julia
b
L'esilio è un tema a me molto caro che mi accompagna da molto tempo.
Lo è talmente tanto da avere la necessità di incontrare e leggere le storie d'esilio che non cessano mai di essere.
Ci sono scrittori che, avendolo vissuto, subito, scelto, hanno scritto le loro migliori opere da lontano.
Uno di questi è Juan Gelman, mio connazionale, che ha vissuto molti anni a Roma, in esilio, scegliendo il non ritorno.
Vi propongo qualche suo brano per lanciare le nostre riflessioni sugli scrittori dell'esilio.
"E' difficile ricostruire quello che è successo, la verità della memoria lotta contro la memoria della verità. Sono passati anni, i morti e gli odii si accatastano, l'esilio è una mucca che può dar latte avvelenato, alcuni sembrano alimentati così.
Nella colonia argentina esiliata prepondera l'apatia politica e di altro tipo. Si lavora o no, si studia o no, si impara la lingua del paese in cui si sta o no, si ricostruisce la vita o no. Le donne passano come fiumi, le si ama o no, le si trattiene o no.
Il bisogno di autodistruggersi e quello di sopravvivere lottano tra loro come due fratelli divenuti pazzi. Mettiamo gli abiti nell'armadio ma non abbiamo disfatto le valigie dell'anima. Passa il tempo e il modo di negare lo sradicamento è negare il paese dove si è, negare la sua gente, la sua lingua, rifiutarli come testimoni concreti di una mutilazione: la nostra terra è lontana, cosa ne sanno questi nativi delle sue voci, dei suoi uccelli, dei suoi lutti, delle sue perturbazioni.
Sono molto diversi da noi. Non si preoccupano davvero di noi. Non soffrono l'ingiustizia che ci è accaduta. I più solidali provano vergogna per noi. E' un loro problema ma incide su di noi. E' come se il dialogo tra stranieri su qualcosa di apparentemente comprensibile - il dolore degli uni - fosse confezionato da parte degli altri in pudori, candori, paternalismi, usanze.
Mai ci metteremo d'accordo. E molte volte saremo ingiusti, confonderemo l'umiltà con la superbia, la riserva con il mancato impegno, la volontà di non ferire con la volontà di non sapere.
Siamo malati. Cercheremo impegni con il Museo del Prado, con Santa Maria Maggiore, con la Place de la Contrescarpe, con il Paseo de la Reforma, con le scale mobili di Caracas, con Hyde Park di Londra. Sono impegni da stupidi e durano una stupidaggine. La meraviglia passa, il dolore resta. Come il fuoco dell'anima, resta.
Resta.
Forse il cielo non è lo stesso? Il cielo non è lo stesso. Dove sarà la Croce del Sud se non a sud? Non è lo stesso sole? No. Forse illumina Buenos Aires? Lo fa molte ore dopo, quando io non ci sono più.
Un altro colore del cielo, pioggia estranea, luce che la mia infanzia non conosce."
Roma/9-5-80
Bajo la lluvia ajena (notas al pie de una derrota)
Juan Gelman
Lo è talmente tanto da avere la necessità di incontrare e leggere le storie d'esilio che non cessano mai di essere.
Ci sono scrittori che, avendolo vissuto, subito, scelto, hanno scritto le loro migliori opere da lontano.
Uno di questi è Juan Gelman, mio connazionale, che ha vissuto molti anni a Roma, in esilio, scegliendo il non ritorno.
Vi propongo qualche suo brano per lanciare le nostre riflessioni sugli scrittori dell'esilio.
"E' difficile ricostruire quello che è successo, la verità della memoria lotta contro la memoria della verità. Sono passati anni, i morti e gli odii si accatastano, l'esilio è una mucca che può dar latte avvelenato, alcuni sembrano alimentati così.
Nella colonia argentina esiliata prepondera l'apatia politica e di altro tipo. Si lavora o no, si studia o no, si impara la lingua del paese in cui si sta o no, si ricostruisce la vita o no. Le donne passano come fiumi, le si ama o no, le si trattiene o no.
Il bisogno di autodistruggersi e quello di sopravvivere lottano tra loro come due fratelli divenuti pazzi. Mettiamo gli abiti nell'armadio ma non abbiamo disfatto le valigie dell'anima. Passa il tempo e il modo di negare lo sradicamento è negare il paese dove si è, negare la sua gente, la sua lingua, rifiutarli come testimoni concreti di una mutilazione: la nostra terra è lontana, cosa ne sanno questi nativi delle sue voci, dei suoi uccelli, dei suoi lutti, delle sue perturbazioni.
Sono molto diversi da noi. Non si preoccupano davvero di noi. Non soffrono l'ingiustizia che ci è accaduta. I più solidali provano vergogna per noi. E' un loro problema ma incide su di noi. E' come se il dialogo tra stranieri su qualcosa di apparentemente comprensibile - il dolore degli uni - fosse confezionato da parte degli altri in pudori, candori, paternalismi, usanze.
Mai ci metteremo d'accordo. E molte volte saremo ingiusti, confonderemo l'umiltà con la superbia, la riserva con il mancato impegno, la volontà di non ferire con la volontà di non sapere.
Siamo malati. Cercheremo impegni con il Museo del Prado, con Santa Maria Maggiore, con la Place de la Contrescarpe, con il Paseo de la Reforma, con le scale mobili di Caracas, con Hyde Park di Londra. Sono impegni da stupidi e durano una stupidaggine. La meraviglia passa, il dolore resta. Come il fuoco dell'anima, resta.
Resta.
Forse il cielo non è lo stesso? Il cielo non è lo stesso. Dove sarà la Croce del Sud se non a sud? Non è lo stesso sole? No. Forse illumina Buenos Aires? Lo fa molte ore dopo, quando io non ci sono più.
Un altro colore del cielo, pioggia estranea, luce che la mia infanzia non conosce."
Roma/9-5-80
Bajo la lluvia ajena (notas al pie de una derrota)
Juan Gelman