Ragazzi di zinco racconta l'esperienza della guerra sovietica in Afghanistan attraverso le voci dei suoi reduci. I loro racconti danno vita a una sorta di coro polifonico bellico che dà voce sia a quei soldati sovietici che la guerra ha distrutto nel fiore degli anni, ragazzi a cui è stata sottratta l'esistenza, gambe o braccia,la speranza, sia alle infermiere, le volontarie, le mogli e soprattutto le madri degli afgancy, che hanno visto tornare a casa i propri figli in bare di zinco sigillate, bare atte a nascondere una guerra di cui non si doveva parlare camuffandola da operazione umanitaria.
Lo scontro tra l'ingenuo idealismo e la realtà che si affaccia a questi ragazzi appena sbarcati in Afghanistan è straziante come straziante è tutto il libro. In questa follia la brutalità dei sovietici si confonde con quella degli afghani mettendo a nudo il meccanismo dell'odio, la trasformazione di un'umanità, messa alle strette tra vita e morte, in pochi attimi da esseri umani a bestie feroci.
Il libro basato su materiale raccolto in giro per l'URSS e a Kabul dall'85 all'89 alla pubblicazione subì un processo su querela di una delle madri di questi ragazzi tornati nella bara di zinco, il cui esito si può leggere alla fine del volume assieme a lettere e telefonate ricevute dall'autrice tese a testimoniare il clima di quegli anni.
Si potrebbero fare decine di citazioni da questo libro ma è meglio leggerle senza estrapolarle dal contesto.
Diciamo un Nobel morale più che per valore letterario, ma la testimonianza contenta nei volumi della Aleksievic ( così come per Solgenitsin) è da leggere con passione e rabbia.
Lo scontro tra l'ingenuo idealismo e la realtà che si affaccia a questi ragazzi appena sbarcati in Afghanistan è straziante come straziante è tutto il libro. In questa follia la brutalità dei sovietici si confonde con quella degli afghani mettendo a nudo il meccanismo dell'odio, la trasformazione di un'umanità, messa alle strette tra vita e morte, in pochi attimi da esseri umani a bestie feroci.
Il libro basato su materiale raccolto in giro per l'URSS e a Kabul dall'85 all'89 alla pubblicazione subì un processo su querela di una delle madri di questi ragazzi tornati nella bara di zinco, il cui esito si può leggere alla fine del volume assieme a lettere e telefonate ricevute dall'autrice tese a testimoniare il clima di quegli anni.
Si potrebbero fare decine di citazioni da questo libro ma è meglio leggerle senza estrapolarle dal contesto.
Diciamo un Nobel morale più che per valore letterario, ma la testimonianza contenta nei volumi della Aleksievic ( così come per Solgenitsin) è da leggere con passione e rabbia.