Delle scienze dell'anima

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
O sarà che ho l'allergia a discorsi fatti in un certo modo? :mrgreen:
Comunque, son d'accordo sul discorso. Ma il punto è: leviamo di mezzo la psichiatria, o la riformuliamo? Leviamo di mezzo la scienza (psichiatria, psicologia, ecc.), o la riformuliamo? Io ho visto riproporsi una psichiatria come scienza di un uomo non oggettivabile. Esiste una psichiatria ad indirizzo fenomenologico, che ha nulla da spartire con quelle psichiatria, a cui tu hai rivolto certe considerazioni.

Difatti, qualche ora fa scrivevo alla Shoo queste parole

Ho anche spiegato le mie simpatie per la fenomenologia e l'esistenzialismo, proprio in forza del loro divincolarsi dalla psichiatria stessa per trasformarsi in qualcosa di simile alla filosofia. Heidegger ha colto nel segno introducendo il concetto di essere-nel-mondo, di progetto, e su questa linea si muove la psichiatria contemporanea.. basta leggere Basaglia per capire quali siano i principi e dove sia avvenuto lo stupro fattuale di tutto il sistema: applicarlo non è semplice come teorizzarlo. Tuttavia, se cambiano i metodi - e accade sempre, col tempo -, l'istituzione non muta la sua natura censoria e normalizzatrice. L'umano non è umano proprio quando dovrebbe esserlo.


Per quanto mi riguarda, ben venga la fenomenologia, ne farò oggetto di tesi, mica storie. Le ragioni le ho esposte prima: la sua validità sta nel discostarsi dalla psichiatria tradizionale. Laddove uno psichiatra kraepeliniano vedrebbe ovunque malattie mentali, il fenomenologo analizza in termini di progetto, di essere-nel-mondo, non nega e non patologizza la diversità se questa non presenta le caratteristiche della malattia: prima tra tutte, la sofferenza. In altre parole, tenta un rimedio al dolore, interviene su uno stato di disagio, non in via preventiva, a dire: non giudica.
Ma un problema per me difficilmente risolvibile rimane l'essenza stessa della psichiatria in quanto istituzione. Vogliamo darne una spiegazione in termini logici? Va bene. Il problema si fa ricorsivo: la vecchia storia su chi controlla i controllori e i controllori dei controllori e così via. E si fa scottante quando ci chiediamo se la scienza preposta a stabilire cosa scientificamente e giuridicamente è normale, sia normale in se stessa. La domanda è la stessa già fatta in precedenza: possiamo affermare che la normalità esiste? Se sì, chi deve curarsene?
 

Shoofly

Señora Memebr
ma perché partire dalla contrapposizione anormalità/normalità?

non sarebbe meglio partire dall'ESSERE (ciò che tenta la Daseinanalyse, per intenderci)?



spesso l'impossibilità di trovare risposte nasce da domande mal poste...
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
ma perché partire dalla contrapposizione anormalità/normalità?

non sarebbe meglio partire dall'ESSERE (ciò che tenta la Daseinanalyse, per intenderci)?


Anche qui, sto aspettando.

Shoofly ha scritto:
spesso l'impossibilità di trovare risposte nasce da domande mal poste...


Talvolta l'impossibilità di trovare risposte nasce da - appunto - risposte non date.
 
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lillo

Remember
Probabilmente ti sarai svegliato male, Apart; o, chi lo sa, sarà la luna piena.
O magari hai ragione, e mi serve lo psicanalista.



Siamo alle solite ..tra il dire e il fare :mrgreen:

Data l'esigenza appena creatasi di una 'apertura di dialogo', direi che sto ancora aspettando.

Cominciamo a definire alcuni concetti; relazione tra funzione cerebrale ed attività mentale; cosa intendiamo per coscienza; l'enorme problema della soggettività; un primo approccio sarebbe discutere queste tematiche alla luce di alcuni filosofi della mente: Searle; Dannett eccetera; valutare l'opera enorme di Eric Kandel e quella di Antonio Damasio, altro autore che andrebbe sicuramente studiato è Gregory Bateson visto che più volte si è parlato di approccio fenomenologico. L'apporto dell'etologia e quant'altro vi sia da leggere e da studiare, quando affrontiamo la mente nella norma e nella patologia (e vi assicuro che non vi è nulla di poetico in uno schizofrenico). Perchè non costruire gruppi di lettura, sono attratto da autori come Husserl, Brentano, ma ancora non avuto tempo di leggerli. Questa discussione potrebbe essere un buono stimolo. E poi non dimentichiamo l'apporto della letteratura alla conoscenza della mente.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Io sono un tecnico e con tale approccio mi avvicino ad un argomento che fa parte del mio lavoro quotidiano. Oramai si lavora in rete e sulle risorse relativizzando e personalizzando ogni intervento inserendolo in un progetto personale che non ha mai l'aura di normalizzare alcunchè ma di migliorare la qualità della vita di ogni singola persona utilizzando gli strumenti fattibili e disponibili in un approccio solitamente sistemico e multiprofessionale dove al centro e ad anello con gli altri sta proprio la persona gestore e fruitore dell'intervento stesso, intervento che diventa quindi dinamico dove la psichiatria è uno dei campi messi a disposizione del percorso riabilitativo ed è in condivisione con tutti gli altri.
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
non ha mai l'aura di normalizzare alcunchè ma di migliorare la qualità della vita di ogni singola persona


Un commento così lo stavo aspettando. :mrgreen:


Siamo sicuri che la tua attività, par la parte concernente la psichiatria, non cerchi di normalizzare? Chi decide quale sia la giusta qualità della vita? Scommetto che se abitassi in una stalla insieme a delle mucche pulciose, nessuno dei lettori di questo post esiterebbe a dichiararmi pazzo: quando io potrei benissimo non soffrire del mio stato ed essere anzi felice. Qui si innesta la psichiatria, a decidere in merito a quel che è pontificando su come dovrebbe essere. Quando tiri fuori il concetto di 'qualità della vita', non vai alla cieca, hai in mente quale possa essere, più o meno, l'obiettivo verso cui tendere. Ma ciò non è scontato. Non prenderesti mai in considerazione delle mucche pulciose, eppure la felicità di un uomo può anche passare da una stalla.
 

Apart

New member
Difatti, qualche ora fa scrivevo alla Shoo queste parole

Ho anche spiegato le mie simpatie per la fenomenologia e l'esistenzialismo, proprio in forza del loro divincolarsi dalla psichiatria stessa per trasformarsi in qualcosa di simile alla filosofia. Heidegger ha colto nel segno introducendo il concetto di essere-nel-mondo, di progetto, e su questa linea si muove la psichiatria contemporanea.. basta leggere Basaglia per capire quali siano i principi e dove sia avvenuto lo stupro fattuale di tutto il sistema: applicarlo non è semplice come teorizzarlo. Tuttavia, se cambiano i metodi - e accade sempre, col tempo -, l'istituzione non muta la sua natura censoria e normalizzatrice. L'umano non è umano proprio quando dovrebbe esserlo.


Per quanto mi riguarda, ben venga la fenomenologia, ne farò oggetto di tesi, mica storie. Le ragioni le ho esposte prima: la sua validità sta nel discostarsi dalla psichiatria tradizionale. Laddove uno psichiatra kraepeliniano vedrebbe ovunque malattie mentali, il fenomenologo analizza in termini di progetto, di essere-nel-mondo, non nega e non patologizza la diversità se questa non presenta le caratteristiche della malattia: prima tra tutte, la sofferenza. In altre parole, tenta un rimedio al dolore, interviene su uno stato di disagio, non in via preventiva, a dire: non giudica.
Ma un problema per me difficilmente risolvibile rimane l'essenza stessa della psichiatria in quanto istituzione. Vogliamo darne una spiegazione in termini logici? Va bene. Il problema si fa ricorsivo: la vecchia storia su chi controlla i controllori e i controllori dei controllori e così via. E si fa scottante quando ci chiediamo se la scienza preposta a stabilire cosa scientificamente e giuridicamente è normale, sia normale in se stessa. La domanda è la stessa già fatta in precedenza: possiamo affermare che la normalità esiste? Se sì, chi deve curarsene?

Il fatto è che le leggi non sempre vanno di pari passo con la scienza. Non è un caso che mentre la scienza, in questo caso la psichiatria, ha superato, o dovrebbe aver superato, certi nodi, si ritrova a fare i conti con un insieme di leggi ormai superate. Basta pensare all'interdizione, alla legge 104 e cosi via. Oggi persone interdette, con problemi mentali, possono girare liberamente per la città. Il fatto è che le comunità ora sono aperte. Come si conciliano queste due cose? La necessità di garantire la soggettività, la libertà dell'individuo con la sua tutela e la tutela degli altri? Insomma, la prassi rivela contraddizioni da cui è difficile uscirne.
E' passato quasi un decennio dall'uscita dell'ICF, che forse supera la concettualizzazione normalità/anormalità. Eppure non sono state fatte leggi che ne comprendono l'applicazione.
Ritiro quello che ho detto, sull'esercizio di retorica, e mi scuso. Mi sembri appassionato all'argomento.
 

Apart

New member
Un commento così lo stavo aspettando. :mrgreen:


Siamo sicuri che la tua attività, par la parte concernente la psichiatria, non cerchi di normalizzare? Chi decide quale sia la giusta qualità della vita? Scommetto che se abitassi in una stalla insieme a delle mucche pulciose, nessuno dei lettori di questo post esiterebbe a dichiararmi pazzo: quando io potrei benissimo non soffrire del mio stato ed essere anzi felice. Qui si innesta la psichiatria, a decidere in merito a quel che è pontificando su come dovrebbe essere. Quando tiri fuori il concetto di 'qualità della vita', non vai alla cieca, hai in mente quale possa essere, più o meno, l'obiettivo verso cui tendere. Ma ciò non è scontato. Non prenderesti mai in considerazione delle mucche pulciose, eppure la felicità di un uomo può anche passare da una stalla.

D'accordissimo. E' una questione su cui pedagogia e filosofia dell'educazione si interrogano da chissà quanto. Eppure si educa, e si ritiene che bisogna educare. Ma chi ci autorizza a farlo? In nome di cosa? E sarebbe meglio non educare?
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Un commento così lo stavo aspettando. :mrgreen:


Siamo sicuri che la tua attività, par la parte concernente la psichiatria, non cerchi di normalizzare? Chi decide quale sia la giusta qualità della vita? Scommetto che se abitassi in una stalla insieme a delle mucche pulciose, nessuno dei lettori di questo post esiterebbe a dichiararmi pazzo: quando io potrei benissimo non soffrire del mio stato ed essere anzi felice. Qui si innesta la psichiatria, a decidere in merito a quel che è pontificando su come dovrebbe essere. Quando tiri fuori il concetto di 'qualità della vita', non vai alla cieca, hai in mente quale possa essere, più o meno, l'obiettivo verso cui tendere. Ma ciò non è scontato. Non prenderesti mai in considerazione delle mucche pulciose, eppure la felicità di un uomo può anche passare da una stalla.

di sicuro non sta nè a me nè a te giudicarlo, tanto meno alla psichiatria, non ho la minima idea che cosa sia per te qualità della vita, come non ce l'ho per nessuno. Se la tua felicità sono le mucche che mucche siano, (perchè pulciose poi quando sono animali godibilissimi ed affabilissimi con cui vivere, mai giudicare) :MUCCA e poi la felicità di un uomo passa per la stalla, questo è un assioma.
 

asiul

New member
Quindi dovrei credere nella voglia di stimolarmi alla ricerca di D.? Come no! Un po' come quando gli psichiatri si rivolgono a educatori e infermieri parlando di sindrome dissociativa, psicosi d'innesto, ecc. e di altre baggianate simili. Io lo vedo più come un esercizo di retorica, il suo, nonostante condivida pienamente il suo discorso. E' un'opinione. Mi sbaglierò.

Embè? Ti sembra poco? :sbav:

PS non ho voglia di discutere Apart... :)
 

asiul

New member
Io sono un tecnico e con tale approccio mi avvicino ad un argomento che fa parte del mio lavoro quotidiano. Oramai si lavora in rete e sulle risorse relativizzando e personalizzando ogni intervento inserendolo in un progetto personale che non ha mai l'aura di normalizzare alcunchè ma di migliorare la qualità della vita di ogni singola persona utilizzando gli strumenti fattibili e disponibili in un approccio solitamente sistemico e multiprofessionale dove al centro e ad anello con gli altri sta proprio la persona gestore e fruitore dell'intervento stesso, intervento che diventa quindi dinamico dove la psichiatria è uno dei campi messi a disposizione del percorso riabilitativo ed è in condivisione con tutti gli altri.



Questo non l'ho capito, ma davvero. :roll:
Cioè? Ci si serve della psichiatria per fare quanto da te descritto? E perché, quali sono le probabili applicazioni?
 
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asiul

New member
Un commento così lo stavo aspettando. :mrgreen:


Siamo sicuri che la tua attività, par la parte concernente la psichiatria, non cerchi di normalizzare? Chi decide quale sia la giusta qualità della vita? Scommetto che se abitassi in una stalla insieme a delle mucche pulciose, nessuno dei lettori di questo post esiterebbe a dichiararmi pazzo: quando io potrei benissimo non soffrire del mio stato ed essere anzi felice. Qui si innesta la psichiatria, a decidere in merito a quel che è pontificando su come dovrebbe essere. Quando tiri fuori il concetto di 'qualità della vita', non vai alla cieca, hai in mente quale possa essere, più o meno, l'obiettivo verso cui tendere. Ma ciò non è scontato. Non prenderesti mai in considerazione delle mucche pulciose, eppure la felicità di un uomo può anche passare da una stalla.

Questo concetto lo quoto pienamente!
 

lillo

Remember
di sicuro non sta nè a me nè a te giudicarlo, tanto meno alla psichiatria, non ho la minima idea che cosa sia per te qualità della vita, come non ce l'ho per nessuno. Se la tua felicità sono le mucche che mucche siano, (perchè pulciose poi quando sono animali godibilissimi ed affabilissimi con cui vivere, mai giudicare) :MUCCA e poi la felicità di un uomo passa per la stalla, questo è un assioma.
Sono daccordo con te. Al punto che sono convinto che nessun psichiatra (degno di essere considerato tale) si permetterebbe di fare diagnosi di malattia ad un uomo che decide di vivere con le mucche pulciose. Ma diversa cosa è la malattia mentale quando questa significa riduzione della libertà, del libero arbitrio. Pensiamo un attimo al disturbo ossessivo compulsivo, alla ritualità obbligata a cui è sottoposto il malato per ridurre la sua angoscia. Scusate ma se un farmaco riesce a liberare questo individuo dal suo stare male non credo che qualcuno possa gridare allo scandalo nell'usarlo. il problema della relazione tra medicina (non solo la psichiatria) ed istituzione è un problema enorme che viene strumentalizzato da ambo le parti.
Per ritornare ai temi, per me centrali, quelli dei meccanismi mentali che determinano ciò che chiamiamo coscienza e soggettività credo che nessuno in questo momento abbia la soluzione a portata di mano nè i filosofi nè tantomeno i neuroscienziati riduzionisti. Certe volte leggo articoli apodittici (da entrambi le parti) su tali argomenti che mi lasciano interdetto. Per questo credo che solo un dialogo scevro da ogni dogmatismo abbia senso. Forse sarà necessario (come dice Kandel) che la medicina nel rivolgersi a tali questioni abbandoni la via dell'empirismo e affronti altre strade. Quali non lo so.
 

Dory

Reef Member
Gli psichiatri non vanno a prendere le persone a casa loro obbligandole a fare terapia perché lo decidono la mattina appena svegli.
L'epoca della caccia alle streghe è finita da un bel pezzo!!


Quoto elisa e lillo al 100%
 

Apart

New member
Embè? Ti sembra poco? :sbav:

PS non ho voglia di discutere Apart... :)

Se fosse soltanto esercizio di retorica, si, mi sembra poco quando si tratta di questioni così importanti, che riguardano la persona e la sua cura. Ad ogni modo, mi sono scusato con D.. Il suo intervento mi è piaciuto molto, lo condivido. L'argomento per me è un po' scottante, forse è per questo che ieri ho letto di fretta e ho interpretato male le sue intenzioni. Concordo, rimaniamo sull'argomento del thread. :wink:
 
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Apart

New member
Gli psichiatri non vanno a prendere le persone a casa loro obbligandole a fare terapia perché lo decidono la mattina appena svegli.
L'epoca della caccia alle streghe è finita da un bel pezzo!!


Quoto elisa e lillo al 100%

Ma il discorso non è questo. Quoto Dory, ma mi rivolgo anche ad elisa e a lillo. Il discorso iniziale di D. verteva sulle scienze dell'anima. E da quel discorso si evinceva che il problema riguardava le fondamenta della scienza psichiatrica. Che senso ha dirsi ancora scienza se poi tradisci l'origine del tuo statuto? A me sinceramente non interessa proprio la sua sopravvivenza. Mi piacerebbe che si parlasse dell'uomo, delle modalità con cui dispiega la sua esistenza, piuttosto che difendere a tutti i costi, pur di farla sopravvivere, una scienza ormai piena di contraddizioni.
Ritornando alla caccia alle streghe, è vero, non esiste più, ma esistono ancora, nella riflessione e nella pratica della cura, modi (sottili) della psichiatria di manifestare il proprio dominio, e una certa distanza. E non soltanto nei confronti di coloro che vengono ancora chiamati pazienti.
 
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Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Il fatto è che le leggi non sempre vanno di pari passo con la scienza.

Il tuo discorso è interessante, parecchio. Non credo l'ICF sia riuscito a superare la dicotomia normale-anormale, ed in ogni caso le inadeguatezze della legge sono evidenti. Le norme faticano a tenersi al passo, ed è anche per questo, per via di questo dinamismo, che una parte del problema viene risolto dalla perizia-medico legale. Ma tu, e a ragione, facevi riferimento a problematiche ben diverse. Chiedi: come si conciliano queste due cose? La necessità di garantire la soggettività, la libertà dell'individuo con la sua tutela e la tutela degli altri? E da qui emerge un'altra immensa questione, quella posta in essere proprio da Basaglia, allorché condannava il meccanismo di esclusione, la patologizzazione e dunque l'isolamento del diverso. Chiusi i manicomi, si è dimostrata la vanità di tutto il suo lavoro, in quanto la società non è stata pronta ad assorbire un mutamento tanto radicale nel trattamento del malato. D'altra parte la psichiatria non è che l'istituzione incaricata di trattare la malattia mentale, non dimentichiamo che essa è voluta dalla società. Nelle sue Conferenze Brasiliane, il buon Franco scriveva:

Io ho detto che non so che cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece questa società riconosce la follia come parte della ragione, e la riduce alla ragione nel momento in cui esiste una scienza che si incarica di eliminarla. Il manicomio ha la sua ragione di essere, perché fa diventare razionale l'irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in un manicomio, smette di essere folle per trasformarsi in malato. Diventa razionale in quanto malato. Il problema è come sciogliere questo nodo, superare la follia istituzionale e riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita.

Di poi, il discorso su scienza e legge m lascia altri spunti. Per cominciare, l'ingerenza dannosissima dell'etica. L'ordinamento giuridico, si sa, è appunto espressione formalizzata dell'etica di un Paese, è questa la sua ragion d'essere: disciplinare il giusto e il meglio. Ma cosa accade se una scienza teoricamente obiettiva ma priva di statuto, si lascia informare dall'ethos? Un certo tipo di patologia oggi compresa nel DSM ha avuto senza dubbio questo tipo di derivazione. E intendo essere provocatorio quando parlo della pedofilia. E' questa una malattia? Può un istinto essere una malattia? No, assolutamente no, la pedofilia, come tutte le alternative all'eterosessualità, è un mero orientamento: la sua - giusta - stigmatizzazione può aversi in sede giuridica, quando se ne condannino gli effetti e si constati il danno su un altro cittadino, nella fattispecie minore; l'essere intimamente dannosa per la società non ne conclude essere malattia, non ci autorizza a dichiararla anormale. E per ora qui mi fermo.


Apart ha scritto:
D'accordissimo. E' una questione su cui pedagogia e filosofia dell'educazione si interrogano da chissà quanto. Eppure si educa, e si ritiene che bisogna educare. Ma chi ci autorizza a farlo? In nome di cosa? E sarebbe meglio non educare?


Forse che delle rimembranze pasoliniane arrivano da lontano? Certo Pier Paolo lo aveva previsto: la cultura borghese vede se stessa come unica possibile, essa ammette solamente la sua esistenza come legittima. Non ti dice nulla questo 'dispotismo culturale'? Chi si discosta dall'educazione, quindi dall'etica borghese, cosa è? Un criminale ..oppure un malato.


lillo ha scritto:
Ma diversa cosa è la malattia mentale quando questa significa riduzione della libertà, del libero arbitrio. Pensiamo un attimo al disturbo ossessivo compulsivo, alla ritualità obbligata a cui è sottoposto il malato per ridurre la sua angoscia. Scusate ma se un farmaco riesce a liberare questo individuo dal suo stare male non credo che qualcuno possa gridare allo scandalo nell'usarlo.


E' la stessa solfa della 'qualità della vita'. Stiamo decidendo in luogo di un'altra persona se sia normale o meno il disturbo (?) ossessivo compulsivo. Supponendo tra l'altro un'angoscia nei fatti probabilmente inesistente. Posto in altri termini questo argomento avrebbe avuto senso, così com'è invece, lascia trapelare esattamente il fine ultimo della psichiatria: l'uniformità.


Apart ha scritto:
Ritornando alla caccia alle streghe, è vero, non esiste più, ma esistono ancora, nella riflessione e nella pratica della cura, modi (sottili) della psichiatria di manifestare il proprio dominio, e una certa distanza. E non soltanto nei confronti di coloro che vengono ancora chiamati pazienti.


Qualcuno che dice le cose come stanno! Non mi stupisce, finora sei il solo ad avere qualcosa da dire.
 

Shoofly

Señora Memebr
E intendo essere provocatorio quando parlo della pedofilia. E' questa una malattia? Può un istinto essere una malattia? No, assolutamente no, la pedofilia, come tutte le alternative all'eterosessualità, è un mero orientamento: la sua - giusta - stigmatizzazione può aversi in sede giuridica, quando se ne condannino gli effetti e si constati il danno su un altro cittadino, nella fattispecie minore; l'essere intimamente dannosa per la società non ne conclude essere malattia, non ci autorizza a dichiararla anormale. E per ora qui mi fermo.

Anche l'assassinio è un istinto naturale per molti... lo stupro e tutte quelle manifestazioni violente che implicano conseguenze tragiche per se e per gli altri.

Mi pare che qui si stia mettendo sullo stesso piano comportamenti e attitudini molto diversi tra loro.

L'approccio partendo dai concetti normalità/anormalità non funziona e le più recenti tendenze nell'ambito della ricerca neuropsichiatrica si stanno progressivamente affrancando da questo, come è già stato notato sopra.

Un feticista dei collant che vive felice e appagato dal proprio gusto non è più malato di uno che ha la passione per i formaggi o per la cioccolata. Quando la passione per i formaggi, i collant e la cioccolata raggiunge un punto tale da prendere le redini dell'intera esistenza dell'individuo (leggasi dipendenza), sostituendosi ad ogni altro piacere e in maniera tale da impedirgli di vivere come era abituato a vivere in precedenza, creandogli una vasta gamma di problemi nel rapporto con se stesso e con gli altri (oltre a rischi seri per la salute nel caso dei forti mangiatori, bevitori etc. :wink:) io credo che ci sia un problema comportamentale da affrontare, anche perché - se non affrontato - dall'Essere si fa presto a passare al Non Essere (chiedetelo ad Amleto :mrgreen:).

Possiamo definire la pedofilia, l'istinto omicida e suicida come malattie? Sì, ammesso che in questi casi con malattia s'intenda quello stato dell'Essere in cui l'Essere si avvia in maniera "oltremodo" rapida verso la negazione di se.




Qualcuno che dice le cose come stanno! Non mi stupisce, finora sei il solo ad avere qualcosa da dire.

Mi scuso per l'ultima intromissione ma garantisco che è davvero l'ultima (in fondo son stata inclusa nel novero di quelli che non hanno nulla da dire.:wink:)

Augh:HIPP

:mrgreen:
 
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