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E' stata la mano di Dio>>
L'ho visto ieri sera.
Dura due ore e dieci, no? Bene, ho passato all'incirca un'ora di sofferenza, poi cinquanta minuti di piacevole interessamento e infine venti minuti di decisa soddisfazione sia dal punto di vista estetico che da quello del contenuto.
La prima parte, secondo me eccessivamente impressionistica, mi ha infastidita e annoiata.
Capisco che dove c'è autobiografia c'è anche una descrizione del contesto e dei personaggi, ma per i miei gusti l'autore/regista ha calcato un po' troppo la mano. Gli aspetti per me sgradevoli sono l'eccesso di fisicità ingombrante e l'esasperazione delle esternazioni emotive, che mi sembrano insistere troppo sugli stereotipi più grossolani della "napoletanità".
A parte ciò mi è sembrato poco approfondito il rapporto fra i genitori del protagonista, rapporto che non basta qualche fischiatina a rivelare intimo, complice o tenero. E in fondo anche le relazioni fra fratelli sono accennate al volo, anzi appena sfiorate.
Sembra quasi che al regista non importi di farci entrare nella storia e nei suoi ricordi, ma che li stia raccontando a se stesso per farli rivivere tali e quali.
L'unico aspetto che mi convince, di questa prima parte, è la storia della zia Patrizia che rivela un dramma familiare ben delineato e una figura di donna complessa e malinconicamente aggrappata alla propria sconfitta.
SPOILER
Nella seconda ora, a seguito dell'evento che stravolge gli equilibri precedenti, entrano in gioco l'assenza, il vuoto, la mancanza di prospettive. Il giovane protagonista indugia nel suo bozzolo di tristezza lasciandosi trasportare dalla routine di nuove amicizie, e senza che se ne accorga gli viene offerta quell'iniziazione da tempo desiderata. Non è un'esplosione, è piuttosto un granellino che fa invertire l'ingranaggio della sua discesa nel nulla e lo riporta a contatto della realtà.
E così, lasciandosi vivere un po', Fabietto inciampa nel proprio destino, rappresentato dal cinema e dal teatro. Attraverso l'arte drammatica ciò che gli si rivela è la possibilità di un
altrove rispetto a ciò che ha sperimentato fino a quel momento.
Inizialmente interessato e incuriosito, lentamente inizia a prefigurarsi una nuova vita.
Questa parte del film, meno caotica e molto più intimista, riesce farmi sognare insieme all'autore.
E mi sembra che egli riesca a trascendere la propria vicenda personale per accedere alle immagini che ognuno di noi ha quando pensa al salto fra l'adolescenza e la maturità: il mare, nel quale immergersi nudi ( e nuovi); la capannina fragile fatta di foglie e di canne, delicata come il nuovo io che si sta formando, non solida casa ma incorporea cornice che lascia passare il cielo.
Ed è ancora il mare, simbolo di mutamento, che fa da sfondo al confronto fra le incerte speranze di Fabietto e la scelta di inerzia e fatalismo del fratello.
L'incontro significativo con il regista ammirato dal giovane rappresenta un punto di svolta. Capuano non ha riguardi, non ha delicatezze, vuole dal ragazzo la sua verità, lo scrolla con le parole, lo provoca e lo induce a urlare il proprio dolore. Solo attraverso la verità Fabio (non più Fabietto) potrà scoprire se ha qualcosa da dire, e solo allora potrà fare dei film.
"
Altrimenti è solo cinema consolatorio" dice senza mezzi termini il regista. Qui si scontrano due diverse visioni della vita: per l'anziano, indurito dall'età e dal coraggio, vivere è calarsi nel profondo della propria esperienza, collegarsi alla realtà, non "
disunirsi" da essa.
Per Fabio, amaro e ancora occupato a sfuggire alla sofferenza, "
la realtà è scadente", e quindi il suo compito sarà riinventarla attraverso il cinema.
Però l'adulto sa che ovunque andrai, qualunque sia la storia che (ti) racconterai, "
non puoi sfuggire al tuo fallimento."
Il giovane partirà ugualmente, salvo poi , diventato regista, tornare sui suoi passi con questo film per affrontare ciò che si è lasciato alle spalle.
E come dice un antico proverbio:
non importa se esci dalla porta o dalla finestra, prima o poi dovrai tornare a prendere le tue valigie"