voltò a destra,
per tutta la sua lunghezza
la gettò da quel burrone.

Tra me e me dicevo «Conviene che dica qualcosa
al nuovo cenno
che il Maestro con l'occhio mi ha fatto».

Ahimè quanto devono essere cauti gli uomini
presso i saggi,
di cui possono scrutare solo i pensieri!


Allora Virgilio mi disse: «Presto verrà qui da noi
colui che entrambi attendiamo;
è inevitabile che presto tu lo vedrai».


L’uomo deve sempre evitare di dire una
verità che pare menzogna,
diversamente passerà da bugiardo;

ma qui purtroppo non mi posso zittire; e ti giuro,
caro lettore, sulle pagine stesse di questa Commedia
che possa avere lunga fama,

che io vidi una figura avvicinarsi volando
in quell’aria scura,
che avrebbe meravigliato chiunque,


proprio come colui
che va sott’acqua e deve sciogliere l’ancora alla quale è aggrappato
non prima di rimuovere altri ostacoli e scogli,

che si stende i su ritraendo le gambe per lanciarsi verso l’alto.

 

wolverine

New member
trovo molto sentito come dante provi affetto per questi tre fiorentini e come se non fosse per la pioggia correrebbe ad abbracciarli, forse per la prima volta dante ha nostalgia del suo mondo e dimostra di voler onorare qualcuno, ma gli viene impedito.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Concordo perfettamente, Wolw. Per la prima volta vediamo un Dante commosso, ma non ripiegato su sè stesso.

Il suo è un sentimento di compassione, una compassione cristiana vera. Un patire le pene con i poveri disgraziati, con i quali però, mantiene una certa distanza.

Di certo il fuoco e le fiamme gli fanno terribilmente paura, una paura così grande da non poter essere assorbita dal suo profondo sentimento cristiano.

Sto scrivendo un piccolo post su cosa, secondo me, significava essere cristiani nel Medio Evo e su cosa significhi oggi. Credo che volendo affrontare seriamente quest'opera sia una prospettiva da affrontare, ma intanto possiamo andare avanti tranquillamente.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
la mia terzina:

ma perch' io mi sarei brusciato e cotto,
vinse paura la mia buona voglia
che di loro abbracciar mi facea ghiotto.

perchè credo sia piuttosto esplicativa della situazione profondamente ambigua nella quale Dante si trova.

Quando volete possiamo proseguire, credo tocchi a momi.
 
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