Io ho pubblicato con loro. Cercherò di farla più breve possibile. Lavoro nell'editoria da tredici anni, conosco l'ambiente e so quante possibilità possa avere un esordiente. Senza troppi giri di parole, tanti esordienti che arrivano ai grossi editori hanno le spalle coperte: il babbo professore universitario, amicizie negli ambienti bene e via dicendo. Ci sono anche esordienti che pubblicano grazie alla fiducia dell'editore, a volte anche piccolo editore. Ma per i casi che conosco, l'editore ci ha messo molto del suo in termini di contributo alla scrittura (in parole povere: il testo è stato rimaneggiato). Detto tutto quanto sopra, c'è poco da farsi illusioni. Non siamo tutti grandi scrittori, non siamo tutti fortunati e non siamo tutti raccomandati. Perciò se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna. L'editore è stato molto corretto, non ci sono state sorprese di alcun tipo rispetto ai patti contrattuali. Si danno parecchio da fare in termini di pubblicità, concorsi e via dicendo, anche più di quanto io abbia il tempo di seguire. Sicuramente gli ho sfrantumato l'anima per le bozze che ho corretto duecento volte, ma questo dipende solo dal fatto che faccio il loro stesso mestiere, purtroppo per loro. Chi ha letto il libro lo ha trovato divertente e scritto bene. Non mi illudevo di fare alta letteratura, ma sono rimasta contenta. Di sicuro non si diventa ricchi, ma se qualcuno pensa di fare i soldi di un certo comico divenuto scrittore è meglio che sappia che ha avuto una quota di interessi abbastanza fuori della norma. Gli altri riescono tutt'al più a comprarsi l'abbonamento al tram da dieci corse dopo un anno di vendite. Illudersi oggi di diventare il novello Manzoni, poi, ricordato nei secoli a venire va bene solo per gli sciocchi. Meglio tenere i piedi per terra. Poi chissà. Ad maiora. Si campa una volta sola. Non si danneggia nessuno pubblicando il _proprio_ libro con i _proprii_ soldi. E non mi sento in colpa verso un mercato editoriale che sforna i varii Faletti, Moccia e Barbery facendoli passare per capolavori. Le cose di cui vergognarsi sono altre. Appiccicare il proprio nome alle cose scritte dagli altri, per esempio, e costruirsi un personaggio senza saper mettere due parole in croce. A tutti i livelli: dal professore universitario che mette la firma sui lavori dei dottorandi allo scrittore che usa il negro, da chi firma le traduzioni degli altri al meschino pseudointellettuale che scopiazza in rete per compensare frustrazioni da emerita nullità. Queste sono le sporcacciate, non certo farsi pubblicare un libro mettendoci la propria faccia.