Dayan'el
Σκιᾶς ὄνα
Discutere delle scienze dell'anima, almeno nelle loro declinazioni indaganti la 'pura psiche', implica sempre un concetto di per sé disastrosamente dannoso, esiziale, contrario all'essenza stessa di Mater Natura: la normalità. La psicologia da una parte, nell'accanita e insulsa e vana ricerca di formalizzazione dei processi dell'Io, assunto quest'ultimo a fondamento dell'intera disciplina quando è da dimostrarne l'esistenza 'non metaforica'; nella catalogazione minuta e puntigliosa di casi, terapie, recrudescenze e guarigioni (?) e nella ricerca spasmodica di un kit di modelli (comportamentali, sistemici, cognitivi) cui tendere e da adottare di fronte alla moltitudine del genere umano; nell'arbitraria scissione della realtà in patologica e normale, incapace come si dimostra di fornire elementi di credibilità, nonché un valido criterio di cernita, d'altra parte impossibile da fornire in quanto inesistente; nella sua azione sommersa ed estesa, silenziosa ed endemica, al pari - per celiare un poco - delle mafie: tende sempre ad isolare le nevrosi più che le psicosi, piccoli disagi quotidiani, lievi increspature del comportamento, e quindi dalla presunta aura inoffensiva si insinua negli angoli liberi, esattamente dove è più difficile trovarla: in piena vista. Dall'altra parte, di poi, troviamo una delle peggiori infamie umane, la psichiatria nella sua essenza antiumana, innaturale, folle. E ancora una volta è il concetto-faro della normalità a legittimare la nascita e la proliferazione di questa scienza dalle salde basi cristiane, essendo null'altro che la secolarizzazione/medicalizzazione del male religioso: l'istituzione civile per eccellenza del Cristianesimo, laddove si fa carico del grande messaggio della carità e della salvazione, trasponendolo in chiave medica. Sulle spalle dello psichiatra grava la stessa missione del curato, isolare la devianza, circoscrivere e curare: non siamo qui nei domini della medicina autentica, dei mali del corpo, della malattia in senso stretto. Al contrario, normalità e psicopatia hanno confini estremamente labili e manipolabili a seconda dei tempi, delle risorse, delle conoscenze (?). E' per questo che in luogo del Tribunale dell'Inquisizione sorge, ad incarnare la pietà di Cristo, il manicomio, e, ancor prima, la stultifera navis. E' di fatto la sua stessa esistenza in quanto disciplina dello scibile a renderla esecranda, pericolosissima, ignominiosa nella sua perpetua arroganza 'scientista'; nel suo centellinare il portentoso complesso della natura distribuendo definizioni e diagnosi secondo la logica del paradosso: già, perché l'atto di presunzione che la religione e la psichiatria sono riflettono pari pari il paradosso di Russell, dell'elemento paragonato all'intero insieme; nel suo disporre dei destini altrui confinandoli all'intero di una diagnosi o di una perizia, imprigionandoli in una forma data (il DSM, od oggi) cercando semplicemente corrispondenze, incastri, trascurando del tutto l'uomo; nel suo porsi a giudice universale della devianza e della regolarità, creando problematiche teoretiche monumentali e futili, con conseguente dispendio di risorse, tempo, energie, dicotomie logiche a falsare (con tutta probabilità) irrimediabilmente la conoscenza e, non banalmente, un linguaggio che la dice.
L'avversione per le scienze dell'anima non è di difficile comprensione se si considera il semplice assunto delle filosofie irrazionaliste: in natura non esistono contraddizioni. La prodigiosa multiformità delle forme della Volontà non abbisogna di classificazioni, né tanto meno di rimedi: il guizzo festante (vedi il pensiero nicciano) della vita non si predica della normalità: accade e basta, l'applicazione di additivi logici o morali è posteriore, interviene in secondo luogo, del tutto inutilmente, va da sé. La natura non imposta se stessa partendo delle grandi dicotomie della ragione, anzi, questa a nulla vale nell'economia della vita, nel suo eterno perpetuarsi, divorarsi, rigenerarsi; la razionalità non spiega e non conclude, ammanta soltanto una realtà inconoscibile, e lo fa passando anche dal male psichiatrico, dall'inclusione ed esclusione e patologizzazione dell'umano venendo meno alla sola legge naturale: nessuna difformità è inferiorità: non esistono deviati perché tutti lo siamo.
Ecco, ho spiegato molto sommariamente il mio punto di vista. A voi la parola.
L'avversione per le scienze dell'anima non è di difficile comprensione se si considera il semplice assunto delle filosofie irrazionaliste: in natura non esistono contraddizioni. La prodigiosa multiformità delle forme della Volontà non abbisogna di classificazioni, né tanto meno di rimedi: il guizzo festante (vedi il pensiero nicciano) della vita non si predica della normalità: accade e basta, l'applicazione di additivi logici o morali è posteriore, interviene in secondo luogo, del tutto inutilmente, va da sé. La natura non imposta se stessa partendo delle grandi dicotomie della ragione, anzi, questa a nulla vale nell'economia della vita, nel suo eterno perpetuarsi, divorarsi, rigenerarsi; la razionalità non spiega e non conclude, ammanta soltanto una realtà inconoscibile, e lo fa passando anche dal male psichiatrico, dall'inclusione ed esclusione e patologizzazione dell'umano venendo meno alla sola legge naturale: nessuna difformità è inferiorità: non esistono deviati perché tutti lo siamo.
Ecco, ho spiegato molto sommariamente il mio punto di vista. A voi la parola.