Bellissima sorpresa questa di Calvino, autore che (mea culpa) conosco poco e non leggevo da molto! Sorpresa perché ho iniziato questo libro senza avere la minima idea di cosa trattasse, per cui, senza sapere bene cosa aspettarmi, mi sono lasciata coinvolgere pian piano dall'atmosfera drammatica e al tempo stesso quasi onirica, fiabesca, di cui il romanzo si compone. Se è possibile una tale paradossale mescolanza di impressioni, questo è dovuto al fatto che tutto ciò che accade passa attraverso il filtro del sentire di Pin: il bambino che gioca a fare il grande, il bambino a cui piace stare coi grandi e farsi apprezzare da loro, ma allo stesso tempo vuole restare bambino perché i “grandi” – ossessionati dalla politica e dalle donne – non li capisce. Questo senso di sottile estraneità al mondo che lo circonda – nonostante la sua esuberanza, nonostante la sua ostentata strafottenza, quando “sfida” i suoi compagni adulti sul loro stesso terreno – e che giunge fino a noi lettori, è ciò che – credo – fa di questo romanzo qualcosa di speciale e difficilmente etichettabile.
La guerra (ma non solo: potremmo dire tutte le contraddizioni politiche e sociali, l'opportunismo... alla fin fine l'ignoranza nella quale si dibattono la maggior parte dei personaggi, derelitti della società relegati a un ruolo marginale persino nell'adempimento del loro dovere patriottico) è raccontata attraverso gli occhi di questo bambino fuori dal comune, e giunge a noi deformata come le parole sconosciute delle quali non osa chiedere il significato: “sten”, “gap”...
Per questo il racconto mantiene una freschezza che difficilmente si concilierebbe con l'argomento trattato, per questo sembra di leggere più una fiaba che non la trasposizione realistica di uno stralcio di guerra partigiana. Certo che l'intento di Calvino non era quello di raccontarci la guerra “da fuori” e se, invece, nello scrivere questo romanzo, ha cercato di farci sentire quel po' di Pin che si annida in ciascuno dei personaggi, e in ciascuno di noi (credo che tutti abbiamo il nostro “sentiero dei nidi di ragno” da custodire gelosamente...), allora direi proprio che ci è magnificamente riuscito.
La guerra (ma non solo: potremmo dire tutte le contraddizioni politiche e sociali, l'opportunismo... alla fin fine l'ignoranza nella quale si dibattono la maggior parte dei personaggi, derelitti della società relegati a un ruolo marginale persino nell'adempimento del loro dovere patriottico) è raccontata attraverso gli occhi di questo bambino fuori dal comune, e giunge a noi deformata come le parole sconosciute delle quali non osa chiedere il significato: “sten”, “gap”...
Per questo il racconto mantiene una freschezza che difficilmente si concilierebbe con l'argomento trattato, per questo sembra di leggere più una fiaba che non la trasposizione realistica di uno stralcio di guerra partigiana. Certo che l'intento di Calvino non era quello di raccontarci la guerra “da fuori” e se, invece, nello scrivere questo romanzo, ha cercato di farci sentire quel po' di Pin che si annida in ciascuno dei personaggi, e in ciascuno di noi (credo che tutti abbiamo il nostro “sentiero dei nidi di ragno” da custodire gelosamente...), allora direi proprio che ci è magnificamente riuscito.