" Alcuni episodi nella vita di Tony Montana, canaglia cubana, gangster a Miami negli anni ottanta, trafficante di droga, boss senza scrupoli, sanguinario dal grilletto facile, amante della famiglia e dell'onore, re del lusso, triste incarnazione del sogno americano. Ma anche ascesa e caduta di un malvagio puro, innaturalmente eroe da tragedia, con la sua corte di parassiti, un nuovo Scarface, una faccia sfregiata, come il gangster mitico degli anni trenta inventato da Hawks pensando ad Al Capone.
Insomma omaggio a un capostipite del cinema gangsteristico (il film è dedicato al regista Hawks e allo sceneggiatore Ben Hecht) e insieme tentativo di aggiornare il mito alla malavita degli anni ottanta e alla nuova corruzione, la droga.
Brian De Palma è regista visionario ed eccessivo (Carrie, Fury), prova una certa impazienza a inseguire il male nelle sua cadenze umane e fragili: anche qui la storia di Scarface è vista nei suoi scorci isterici, il resto è lasciato all'immaginazione dello spettatore.
È naturale che De Palma, sempre alla ricerca di effetti che magari gli sfuggono per eccesso di semplificazione, per manierismo, trovi il suo luogo ideale nel finale, venti minuti, forse mezz'ora (su un totale di due e tre quarti) tutti da vedere, strage e risoluzione dei nodi drammatici e psicologici, il campione del male circondato da un intero esercito di nemici, spara ammazza recita, cade solo all'ultimo, come un eroe classico, quando è già trafitto da cento pallottole.
È possibile che la presenza di Al Pacino, che sente anche l'aria e l'orgoglio del Padrino, chiami molto pubblico, intorno al nuovo Scarface; lui, Pacino, non si risparmia, sempre presente, occhieggiante, sbruffone, sopraffattore, al punto di rubare la parte a tutti, non ci sono protagonisti accanto a lui, ma pallide sagome di una grande tradizione gangsteristica, il vecchio boss da far fuori, il luogotenente da ammazzare per impulso di gelosia, la sorella da proteggere e desiderare, come nel vecchio modello di Hawks.
Lo Scarface degli anni trenta era italiano, lo Scarface di Pacino sbarca nell'ottanta a Miami da una nave di esuli cubani in cui sono intruppati, per generosità di Castro, molti delinquenti tolti dalle carceri dell'isola.
Il confronto è tra l'individualismo criminale di Pacino e l'agevole strada che l'America apre ai violenti: «Prima fai i soldi, - dice Al Pacino al suo amico, - poi avrai il potere e le donne». Semplice, come sempre.
Poiché non si vede in giro l'ombra di un poliziotto (salvo un ispettore corrotto), poiché il regista De Palma non ha l'anima del moralista (per lui tutta la società potrebbe essere un gioco al massacro senza regole), la sconfitta di Scarface nasce dall'interno dello stesso individuo come dire?, dall'infelicità del potere.
Una volta lui è al ristorante con la moglie Michelle Pfeiffer e gli cade addosso una terribile noia: «Ma come, è tutto qui?», il potere, le donne, una casa con la piscina in camera da letto, i soldi a mucchi. È tutto qui? Lo scontento congiura verso la strage finale, verso le scene depalmesche in cui entra anche la follia di un altro Delinquente Solitario, il trafficante di droga Sosa, un colombiano che ha in mano lo stato e domani, chissà, l'esagerato De Palma non lo esclude, il mondo intero. "
Da La Stampa, 2 marzo 1984
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