Kang, Han - La vegetariana

Jessamine

Well-known member
TRAMA
«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l'ideale di un'estatica dissoluzione nell'indifferenza vegetale. La scrittura cristallina di Han Kang esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell'ordinario quando si inceppa il principio di realtà – proprio come avviene nei sogni più pericolosi.


COMMENTO

Questo libro è come una voce lenta, strascicata, una sorta di cantilena che inizialmente si fatica ad udire, ma che pian piano si fa strada nella tua testa e comincia a coprire il suono dei tuoi pensieri.*
Una donna, una moglie ordinaria e remissiva, che non crea mai problemi, una cognata che non attira l'attenzione, una sorella minore che non intralcia la strada al fratello o alla sorella maggiore: questa la protagonista di questa storia. E se è vero che le storie altro non sono che racconti, una voce che racconta qualcosa, noi la voce di questa donna non la sentiamo mai. Yeong-hye la conosciamo solo attraverso la voce degli altri, quando qualcuno decide di parlare di lei, quando qualcuno decide di darle attenzione. Perché Yeong-hye sembra un fantasma, una figura che si muove lentamente, senza essere notata, senza disturbare, senza mai intralciare il cammino di nessuno, senza avere una volontà, senza prendere decisioni che possano entrare in conflitto con i suoi familiari (il marito, in primis, ma anche i membri della sua famiglia d'origine). Non sentiamo la sua voce nel romanzo, ma mi verrebbe da pensare che nessuno, nemmeno la sua famiglia, abbia mai sentito davvero la sua voce.*
Fino a quando, una mattina, il marito la trova in cucina, intenta a riempire grandi sacchi della spazzatura con tutti i prodotti di origine animale che riesce a trovare in casa. Ha fatto un sogno, dice, e dunque non riesce più a mangiare carne. Una cosa così piccola, una semplice decisione autonoma e personale di autoaffermazione si rivela uno shock per tutti coloro che le stanno attorno: Yeong-hye afferma, Yeong-hye agisce, pensa, decide, pone limiti attorno al suo corpo e stabilisce un confine oltre al quale esiste solo la sua proprietà, e nessuno, in nessun modo, può oltrepassarlo.*
E questo non va bene. Non va bene, e nonostante "La vegetariana" sia un libro estremamente impregnato di cultura coreana, nonostante in varie interviste Han Kang abbia più volte affermato che questo romanzo vuole parlare della condizione coreana in generale, e nonostante io sappia ben poco di questa cultura e di questa società, questa disapprovazione l'ho riconosciuta fin troppo. Anche qui, nel nostro comodo Occidente dove ci divertiamo tanto a riempirci la bocca di parole come libertà di scelta, autodeterminazione, padronanza di sé, è fin troppo facile riconoscere nel gesto di Yeong-hye qualcosa di condannabile, di stigmatizzabile, di brutto. Non tanto per la portata del gesto in sé, e lo sappiamo bene anche noi, lo sappiamo bene in questi giorni in cui si vuol far passare la tutela del sacrosanto diritto di una donna a poter liberamente scegliere per sé, per il suo corpo, la sua salute, la sua condizione economica, la sua serenità psichica per tutela di una presunta scelta morale di medici (che spesso, però, cambiano radicalmente i propri principi a seconda che si tratti di SSN o di cliniche private). Perché una donna che sceglie liberamente, in maniera attiva, della propria condotta di vita e del proprio corpo non va bene. È da reprimere, stigmatizzare, deridere alle cene di lavoro, picchiare alle cene in famiglia, abbandonare per non attirarsi sguardi indiscreti.*
Yeong-hye non ha modo di uscire da queste costrizioni, questi torchi che la vogliono fantasma silente, passivo, remissivo e obbediente a tutti i costi, se non abbracciando totalmente questa passività. Rinunciare alla forza, alla vita, alla carnalità, alla*vis*ferina - mi fa un po' sorridere utilizzare queste cateogrie concettuali parlando di un testo così impregnato di una cultura totalmente altra, ma tant'è - e accogliere la passività vegetale. Vegetativa, mi verrebbe da dire. Yeong-hye non ha nemmeno la libertà di decidere se restare o meno in vita, perché anche queste ultime scelte le vengono conquistate. E allora si trasforma, rinuncia alla carnalità fisica, e accoglie tutto quello che è statico, lento, pulito, verde. La sua macchia mongolica diventa un rimando alla fotosintesi clorofilliana, fa la verticale e allarga le gambe per riempirsi di fiori, sorride perché sa che manca poco, e presto potrà nutrirsi solo di acqua.
Ci sono ospedali psichiatrici, si parla di anoressia nervosa e di schizofrenia, e tutto questo, certamente, è innegabile, ma io voglio pensare che Han Kang ci inviti a guardare oltre. A dismettere i nostri occhi clinici. Ché forse la follia sta da un'altra parte, questa volta, ché forse Yeong-hye è il personaggio più lucido e*più forte*, l'unico davvero in grado di piegare le sbarre di un sistema che in qualche modo intrappola tutti.
 

qweedy

Well-known member
Ora capisco perché le hanno dato il Nobel!
Una scrittura straordinaria, che cattura, non una parola di troppo né una di meno, non riuscivo a staccarmi da questo libro!
Nonostante una trama ostica e disturbante, e la forte impronta orientaleggiante, colpisce in profondità.

«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. Questo primo atto di ribellione è anche il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l'ideale di un'estatica dissoluzione nell'indifferenza vegetale."

Sono curiosa di leggere altro di Kan Hang.


"È tutt'altro che un'opera ascetica: è un romanzo pieno di sesso ai limiti del consenziente, di atti di alimentazione forzata e purificazione ― in altri termini di violenza sessuale e disordini alimentari, mai chiamati per nome nell'universo di Han Kang ... Il racconto di Han Kang non è un monito per l'onnivoro, e quello di Yeong-hye verso il vegetarianesimo non è un viaggio felice. Astenersi dal mangiare esseri viventi non conduce all'illuminazione. Via via che Yeong-hye si spegne, l'autrice, come una vera divinità, ci lascia a interrogarci su cosa sia meglio, che la protagonista viva o muoia. E da questa domanda ne nasce un'altra, la domanda ultima che non vogliamo davvero affrontare: "Perché, è così terribile morire?"». (The New York Times)

“Ciò a cui lei aveva rinunciato era la vita stessa che il suo corpo rappresentava“

“ perché è così terribile morire?”


Motivazione del Premio Nobel Letteratura 2024: “Nella sua opera – si legge nella motivazione dell’Accademia reale svedese – Han Kang affronta traumi storici e insiemi invisibili di regole e, in ciascuna delle sue opere, espone la fragilità della vita umana. Ha una consapevolezza unica delle connessioni tra corpo e anima, i vivi e i morti, e nel suo stile poetico e sperimentale è diventata un’innovatrice nella prosa contemporanea”.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Ho fatto delle ricerche e ho scoperto che la società coreana è una società che considera il consumo di carne normale, naturale e necessario. Alla luce di questo comprendo meglio il disagio (comprendo ma non giustifico) provato dalle persone che circondano Yeong-hye che rompe le regole sociali non indossando il reggiseno perché la comprime e scegliendo di eliminare carne (inizia non mangiando carne ma poi toglie anche i derivati animali e si nutre solamente di cereali e verdure per poi privarsi anche di questi e, in una parabola discendente, arrivando a voler solamente acqua). Yeong-hye era apparentemente integrata nel suo sistema familiare, mangiava e cucinava carne, ma in realtà i suoi comportamenti dimostrano una sofferenza legata al fatto che non aveva altra scelta che adattarsi e accettare questa realtà sociale finché il suo trauma legato al consumo di carne non viene svelato sotto forma di sogno. L'arma di difesa contro la violenza che l'ha circondata fin da bambina è la sua impassibilità, la sua sottomissione, il suo silenzio e tutto questo mi ha profondamente commosso. Yeong-hye, attraverso la sua scelta rivoluzionaria per la sua famiglia, cerca l'emancipazione. Nel romanzo sono riportati in corsivo i sogni della protagonista, la sua "voce", che rappresentano i suoi ricordi d'infanzia, e attraverso questi ricordi conosciamo Yeong-hye e comprendiamo le motivazioni della sua scelta. Nessuno dei tre personaggi che raccontano la storia di Yeong-hye arriva a capirla davvero, neanche la sorella, o meglio non vuole capirla perché in fondo in fondo In-hye, sempre secondo me, invidia Yeong-hye per aver avuto quel coraggio dirompente che a lei è sempre mancato indossando, In-hye, il ruolo della figlia "perfetta", quella che corrispondeva alle aspettative (per proteggersi dal clima familiare violento). Un romanzo che mi è piaciuto per aver rotto degli schemi atrofizzati, seppur nella sua forte drammaticità.
 
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MonicaSo

Well-known member
Un libro non semplice da leggere e da capire e, secondo me, lo si apprezza meglio nel momento in cui si non si cerca piú una spiegazione a tutti i costi.
Perché diventare vegetariana, o vegana, o addirittura cercare di nutrirsi solo con acqua, come le piante? La protagonista si arrende al suo male di vivere, non ce la fa più e di fronte a una vita di violenza fisica e psicologica si aggrappa a un sogno altrettanto violento e smette di nutrirsi.
Tre sono i capitoli e tre i personaggi principali che vengono raccontati: la donna, il cognato, la sorella. Solo quest'ultima mi ha suscitato una qualche empatia, troppo freddi i primi due. La sorella cerca di aiutare la donna perché ha vissuto anche lei momenti di difficoltà ma è riuscita a superarli aggrappandosi alla concretezza della sua vita.

«Anch’io faccio dei sogni, sai? Dei sogni... in cui potrei dissolvermi, lasciare che abbiano il sopravvento su di me... Ma non esiste soltanto il sogno, no? Dobbiamo svegliarci a un certo punto, non è così? Perché... perché allora...».
 

DaneelOlivaw

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Questo libro non mi è piaciuto.
Va da sè che c'è poco da fare, la protagonista è malata, sicuramente porta con se i segni lasciati dal padre nell'infanzia.
La scena del cane a momenti me la sognavo di notte. :(
La società coreana in questo libro appare ferocemente patrircale ed arcaica, ma mi dicono che non è più così, almeno nella capitale.
 
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