il fascino dell'alba (per tacer dei tramonti)
Questo romanzo è un capolavoro assoluto. 5/5.
Provo a spiegare perché per me lo è, cosa ci ho trovato dentro io: una profonda ed originalissima riflessione romanzata sulla letteratura nonché come riflesso (allegorico ma non troppo) della vita.
Bene… cosa preferite ragazze e ragazzi, l’alba o il tramonto? Per parte mia non ho dubbi: ho sempre preferito l’alba. Lucida, algida e carica di promesse. Altro affare rispetto a quella cosa carica di “the end”, calda ed appiccicaticcia che è il tramonto…” Se una notte d’inverno…” parla di questo, racconta, in modo originalissimo, l’ineffabile fascino dell’ “inizio”. L’incipit. Quando ancora tutto è da definirsi, quando la storia, qualsiasi storia, non s’è ancora dipanata, eppure lì, nell’incipit, sono nascoste e collassate, come in un misterioso contenitore, chissà come tutte le possibilità.. l’incipit, con il suo carico imperscrutabile di “tutto quel che può succedere”. Come un mattino appunto, come un’alba, fresca, nuova di zecca appena uscita dalle mani di Dio. Si sono belli gli inizi, ma finiti nel tempo.
Qui la sottile e amara riflessione che si legge in filigrana ad ogni riga, di più, finanche nella struttura dei capitoli del romanzo stesso. Quasi che l’accadere, il prender corpo, il declinarsi in storia di quell’incipit diluisse, svilisse con la sua concretezza e le sue miserie il carico di bellezza che c’era all’inizio. Come se il succo fosse tutto lì, nell’inizio appunto, ed il succedere delle cose in qualche modo lo stemperasse fino a renderlo insipido e finanche amaro...
Cosa allora di meglio di un libro fatto tutto di inizi? Sarebbero belli dei libri scritti così, o meglio, -perché questo è il punto davvero!- in grado di “mantenere intatta nel tempo, per sempre, la bellezza di un inizio”.. Sarebbe bella la nostra vita così… sembra suggerire Calvino, sempre fresca e nuova…
Credo sia l’unico libro in cui, a distanza di tempo, quel che si ricorda davvero è la sua struttura, fatta così, di tanti incipit. Sul modo con cui è scritto, pieno pieno di riflessioni e considerazioni dense e sommamente evocative e profonde, sullo stile, levigato e perfetto, sulle trovate delle storie, sulla padronanza da artigiano sommo con cui i diversi stili letterari vengono maneggiati non mi soffermo. Bisogna leggerlo.. siamo ai livelli massimi cui la scrittura può arrivare. Qualcuno ha scritto che lo stile di questo romanzo è “galileiano”. Trovo molto azzeccata questa definizione. Il testo scorre così, in un moto perfetto come una biglia su un piano inclinato in condizioni ideali.
Però. C’è sempre un però. Come forse potranno osservare gli users un po’ più avanti negli anni o semplicemente con un vissuto che sia, in termini di volumi, in qualche modo significativo e non trascurabile. Quando gli inizi diventano troppi, o meglio, quando tutto (il romanzo, la vita, le nostre cose..) si articola in una sequenza di inizi senza fine, allora gli inizi stessi diventano “storia” e sono loro stessi a diluire in un retrogusto amaro, con un insospettabile fuoco amico, il loro stesso fascino. Senza contare che la vita logora sempre un po', e tanti inizi possono essere letti e vissuti addirittura guccinianamente, “chi glielo dice a chi è giovane adesso, di quante volte si possa sbagliare, fino al disgusto di ricominciare…” e lasciano comunque la sete, il desiderio della storia e del suo compimento. Già… a ben pensarci anche i tramonti sono belli…
Ci dovrà pur essere un filo rosso che dia un senso a tutto, dovrà pur esserci da qualche parte un punto di accumulazione, un posto, una persona, una storia, quel che il cuore di ciascuno di noi desidera insomma, in cui si raccordino quei cerchi impazziti e fragili delle nostre esistenze. Ed infatti Calvino scrive: ”Quale storia liggiù attende la fine? “ Si, ci dovrà pur essere un punto così, sembra dire Calvino finanche con i titoli di ogni capitolo, che a leggerli tutti insieme sembrano costruire, nel tempo, qualcosa di senso compiuto…
E qui il colpo da maestro. Il punto di accumulazione è a sua volta “un inizio”. Ma di qualità diversa, di rango superiore, il “vero” inizio. Il romanzo si chiude così. Il lettore e la lettrice, ormai sposi, che sono accanto nello stesso letto, ognuno legge il suo libro poco prima di addormentarsi. Si danno la buonanotte e spengono l’abat jour. Come sarà la storia di quest’uomo e di questa donna? Non lo sappiamo. Il racconto si ferma qui. E’ così che termina il libro, con un ultimo inizio, lasciandoci il sospetto che il bello cominci ora. Che questo inizio sia un "altro tipo" di inizio.
Già… Come se il problema delle nostre vite in fondo fosse tutto qui. Nella nostra capacità di saper riconoscere l’accadere del “nostro ‘vero’ inizio”, quale che esso sia, se, (ahimè nessuna certezza è data a noi mortali…) e quando il “vero” inizio ci si propone.