Blissett, Luther - Q

El_tipo

Surrealistic member
Q è un romanzo veramente straordinario! mi unisco ai cori di plauso delle precendenti recensioni. Un romanzo storico italiano paragonabile al nome della Rosa per spessore, messaggio, approfondimento letterario e storico, ricerca stilista. Un vero capolavoro del romanzo storico, uno di quei libri che ti aprono nuove porte, che ti accendono la lampadina della curiosità. Uno di quei libri che ti fa affezionare ai personaggi, Magister Thomas, Elias, Gert dal Pozzo e perchè no, lo stesso Q.
ho dato il mio personalissimo 5/5
 
La famiglia di Gian Pietro Carafa aveva in feudo il borgo ove sono nato. Lo stesso Carafa è nato a Sant'Angelo a Scala in provincia di Avellino ove è stato parroco per alcuni anni il no-global Don Vitaliano della Sala. E' divertente pensare che il più anticonformista dei preti italiani, vicino al movimento no-global abbia fatto il parroco nel paese che ha dato i natali al Papa più anacronistico della storia.

Altra cosa che non conoscevo, leggendo la storia dei Fugger è la costruzione della Fuggerei.

Fuggerei - Wikipedia

La scrivo qui, in questo 3d,anche se non ha molto a che fare con Q.
Nel 1532 il feudo ove vivo fu tolto dal Re ad Alfredo Carafa ed assegnato a Ferrante Gonzaga. Son passato da Q a Rinascimento privato.:)
 

handel589

New member
Un romanzo storico sorprendente: ambientato in un'epoca di rivolgimenti e agitazioni straordinarie, piena zeppa di figure giganti (Carlo V, Lutero, Calvino, Erasmo, Francesco I, Enrico VIII, Solimano il Magnifico), i Luther Blissett si muovono fra le pieghe di una storia quanto mai complessa con agilità e competenza, senza sfociare (perlomeno a quanto mi risulta) in sfondoni storici, anzi valorizzando i personaggi di loro creazione facendoli interagire con figure storiche di spicco. Interessanti soprattutto le idee su Lutero, leggermente diverse dalla storiografia ufficiale, che lo esalta come riformista e rivoluzionario della Chiesa, mentre per i Blissett i veri rivoluzionari sono altri, Lutero viene condannato per essersi "venduto" agli elettori del Sacro Romano Impero per contrastare l'enorme potere di Carlo V.
Eccezionale lo stile e la scrittura, frasi brevi, concise e aggressive che portano il lettore a mangiare la pagina con voracità e a buttarsi a capofitto nella successiva. Molto riuscita secondo me anche l'idea di procedere a grandi balzi temporali, il racconto è una sorta di diario scritto dal protagonista, che racconta gli straordinari eventi a cui ha preso parte: espediente narrativo che ho apprezzato molto.
Se c'è da muovere una piccola critica, devo dire che forse il protagonista è proprio il personaggio che si nota di meno, la sua psicologia non è poi particolarmente delineata, avrei gradito una maggiore introspezione; ma è il classico ago nel pagliaio: d'altra parte, il personaggio di Qoèlet è invece eccellente, giganteggia in tutta la storia, nella prima parte con le sue lettere e le sue subdole manovre, per cui anche quando non entra in scena si sente fortissima la sua presenza; e nella seconda parte con il suo diario, altra trovata azzecatissima, nel quale ci svela i suoi sentimenti di uomo consumato da decenni di servizio per un padrone che vuole eliminarlo perché sa troppo. Sicuramente il personaggio più riuscito del libro.

Tirando le somme, un libro notevole, originale e sempre intrigante, un fantastico esordio letterario per i Luther Blissett: promosso a pieni voti, 5/5.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Non si può chiedere molto di più a un libro.
Una trama avvincente, ben congegnata, la compenetrazione del genere storico (fedele, accurato nei dettagli) con... - come chiamarlo?- un giallo,una spy-story, un thriller ante-litteram? Quel che è certo è che non sono riuscita a staccare gli occhi da questo libro, e ho divorato quasi 650 pagine in meno di due settimane.
Una tensione continua, rinnovata ad ogni cambio contesto, la voglia matta di andare avanti per sapere come andrà finire... anche se poi lo si sa già: ce lo dice la Storia, innanzitutto (magari alcuni, di cultura media come la sottoscritta, tanti episodi particolari neanche li conoscevano o comunque non se li ricordavano), e ce lo dicono gli autori stessi, in apertura di ogni “parte”. A che serve nasconderlo, visto che non si tratta di un libro di fantasia?

Tre momenti cruciali della Storia: la vicenda di Thomas Müntzer e la “guerra dei contadini”, conclusasi tragicamente con il massacro della Battaglia di Frankenhausen; l'avvento del regno teocratico di matrice anabattista a Münster e il conseguente assedio che metterà fine al folle esperimento; il tentativo di contrastare la fazione più intransigente della Chiesa cattolica diffondendo le idee, potenzialmente eretiche (ma si sa che a decidere la natura di un'eresia è sempre il vincitore), contenute nel Beneficio di Cristo.
Tre occasioni per cambiare la Storia. Sarebbe potuto succedere? Se le cose – spesso piccole, insignificanti cose – fossero andate diversamente, i secoli a venire ci avrebbero portato differenti protagonisti, prospettive, nemici? Possibile. Soprattutto verso la fine, nello scontro all'ultimo voto fra Reginald Pole e l'inflessibile Gianpietro Carafa, futuro papa Paolo IV, ho sentito come la Storia si costruisce negli scarti infinitesimi e, pur sapendo, ho tremato come se davvero queste pagine potessero riscrivere un finale diverso... ).
Tre occasioni date a noi, oggi, per riflettere sulla portata di quegli eventi, sulla forza che scaturisce da un'oppressione non più tollerabile, ma che sola non può vincere contro le strategie dei potenti, la complessità delle loro alleanze, la sottigliezza delle loro macchinazioni.
Tre momenti cruciali, che leggendo questo romanzo ci appaiono i soli, o se non altro quelli “decisivi”... la forza di un libro risiede in questo, nel farci credere che tutto il mondo sia racchiuso lì, che i personaggi e le vicende raccontate siano le uniche che contano, sicuramente le uniche di cui ci importa sapere in quel momento. Ed è proprio così, è stato così anche per me: gli autori hanno scelto solo tre dei mille scenari possibili, delle mille occasioni mancate, dei mille complotti falliti, e di questi soli ci importa.

Ma le vicende narrate rappresentano anche tre fasi di una vita: quella del protagonista, l'eretico dai mille nomi per cui non possiamo dargliene neanche uno. Forse sbaglio, ma ho sentito di dare anche questa interpretazione al susseguirsi degli eventi. Lo "sdegno", che conduce alla ribellione: il protagonista è un giovane, conquistato da un uomo, Magister Thomas, e da uno scopo, spezzare il giogo. La prima sconfitta segna la disillusione, ma non spegne la voglia di lottare per i propri ideali: ecco allora il sogno che diventa realtà, la profezia che si avvera e... ahimè, non sarà quella che avevamo immaginato, quella per cui abbiamo lottato. Ho trovato la seconda parte, quella dedicata a Münster, davvero straordinaria nel suo mostrare come non basta essere ispirati da ideali positivi, da una fede autentica, per riuscire a realizzare la Nuova Gerusalemme. Un delirio che si ammanta di divino può essere altrettanto pericoloso delle ipocrisie della Chiesa istituzionalizzata... Ma "non rinnegare mai a te stesso ciò per cui hai combattuto. La sconfitta non rende ingiusta una causa."
Sempre in questa seconda parte, ho sentito il protagonista prendere finalmente consistenza, assumere una propria identità, per quanto sia difficile plasmare un personaggio, di pura fantasia, che vive e agisce a contatto con altri realmente vissuti, le cui esistenze sono spesso dettagliatamente documentate.

Infine, il terzo grande capitolo: dopo lo sdegno giovanile, il sogno realizzato e infranto della maturità, ecco la strategia: l'ex Capitano Gert prende finalmente coscienza di chi sono i veri protagonisti di questa guerra e decide di combatterli con le loro stesse armi. E cambia tutto: cambiano l'ambientazione, i metodi, lo stile. Cambia il modo in cui la creazione letteraria si interseca con la realtà. Dal punto di vista narrativo la terza parte è quella decisiva, quella in cui - dopo aver individuato gli artefici che, dietro le quinte, inattaccabili, hanno da sempre portato avanti i loro giochi - le "pedine" che materialmente ne hanno permesso le manovre, le "ombre di cui le cronache non parleranno" emergono dallo sfondo, si affermano: il protagonista e il suo acerrimo nemico, Q, prendono coscienza l'uno dell'altro, e si espongono in prima persona. Il primo penetrando finalmente nel "cuore" di quell'immenso apparato contro cui ha combattuto per tutta la vita: la Chiesa di Roma, il secondo – semplicemente, e finalmente – rivelandosi.
In questa resa dei conti, che tanto si addice a un thriller contemporaneo, è racchiuso tutto il meglio e il peggio di questo libro: la tensione è altissima, trama e colpi di scena prevalgono sulla componente storica, rendendo la narrazione più avvincente ma anche - passatemi il termine – più "commerciale"... gli autori ammiccano al lettore, e io per prima mi sono fatta conquistare. Perché no? La sola descrizione di Venezia, splendida e veritiera, perdona tutte le colpe, e poi un libro non è fatto anche per intrigare, catturare, trascinare?

L'operazione compiuta da Blissett non era cosa facile: inventare di sana pianta un personaggio, dargli credibilità senza che interferisse con ciò che è realmente accaduto (i tanti nomi non sono anche un simbolo? dietro quest'unico personaggio non si nascondono tante figure anonime di cui la Storia non ci ha lasciato traccia?), e il risultato rende giustizia a tanto lavoro. Concordo comunque nel definire Q il personaggio più riuscito dell'intero romanzo... lui, la vera "pedina", colui che ha combattuto la guerra di altri non da mercenario, ma da servo fedele, lui che ha inflitto tante sconfitte e che per ultima ha visto la propria. Magnifica creazione letteraria che meritatamente dà il titolo a questo libro.
Consigliatissimo.
 
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Non si può chiedere molto di più a un libro.
Una trama avvincente, ben congegnata, la compenetrazione del genere storico (fedele, accurato nei dettagli) con... - come chiamarlo?- un giallo,una spy-story, un thriller ante-litteram? Quel che è certo è che non sono riuscita a staccare gli occhi da questo libro, e ho divorato quasi 650 pagine in meno di due settimane.
Una tensione continua, rinnovata ad ogni cambio contesto, la voglia matta di andare avanti per sapere come andrà finire... anche se poi lo si sa già: ce lo dice la Storia, innanzitutto (magari alcuni, di cultura media come la sottoscritta, tanti episodi particolari neanche li conoscevano o comunque non se li ricordavano), e ce lo dicono gli autori stessi, in apertura di ogni “parte”. A che serve nasconderlo, visto che non si tratta di un libro di fantasia?

Tre momenti cruciali della Storia: la vicenda di Thomas Müntzer e la “guerra dei contadini”, conclusasi tragicamente con il massacro della Battaglia di Frankenhausen; l'avvento del regno teocratico di matrice anabattista a Münster e il conseguente assedio che metterà fine al folle esperimento; il tentativo di contrastare*la fazione più intransigente della Chiesa cattolica diffondendo le idee, potenzialmente eretiche (ma si sa che a decidere la natura di un'eresia è sempre il vincitore), contenute nel Beneficio di Cristo.
Tre occasioni per cambiare la Storia. Sarebbe potuto succedere? Se le cose – spesso piccole, insignificanti cose – fossero andate diversamente, i secoli a venire ci avrebbero portato altri protagonisti, diverse prospettive e differenti nemici? Possibile. Soprattutto verso la fine, nello scontro all'ultimo voto fra Reginald Pole e l'inflessibile Gianpietro Carafa, futuro papa Paolo IV, ho sentito come la Storia si costruisce negli scarti infinitesimi e, pur sapendo, ho tremato come se davvero queste pagine potessero riscrivere un finale diverso... ).
Tre occasioni date a noi, oggi, per riflettere sulla portata di quegli eventi, sulla forza che scaturisce da un'oppressione non più tollerabile, ma che sola non può vincere contro le strategie dei potenti, la complessità delle loro alleanze, la sottigliezza delle loro macchinazioni.
Tre momenti cruciali, che leggendo questo romanzo ci appaiono i soli, o se non altro quelli “decisivi”... la forza di un libro risiede in questo, nel farci credere che tutto il mondo sia racchiuso lì, che i personaggi e le vicende raccontate siano le uniche che contano, sicuramente le uniche di cui ci importa sapere in quel momento. Ed è proprio così, è stato così anche per me: gli autori hanno scelto solo tre dei mille scenari possibili, delle mille occasioni mancate, dei mille complotti falliti, e di questi soli ci importa.

Ma le vicende narrate rappresentano anche tre fasi di una vita: quella del protagonista, l'eretico dai mille nomi per cui non possiamo dargliene neanche uno. Forse sbaglio, ma ho sentito di dare anche questa interpretazione al susseguirsi degli eventi. Lo "sdegno", che conduce alla ribellione: il protagonista è un giovane, conquistato da un uomo, Magister Thomas, e da uno scopo, spezzare il giogo. La prima sconfitta segna la disillusione, ma non spegne la voglia di lottare per i propri ideali: ecco allora il sogno che diventa realtà, la profezia che si avvera e... ahimè, non sarà quella che avevamo immaginato, quella per cui abbiamo lottato. Ho trovato la seconda parte, quella dedicata a Münster, davvero straordinaria nel suo mostrare come non basta essere ispirati da ideali positivi, da una fede autentica, per riuscire a realizzare la Nuova Gerusalemme. Un delirio che si ammanta di divino può essere altrettanto pericoloso delle ipocrisie della Chiesa istituzionalizzata... Ma "non rinnegare mai a te stesso ciò per cui hai combattuto. La sconfitta non rende ingiusta una causa."
Sempre in questa seconda parte, ho sentito il protagonista prendere finalmente consistenza, assumere una propria identità, per quanto sia difficile plasmare un personaggio, di pura fantasia, che vive e agisce a contatto con altri realmente vissuti, le cui esistenze sono spesso dettagliatamente documentate.

Infine, il terzo grande capitolo: dopo lo sdegno giovanile, il sogno realizzato e infranto della maturità, ecco la strategia: l'ex Capitano Gert prende finalmente coscienza di chi sono i veri protagonisti di questa guerra e decide di combatterli con le loro stesse armi. E cambia tutto: cambiano l'ambientazione, i metodi, lo stile. Cambia il modo in cui la creazione letteraria si interseca con la realtà. Dal punto di vista narrativo la terza parte è quella decisiva, quella in cui - dopo aver individuato gli artefici che, dietro le quinte, inattaccabili, hanno da sempre portato avanti i loro giochi - le "pedine" che materialmente ne hanno permesso le manovre, le "ombre di cui le cronache non parleranno" emergono dallo sfondo, si affermano: il protagonista e il suo acerrimo nemico, Q, prendono coscienza l'uno dell'altro, e si espongono in prima persona. Il primo penetrando finalmente nel "cuore" di quell'immenso apparato contro cui ha combattuto per tutta la vita: la Chiesa di Roma, il secondo – semplicemente, e finalmente – rivelandosi.
In questa resa dei conti, che tanto si addice a un thriller contemporaneo, è racchiuso tutto il meglio e il peggio di questo libro: la tensione è altissima, trama e colpi di scena prevalgono sulla componente storica, rendendo la narrazione più avvincente ma anche - passatemi il termine – più "commerciale"... gli autori ammiccano al lettore, e io per prima mi sono fatta conquistare. Perché no? La sola descrizione di Venezia, splendida e veritiera, perdona tutte le colpe, e poi un libro non è fatto anche per intrigare, catturare, trascinare?

L'operazione compiuta da Blissett non era cosa facile: inventare di sana pianta un personaggio, dargli credibilità senza che interferisse con ciò che è realmente accaduto (i tanti nomi non sono anche un simbolo? dietro quest'unico personaggio non si nascondono tante figure anonime di cui la Storia non ci ha lasciato traccia?), e il risultato rende giustizia a tanto lavoro. Concordo comunque nel definire Q il personaggio più riuscito dell'intero romanzo... lui, la vera "pedina", colui che ha combattuto la guerra di altri non da mercenario, ma da servo fedele, lui che ha inflitto tante sconfitte e che per ultima ha visto la propria. Magnifica creazione letteraria che meritatamente dà il titolo a questo libro.
Consigliatissimo.



13 ore di applausi
 

HOTWIRELESS

d'ya think i'm stupid?
un'opera a più mani, questa di Blisset-Wu Ming, cui vanno riconosciuti svariati meriti.
il primo, oggettivo, di parlare ai più di un periodo storico che nella scuola ci viene quasi nascosto, minimizzato e sottovalutato. forse perché la chiesa cattolica non ne esce molto bene, tra spartizione del potere con la nobiltà, utilizzo dell'inquisizione per i suoi meri interessi in realtà poco affini al culto divino, la brutalità delle armi nel sopprimere quei movimenti religiosi cristiano-alternativi-eretici.
il secondo, di farci aprire gli occhi su un altro aspetto di cui nell'insegnamento scolastico non si è mai accennato. lo strapotere delle banche nella storia. chiunque volesse organizzare un esercito o una qualsiasi iniziativa aveva bisogno di prestiti, che andavano come oggi restituiti con gli interessi, e si ottenevano con garanzie e sottoscrizione di impegni. a ciò non sfuggivano nemmeno gli imperatori. e spesso grandi imprese dagli altisonanti obiettivi, anche religiosi, tipo le crociate, deviavano su mascalzonate necessarie per mantenere integro il business. idem per molte vicende di stampo internazionale, ma anche di affermazione di un credo sugli altri.
dietro le quinte la storia è stata fatta in gran parte da famose dinastie di banchieri e finanzieri, che hanno imposto le loro regole a nobili e religiosi per i propri interessi, condizionando la politica e la storia. altro che ideologie ed eroi...
da qui ad aprire gli occhi sulla massoneria il passo è breve. e se vogliamo, l'impostazione di fondo di Q, con i debiti distinguo, non è poi a ben vedere così lontana da quella del Cimitero di Praga di Umberto Eco.
il terzo, fare il parallelo con il post 68, con vicende che pur in veste metaforica ben riproducono allegoricamente certi meccanismi ben sintetizzati nel famoso testo dei Nomadi di Guccini: dio è morto! nel senso che la violenza della controriforma nel soffocare il fermento progressista e libertario dei vari movimenti protestanti anti papali, ben rappresenterebbe la restaurazione conservatrice che spense il fervore del 68.
infine l'aspetto propriamente letterario. molti criticano il fatto che la lettura non risulti omogenea, causa l'evidente diversità stilistica e anche sintattica tra i brani rispettivamente stesi dai vari autori. per altri il pregio sta proprio lì, nel rendere la lettura varia ed avvincente superando quella noia cui rischierebbe di condannare il lettore un simile libro se fosse di un unico genere ben definito ed omogeneo.
per l'inserimento a volte improbabile e forzato del protagonista -inventato, ma molto credibile come caratteristiche, che riassumono quelle tipiche di un uomo comune di quel tempo- nelle vicende storiche reali salienti, tra personaggi veramente esistiti, con artifici e passaggi di scena alle volte anche banali e ingenui, a me è venuto in mente Forrest Gump...
altri lo hanno definito, per i suoi meccanismi portanti, un moderno western ecclesiastico.
a me è piaciuto proprio per l'insieme di tutti questi obiettivi, che in definitiva sono stati più che sufficientemente trattati nonostante l'ambizione fosse forse eccessiva, ottenendo in più una narrativa tutto sommato piacevole e scorrevole.
niente a che vedere con pallidissime ed anonime emulazione marcatamente commerciali, sul tipo de Il Mercante di Libri Maledetti e altre ciofeche similari.

Hot
 
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Zingaro di Macondo

The black sheep member
Q è un romanzo intrigante e difficile, storico e di fantasia, pesante e leggero.

E' tante cose messe insieme, e mi vien difficile trovargli un difetto rilevante.

Facile, invece, scovare quello piccolo; ho trovato i personaggi, nessuno escluso, un po’ stereotipati, troppo “radicalizzati” nella loro natura più estrema. Difficile pensare gli anabbatisti continuare a dire parolacce o a pensare in modo perennemente enfatico. Un calcare la mano in linguaggi e situazioni che, in certi punti, ho trovato un po’ fastidiosi. E' un un peccato, perché, al contrario, le ambientazioni sono rese in modo straordinariamente vivido e razionale.

Un difetto leggermente fastidioso a fronte di pagine di elogi, tante quante ne servirebbero per coprire la vasta gamma di emozioni che il libro mi ha regalato.

E' un romanzo a scatole cinesi: la macrostoria è la Controriforma, ma dentro ci trovi religione e società, guerra tra poveri e ricchi, la storia che si ripeterà, dopo il 1500, tra ribellione e conformismo, e, ancora, della ribellione alla ribellione. E così via.

Sinceramente non ho trovato molte pagine da “contro storia ufficiale”, al contrario mi sembra che i fatti siano raccontati con estrema perizia e lucidità. Forse è questo che manca nei testi "ufficiali" o forse è questo che alle volte non ci diamo il tempo di cercare: il particolare, il racconto, l'approfondimento.

La finestra, aperta a tante interpretazioni, storiche e sociologiche in primis, è rappresentata dal protagonista-fantasma dal quale il libro prende il titolo. Spunto necessario per creare quel senso di mistero che porta il romanzo storico nelle nebbie di una spy story moderna. Operazione ben riuscita e quasi necessaria per allegerire un romanzo che, altrimenti, poteva prendere la deriva del nozionismo.

Ho letto con attenzione tutti i vostri commenti e non ho da aggiungere altro. O forse avrei da dire tante di quelle cose, che il dirne poche sarebbe limitativo.

Anche io sostengo che sia un romanzo necessario.

Votato 4/5

 
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bouvard

Well-known member
Bello. Da leggere.
Ho letto i commenti entusiasti che precedono il mio e sono d’accordo con alcune affermazioni, ma non con tutte. D’altronde ognuno ha i suoi gusti, ed ognuno cerca e, di conseguenza, trova nei libri qualcosa di diverso dagli altri. Q è più bello o è meno bello de Il nome della rosa? Qualsiasi risposta si dia sarà comunque una risposta valida perché sono due ottimi libri entrambi, perciò a fare la differenza saranno solo il gusto e gli interessi personali del singolo lettore. Io preferisco Il nome della rosa, Q è – sia chiaro secondo me - un bel libro, ben congegnato, ben scritto, ma con due ma rispetto al Nome della rosa.
1. Bello, ma... il linguaggio a volte mi ha infastidito. Perché dei contadini o degli artigiani debbono per forza parlare in modo volgare e scurrile? Chi lo dice? Alcune espressioni mi sono sembrate troppo moderne, sono “nostre” espressioni, non delle persone del Cinquecento. Poi magari a sbagliare sono io, ed effettivamente nel cinquecento si parlava in quel modo colorito e si usavano espressioni anche peggiori, ma mi hanno infastidito lo stesso. Qualche caz*o e qualche cogl*one in meno non avrebbero guastato.
2. Bello, ma… troppe coincidenze, troppe “soluzioni” facili. Le coincidenze che fanno conoscere a Gert del Pozzo le persone giuste al momento giusto mi ha fatto storcere un po’ il naso. Per caso ad Anversa conosce Eloi, per caso a Venezia conosce i fratelli Miquez, per una coincidenza ancora più incredibile a Finale Emilia conosce il cardinale Giovanni Maria Del Monte Ciocchi futuro Papa Giulio III. Uhm…
Sono due piccoli ma che me lo fanno definire bello, ma non bellissimo, ma che non mi impediscono di consigliarlo.
 

velmez

Active member
io credo, invece, che il linguaggio, sia frutto di una ricerca non indifferente... conoscendo le "carriere scolastiche" degli autori, mi viene da pensare che sia piuttosto affidabile...

effettivamente, non è impensabile che, specialmente i contadini e le persone meno istruite, fossero molto più scurrili di noi... :mrgreen:
 

bouvard

Well-known member
io credo, invece, che il linguaggio, sia frutto di una ricerca non indifferente... conoscendo le "carriere scolastiche" degli autori, mi viene da pensare che sia piuttosto affidabile...

effettivamente, non è impensabile che, specialmente i contadini e le persone meno istruite, fossero molto più scurrili di noi... :mrgreen:

Ma ad usare un linguaggio scurrile non sono solo i contadini. Lo stesso Q ad esempio nel suo diario scrive "Li tengo tutti per le palle", già questa a me è sembrata un'espressione troppo "moderna". Comunque io ho criticato soprattutto la "quantità" di linguaggio scurrile, anche oggi non siamo tutti accademici della crusca - e penso che anche gli accademici fra le quattro pareti domestiche non siano sempre accademici nel loro linguaggio :wink: - ma non so nel libro tutti quei c... mi ha infastidito. Ma come ho detto è questione di valutazioni, gusti personali che non intaccano la validità dell'opera.
 

MarcoS

New member
Un libro che ho letto tanto tempo fà.Quindi non mi soffermo su trama,stile,pregi e difetti,in quanto avrei bisogno di un'analisi più dettagliata che solo una nuova lettura potrebbe garantirmi.
L'aspetto positivo che voglio sottolineare è che il libro riesce,almeno nel mio caso,a suscitare la curiosità di approfondire le vicende storiche che vengono in parte trattate..Normalmente parlo per me,ma quando si discuteva al liceo di riforma protestante l'unico nome che comunemente usciva dalle bocche di noi alunni era quello di Martin Lutero.Melantone,Muntzer e la relativa guerra dei contadini erano dei meri personaggi secondari,dei nomi non degni del valido approfondimento.Per non parlare della rivolta di Munster,Matthys,Bokelson,i Fugger e Papa Paolo IV.
 

ila78

Well-known member
Ci ho messo un sacco a finirlo, non perchè sia noioso tutt'altro, non avevo sufficiente tempo da dedicargli e mi è dispiaciuto un sacco, soprattutto perché l'opera merita sicuramente un approfondimento storico dei fatti narrati, che, almeno per quanto mi riguarda, avrebbe permesso di "entrare" più a fondo nelle vicende; come ha già scritto qualcuno, la mia conoscenza della riforma protestante è scolastica e si limita a Lutero, il resto, lo ammetto lo ignoravo completamente.
Nulla da aggiungere sull'indiscussa bellezza del libro, avete già detto tutto voi. Voto 5/5
 
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