159° MG - La luna e i falò di Cesare Pavese

Jessamine

Well-known member
Buondì!
Oggi io e Zingaro di Macondo iniziamo questo breve romanzo di Pavese.
Naturalmente ogni ulteriore partecipante è gradito, per cui fatevi avanti :mrgreen:

Dunque, io non ho mai letto proprio nulla di Pavese, per cui sono molto curiosa di addentrarmi in queste pagine, mentre se non mi sbaglio per te si tratta di una rilettura, giusto?
 
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Zingaro di Macondo

The black sheep member
Buondì!
Oggi io e Zingaro di Macondo iniziamo questo breve romanzo di Pavese.
Naturalmente ogni ulteriore partecipante è gradito, per cui fatevi avanti :mrgreen:

Dunque, io non ho mai letto proprio nulla di Pavese, per cui sono molto curiosa di addentrarmi in queste pagine, mentre se non mi sbaglio per te si tratta di una rilettura, giusto?


Si, per me è una rilettura.

Cesare Pavese era in possesso di una sensibilità percettiva forse unica in Italia. Quella stessa sensibilità, purtroppo, lo porterà a togliersi la vita proprio subito dopo la pubblicazione di questo libro.

Ci sono i giorni dell’infanzia, ma c’è anche il dolore del ricordo. C’è il passaggio all’età matura, c’è la speranza che cade nei vortici della realtà, ma, soprattutto, tanta malinconia che si trasforma in dolcezza e fragilità.

Pavese era una persona debole, debolissima.

Fa bene leggerlo in questi anni di machismo esasperato e di volgarità dalle quali, personalmente, non vedo via d’uscita.

 
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c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Credo che Pavese abbia sofferto pene d'amore più grandi di quelle che poteva sopportare. Non so se si sia sempre innamorato delle donne sbagliate, ma forse la sua sensibilità, ne aveva molta, come dice l'amico ZdM, non sia quasi mai stata compresa dalle ragazze che hanno vissuto con lui.
Ha scritto pagine bellissime in una prosa che fa trasparire tutta la sua sofferenza, malgrado egli credo non abbia voluto mai scaraventarla tutta fuori nei suoi libri.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo."

Do la mia opinione rispetto alle considerazioni fatte da Coco : l'ipesensibilità letteraria di Pavese (che nel suo privato sfociò in vera depressione) fece diventare i problemi della vita veri e propri macigni.

Essere Pavese significava essere dolci, fragili, sensibili, ma anche depressi. Pavese aveva delle sensibilissime antenne in testa, ma, purtroppo, anche nel cuore.
 
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Spilla

Well-known member
Vedo già che sarà bellissimo leggere con voi :)

Conosco poco Pavese, il primo libro che ho letto, Tra donne sole, mi aveva deluso C'è voluta una casuale visita alla sua casa di Santo Stefano Belbo per convincermi a leggere anche La casa in collina. Cercavo di ritrovare i paesaggi, spettacolari, di quella zona, e non l'autore. A sorpresa il libro mi era piaciuto tantissimo. Adesso vediamo come va con questo, credo che stare qui con voi mi aiuterà :D

Se mi piacerà magra troverò il coraggio di leggere la raccolta "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" ;) che ho già a casa.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
"Quella notte non c era luna ma un mare di stelle, tante quante le voci dei rospi e dei grilli. Quella notte, se anche Nora si fosse lasciata rovesciare sulla erba, non mi sarebbe bastato"
 

Spilla

Well-known member
Bella, è una frase che ho trovato oggi. Il nostro protagonista si sente estraneo ovunque.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Capitolo 4, spoiler

Che bella la descrizione dello stato d’animo del protagonista fuori, al buio e in uno stato straniero.

Gli manca tutto e non gli manca nulla, come se fosse al tempo stesso preda e predatore di quella cosa chiamata vita. Una cosa la cui straordinarietà riesce solo a percepire, ma mai ad afferrare pienamente.

Di certo si sente vuoto e nemmeno le stelle, il viaggio e l’amore lo confortano. Non si accontenterebbe nemmeno se la sua donna si stendesse sul prato, perché quella notte gli rimescola dentro cose troppo grandi.

I suoi compaesani in America lo trattano da straniero e lui per primo si sente tale, fuori posto, inadeguato e (diciamolo chiaramente) infelice.

E’ un libro sul senso di inadeguatezza e sulla perenne insoddisfazione che sembra far da contrappeso a quanti hanno, in realtà, tanto da dire e troppa immaginazione.

Io sono convinto che Cesare Pavese in realtà amasse la vita, e che l'amasse così tanto da sentirsi sempre in debito con essa, quasi come se facesse sempre troppo poco, quasi come se non bastasse mai. Pavese, secondo me, è morto d'amore.
 
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Spilla

Well-known member
L'amore lo senti nella descrizione del paese, delle colline, della povera campagna, dei suoi odori e colori. Ha una percezione intensissima e malinconica delle cose.
Bella la figura del Nuto, che in un secondo insegna ciò che non riescono i migliori psicoterapeuti:
"C'è un destino. Tu a Genova, in America, va' a sapere, dovevi far qualcosa, capire qualcosa che ti sarebbe toccato".
Ma Pavese non deve aver imparato bene, o forse si aspettava troppo.

Ora sono al cap. VI, per oggi mi fermo.
 

Jessamine

Well-known member
Capitolo VII

Sto leggendo piuttosto lentamente, considerando il fatto che in questi giorni ho parecchio tempo libero, e devo dire che ho le idee abbastanza confuse su questo romanzo. Nel senso che non capisco bene se mi stia piacendo e cosa mi stia piacendo.
Provo a spiegarmi, ma tenete presente che sono in debito di numerose ore di sonno, quindi se inizio a straparlare non fateci troppo caso :mrgreen:

Ho paura di non avere la "maturità" e "l'esperienza" giusta per sentire davvero questo libro. Non credo nemmeno siano i termini più corretti, ma insomma, sono gli unici che riesco a trovare. E non parlo tanto (o per lo meno, non solo) di età.
Mi sembra che questo sia un romanzo del ritorno, fisico e figurato. Ritornare al proprio luogo d'origine, ai riti, a quello che sembra essere il sostrato di cui siamo fatti e sul quale si è costruito il proprio mondo (un mondo che può essere radicalmente diverso da questo sostrato, ma che in qualche modo ci poggia sopra comunque). Ma per poter tornare, bisogna anche essersene andati. E non intendo solo l'essere fisicamente andati via dal paese, ma anche in senso di crescita e di esperienze nel mondo. Si cresce, si vive, in qualche modo "ci si espande", e solo a questo punto si può tornare, guardare con gli occhi arricchiti di nuova vita quello che si è stati.
Ecco, se qui si parla di di ritorno, in questo momento della mia vita io mi sento terribilmente "in partenza", e mi sembra di essere quindi bloccata "dall'altra parte" del romanzo.

Dal punto di vista molto più concreto, ammetto di non essere granché attratta dalla tematica della campagna, del popolo... insomma, come ambientazione mi ricorda un po' il Verga che si studia a scuola (con le dovute differenze di spazio e tempo :mrgreen:), ed ecco, non sono "ambientazioni" che mi facciano impazzire.

Questo per ora, ma mi rendo anche conto di non essere ancora riuscita ad "inquadrare" del tutto il romanzo (ma poi, si potrà davvero inquadrare in romanzo?), per cui proseguo sperazosa.
E prometto che non userò più virgolette, direi che ne ho più che abusato :mrgreen:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Capitolo 9, spoiler

Ecco la luna, i falò, i riti, i campi, le foglie e le vigne.

Il capitolo 9 è quanto di più nostalgico possa racchiudere questo romanzo. Il protagonista è stato richiamato a casa proprio dal ricordo dei tempi, dei colori e delle dolcezze della sua collina. Tutte cose che qui vengono raccontate così bene che se ne sente l'odore.

Pavese parla con Nuto, musichiere fallito e suo grande amico, della luna che fa morire gli innesti se si fanno che lei è troppo avanti, e dei falò sparsi sulle vallate, il cui motivo preciso sfugge pure a Nuto. Forse perché attraggono la pioggia, dice, e forse qui davvero siamo nella pura superstizione, aggiungo io.

Allora devi credere anche ai governi e ai preti, gli dice il protagonista scherzando.

Comunque sia... quanto fanno bene allo spirito la luna e i falò!
 

HOTWIRELESS

d'ya think i'm stupid?
La mia memoria non mi ha abbandonato, ricordavo di averlo letto... l'ho fatto anche io in mg con Alessandra sempre nel mese di maggio
http://www.forumlibri.com/forum/gru...gruppo-la-luna-e-i-falo-di-cesare-pavese.html

Però della trama al momento ricordo poco :oops: (Spilla tu mi puoi capire :wink:), appena ho un po' di tempo ripasso e vi leggo.
Intanto vi auguro buon proseguimento :)

pavese è per me una lettura un personaggio
con troppe "quasi affinità" (quasi, perché ad es io non soffro di ejaculatio precox ... :mrgreen: )
che potrebbero per me spaziare
dallo scontato al potenzialmente pericoloso ...
perciò per ora eviterò accuratamente
di rileggerlo
:MUCCA
accontentandomi di spiluccarlo
in piccole dosi occasionali ...

... qualche pavesino

:wink:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
La mia memoria non mi ha abbandonato, ricordavo di averlo letto... l'ho fatto anche io in mg con Alessandra sempre nel mese di maggio
http://www.forumlibri.com/forum/gru...gruppo-la-luna-e-i-falo-di-cesare-pavese.html

Però della trama al momento ricordo poco :oops: (Spilla tu mi puoi capire :wink:), appena ho un po' di tempo ripasso e vi leggo.
Intanto vi auguro buon proseguimento :)

Bellissimo linkarci il vostro passato mini gruppo..non mancherò di leggerlo, grazie Minerva
 

Jessamine

Well-known member
Sono circa a pagina 120 (scusate, non ricordo il capitolo :W) e devo dire che sono sempre più combattuta.
Avverto tutta la malinconia e sensibilità dell'autore, a volte resto folgorata da alcuni passaggi sublimi, e poi... annego nella noia.
Come dicevo il tema del paese, della terra, non mi affascina molto, e questo susseguirsi di capitoli quasi slegati l'uno all'altro, dove non succede quasi nulla, non mi sta coinvolgendo. Certo, come dicevo a volte arrivano dei passaggi, delle mezze pagine folgoranti, ma nel mezzo, che fatica!
Sembra di vagare in mezzo a ricordi e riflessioni confuse, e forse è anche perché in questo momento la mia mente è un immenso caos, ma mi piacerebbe qualche cosa di più lineare. Insomma, mi piacerebbe pensare che ci fosse qualcosa verso cui andare a parare, e non solo una serie di immagini sparse (immagini a volte bellissime, l'ho detto, ma che a volte mi portano a sbadigliare).
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Bellissimo linkarci il vostro passato mini gruppo..non mancherò di leggerlo, grazie Minerva

Me lo sono andato a rileggere, alla nostra età (almeno per me :wink:) la memoria gioca brutti scherzi :W.
Non ricordavo più quello che avevo scritto. Così ora posso anche leggere i vostri commenti.
Mi sembra un'idea carina quella di confrontarsi anche a distanza di tempo, ed io ringrazio te per quando lo leggerai :).
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Sono circa a pagina 120 (scusate, non ricordo il capitolo :W) e devo dire che sono sempre più combattuta.
Avverto tutta la malinconia e sensibilità dell'autore, a volte resto folgorata da alcuni passaggi sublimi, e poi... annego nella noia.
Come dicevo il tema del paese, della terra, non mi affascina molto, e questo susseguirsi di capitoli quasi slegati l'uno all'altro, dove non succede quasi nulla, non mi sta coinvolgendo. Certo, come dicevo a volte arrivano dei passaggi, delle mezze pagine folgoranti, ma nel mezzo, che fatica!
Sembra di vagare in mezzo a ricordi e riflessioni confuse, e forse è anche perché in questo momento la mia mente è un immenso caos, ma mi piacerebbe qualche cosa di più lineare. Insomma, mi piacerebbe pensare che ci fosse qualcosa verso cui andare a parare, e non solo una serie di immagini sparse (immagini a volte bellissime, l'ho detto, ma che a volte mi portano a sbadigliare).


Credo di essere più stagionato di te (39), ma nemmeno io ho vissuto direttamente le cose raccontate in questo romanzo.

Ma un pò me le porto dentro, perché me le sono sentite raccontare (e le ho viste negli oggetti) talmente tante volte, che è come se le avessi vissute per davvero. Leggo Pavese e mi sembra di sentire la voce dei vecchi che mi parlavano di come si stava e di come si viveva. Anche la grammatica è più o meno la stessa.

Ho origini “umili” e i miei genitori montanari conservano ancora molto di ciò che leggo ne "La luna e i falò".

Lo vedo negli oggetti che hanno in casa, nel loro carattere e in come mi parlano. Nei loro modi, così distanti dai miei.

Io non ho figli, ma di certo non riuscirei a far loro respirare quell’atmosfera. Sono ben felice di vivere oggi, dico, però, che è un peccato che questi anni di cambiamenti veloci abbiano divorato quelle cose, tanto che a breve non ne rimarrà più nulla.

Questo non è un romanzo in cui “capitano cose a valanga”, però io non mi annoio mai. Al contrario ne centellino le pagine come farei bevendo un vino d’annata o come quando sentivo parlare i vecchi e chiedevo loro di riprendere al mattino, perché volevo andare a letto coi pensieri in testa.
 
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