Pathurnia
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ALLEGATO ESTEMPORANEO AL GIORNALINO
Num. XY - Luglio 2024
Pathurnia
La poetessa Elizabeth Bishop e l'arte del Kintsugi
Parte prima
Num. XY - Luglio 2024
Pathurnia
La poetessa Elizabeth Bishop e l'arte del Kintsugi
Parte prima
Ci sono esistenze, come quella della poetessa americana Elizabeth Bishop, che fanno pensare all'antica arte giapponese del Kintsugi: con questa tecnica una tazza frantumata può diventare un oggetto d'arte inestimabile se ognuna delle linee di rottura viene restaurata ed evidenziata per mezzo di una colata di oro fuso; le imperfezioni così sottolineate diventano perfette nella loro splendente casualità. La vita di Elizabeth Bishop, nata a Worcester nel 1911, di crepe e punti di rottura ne ebbe molti ma, come un maestro dal Kintsugi, la poetessa seppe trasformare le tracce di disastri e perdite nell'oro di una poesia raffinata ed elegante.

Aveva solo otto mesi quando perse il padre, morto per una malattia renale. La madre, già sofferente, dopo questo evento peggiorò e non potè occuparsi della bimba che fu affidata ai nonni paterni residenti in Nuova Scozia (Canada). E' questo il periodo del bianco e della neve, che Elizabeth ricorderà in numerose poesie. In seguito ritornò nel Massachusetts e fu affidata ai parenti della madre, che nel frattempo era stata ricoverata per il peggioramento della sua instabilità mentale. Non ci stupisce che la piccola Elizabeth fosse tormentata già in tenera età da attacchi di asma. Ma le sue peripezie non erano finite; in seguito fu affidata ad una zia materna, presso la quale potè avvicinarsi alla lettura dei poeti vittoriani, e forse fu quella la strada che inizialmente permise alle sue ferite di rivestirsi di splendore. D'altro canto fattori positivi importanti nella vita della giovane donna furono le risorse economiche (il padre, morendo, le aveva lasciato una cospicua eredità) e l'appartenenza alla upper class, che facilitarono il suo ingresso, ormai diciottenne, al prestigioso college Vassar. Laureatasi in letteratura nel 1934, si trasferì al Greenwich Village e iniziò un intenso periodo di collaborazione con periodici letterari. In quegli stessi anni la sua brama di esperienze e la sua attitudine nomade furono assecondate dai numerosi viaggi in Europa, Africa, Sud America. "Il suo sembra un destino di eterna sfrattata, dagli affetti come dalle case o dai paesi; all’infanzia sballottata fra vari parenti segue una vita itinerante in età adulta, frutto di scelta”, scrive Ottavio Fatica nella postfazione alla raccolta di Elizabeth Bishop, Miracolo a colazione (Adelphi, 2005). Nonostante la vita errabonda e l'estremo riserbo a livello intimo, Elizabeth coltivò numerose relazioni profonde e durature. Risale agli anni del college e ai decenni successivi l'amicizia con Mary MacCarthy, che si incrinò solo quando nel 1963 l'amica pubblicò il suo famoso best seller "Il gruppo". In questo romanzo la scrittrice descriveva la vita di otto giovani donne alle prese con problemi come la sessualità, la maternità, l'emancipazione della donna e l'omosessualità femminile. Le otto giovani donne inseguivano qualcosa di diverso da ciò che la società dell'epoca aveva in serbo per loro, mettevano in atto comportamenti poco convenzionali ma finivano per collezionare errori e sconfitte. In particolare il ritratto della snob omosessuale Lakie sembrava corrispondere alla fisionomia e alla personalità di Elizabeth Bishop che se ne adombrò, non riconoscendosi affatto nel personaggio descritto; se non si giunse alla rottura forse (ma è solo una illazione di chi scrive) fu perché l'arte di perdere, in definitiva, non è praticabile alla leggera.
Un altro riferimento fondamentale fu, per la nostra poetessa, la collega più anziana e affermata Marianne Moore. Esponente già apprezzata del modernismo, ella trasmise alla più giovane letterata l'amore per il rigore stilistico e per l'estrema accuratezza formale. Fu la Moore stessa a dire che la poesia di Elizabeth era "arcaicamente nuova", forse perché pur nell'estremo rispetto della metrica la Bishop esprimeva un atteggiamento per nulla incline alla metafisica o alla trascendenza. Fu sotto l'egida della sua amica Marianne ma anche in seguito alle varie esperienze di viaggio che Elizabeth pubblicò, nel 1946, la sua prima raccolta poetica, "North and South".
Nell'ambito della fitta rete di relazioni letterarie caratteristiche del dopoguerra si colloca, infine, l'intensa amicizia tra la nostra poetessa e il letterato Robert Lowell. Fu un rapporto, in gran parte epistolare, che si snodò lungo trent' anni, dal 1947 alla morte di lui nel 1977. Erano due personalità caratterialmente opposte, lui esuberante ed estroverso, lei schiva e taciturna, lui ispiratore del movimento confessionale degli anni '60, lei lievemente librata sul mondo dell'immanenza senza mai farsi penetrare del tutto dalla realtà.
Il loro rapporto di amicizia e amore reciproco crebbe nonostante la lontananza; la fiducia di Elizabeth nei confronti di Robert era tale che solo a lui permetteva ardite interpretazioni della propria poesia. Più di una volta, nel corso della lunga corrispondenza, Elizabeth confidò a Robert di essere stupita dalla capacità dell'amico di decodificare le simbologie nascoste nelle liriche che lei scriveva e di cogliere gli stati psichici sottostanti. Questa bizzarra storia d'amore, platonica a causa soprattutto delle diverse attitudini sessuali e dei diversi stili di vita, continuò anche dopo il secondo matrimonio di Robert e il lungo soggiorno di Elizabeth in Brasile. Fu in quegli anni che i due poeti si confidarono i drammi più intimi, lei l'alcolismo e la depressione, lui il disturbo bipolare. A questo proposito spesso Elizabeth riusciva a contenere gli eccessi di Robert, sostenendolo e incoraggiandolo anche nei periodi di degenza nell'ospedale psichiatrico, mentre da Robert ella stessa imparava a descrivere in modo meno asettico i propri paesaggi interiori.

Fu proprio su consiglio di Robert che nel 1951 la quarantenne Elizabeth si recò a far visita a una collega di Università del suo amico Lowell. Si trattava di Mary Morse. Ella abitava in una splendida casa sulla collina di Rio de Janeiro, progettata dalla sua compagna Lota de Macedo Soares, architetta paesaggista brasiliana di grande successo. Inizialmente tra quest'ultima e la poetessa Bishop non si instaurò un rapporto di simpatia: il temperamento di Lota, estroversa e passionale, non si amalgamava con quello di Elizabeth il cui elegante distacco veniva spesso scambiato per freddezza. Fu un episodio di asma della nostra poetessa, causato - pare - dalla ingestione casuale di anacardi a prolungare il suo soggiorno brasiliano e ad avvicinare le due donne. Sbocciò un'attrazione che si sarebbe ben presto trasformata in passione. La visita in Brasile che per Elizabeth doveva durare solo pochi giorni si prolungò in un soggiorno di quattordici anni, un periodo fra i più intensi della sua vita, un lunghissimo rapporto d'amore intercalato da numerosi viaggi in Europa e in America Latina. La relazione tra Lota, Mary Morse ed Elizabeth Bishop durante gli anni che seguirono non fu priva di contrasti e rivalità; Lota mantenne la promessa fatta a Mary di adottare una figlia insieme, ma ciò non bastò ad eliminare ogni tensione tra le protagoniste di questo complicato triangolo affettivo.
Lota, comprendendo il bisogno di spazi personali e di isolamento della poetessa Bishop, progettò per lei uno studio sul fianco di una collina, una specie di eremo dove potesse scrivere in assoluta solitudine; in quello stesso periodo l'architetta, impegnatissima, si coinvolgeva sempre più nella costruzione di un gigantesco parco, il Flamengo Park, la più grande area per il tempo libero di Rio de Janeiro. Per Elizabeth furono anni di intenso lavoro e di relativa stabilità, anche se non smise mai di girare il mondo; nel 1961 si recò anche con Aldous Huxley a studiare la vita delle tribù aborigene del Mato Grosso. Risale a questo periodo la nuova raccolta di poesie, "Questions of Travel", contenente venti componimenti dedicati a Lota, che Elizabeth pubblicò nel 1965. Molto apprezzata dalla critica, venne inclusa nella rosa dei candidati al National Book Award di quello stesso anno. Non vinse, però, il riconoscimento in quell’occasione ma se lo aggiudicò nel 1970 con "The Complete Poems". Se dal versante letterario piovevano allori e riconoscimenti tuttavia dal versante personale le crepe nella vita di Elizabeth cominciavano a diventare sempre più dolorose: l'alcoolismo che a ondate si intensificava, le crisi d'asma che peggioravano, la depressione che stendeva il suo artiglio sulla poetessa sempre più sofferente ma sempre capace di distaccarsi dai propri tormenti con un atteggiamento improntato all'autoironia. Un aneddoto riportato dal poeta statunitense James Merrill in visita alla poetessa ci mostra Elizabeth in un momento critico: una sera, accanto alla stufa, con un bicchiere di whisky in mano, al ricordo di un recente dolore era scoppiata in lacrime. Un suo ospite rientrando la vide in quello stato e si arrestò sulla soglia. Lei, riscuotendosi, lo invitò quasi allegramente a entrare e, passando al portoghese, gli disse: ‘Non farci caso, sto solo piangendo in inglese’. ( Traduzione di Ottavio Fatica).

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