Prima che nel sondaggione vincesse il tema della pazzia, ero quasi certo che vincesse il paradosso o il tema libero.
Così ero partito con un racconto sul paradosso (che ovviamente andava bene anche per il tema libero).
Non l'avevo finito ed ora, per pubblicarlo, gli ho messo una fine veloce. Il racconto è dunque breve e non particolarmente curato nei dettagli.
Lo pubblico così com'è, senza tante rivisitazioni ed affinamenti progressivi, come invece avevo fatto per il Demiurgo.
CLANDESTINI
Non vorresti mai farlo. Ne va della tua dignità. Non sei nel tuo paese di origine. Ti senti a disagio. Ma alla fine vivere di espedienti è l’unica scelta che ti rimane.
Perché alla fine di tutto, quando sei lontano da casa e senza tante prospettive, è procurarsi il cibo giorno per giorno il tuo vero scopo di vita.
Essere in due ti dà la forza per affrontare meglio le situazioni, distrarre le persone e facilitarti i compiti. Sì, anche se col tuo compagno di sventura non puoi scambiarti nemmeno una parola. Razze diverse, paesi di provenienza diversi. Di lui so appena il nome, ma non ci chiamiamo mai per nome. Veramente non ci parliamo proprio. Il mio nome, Xezalan, non so nemmeno se lo conosce.
Come siamo arrivati fin qui? Io via mare, lui non lo so. Perché siamo arrivati fin qui? Io dovevo lavorare in uno zoo, poi invece non se ne è fatto nulla. Lui non lo so.
In inverno è più dura sopravvivere e trovare un po’ di cibo per sfamarsi. L’estate è prodiga e ce n’è per tutti, ad ogni angolo, ma l’inverno è una stagione davvero dura, avara. E tocca andare a cercare il cibo vicino alle abitazioni, approfittando dei tanti avanzi di cibo delle case dei più ricchi. Tante volte mi dico che sarebbe tanto più facile andare in letargo come fanno certi animali.
Per Dawaco è più semplice, lui mangia di tutto ed ama rovistare nell’immondizia. Una volta l’ho visto anche cercare di prendere delle galline da un pollaio. Ma gli hanno sparato, i bastardi. Per una gallina! Per fortuna non l’hanno beccato.
Per me è più difficile, faccio una dieta puramente vegetariana: questione di cultura e di abitudini. La carne proprio non la digerisco.
Oggi è festa, oggi è Natale. Per noi è uno dei giorni migliori dell’inverno. Sono tutti più buoni, più generosi e fanno quelle cene luculliane con tanti avanzi con i quali io e Dawaco ci sfamiamo per giorni.
Ed allora eccoci qua, la sera di Natale: nel mio paese non si festeggia il Natale, non si sa cosa sia. Io me ne accorgo perché mettono mille luci, ma odio quelle campane che risuonano nel cuore della notte. Mi spaventano. Neanche nel paese di Dawaco si festeggia il Natale.
Ho fame, abbiamo fame.
Ma sappiamo che dobbiamo aspettare: è alla fine della festa che si trovano le cose migliori da mangiare. E poi il buio aiuta, il nostro colore ci aiuta a mimetizzarci nel buio della notte.
Vediamo una casa tutta illuminata e decidiamo di avvicinarci, tanto non ci vedranno indaffarati come sono con i festeggiamenti.
Nascosti dietro un cespuglio guardiamo dentro una finestra e vediamo che stanno scartando i regali; ma cosa stanno aprendo quei due bambini? Dei pacchi con dei pupazzi di pelouche … ma siamo noi! Cioè non proprio noi, ma sono pupazzi che hanno le sembianze mie e di Dawaco.
Ci abbracciano, ci baciano … ma allora ci vogliono bene? No, ci hanno già buttato in un mucchio insieme agli altri giocattoli.
E’ con questo che si divertono gli uomini di questo paese? Ci guardiamo negli occhi e quasi non ci possiamo credere … ma poi, in fondo, dov’è finita la nostra dignità se siamo qui ad aspettare i cibi che loro scarteranno?
E poi la conosciamo già la nostra fine. Gli uomini sono cattivi: si vestono di verde, escono a volte soli, a volte in squadre, imbracciano il fucile e vengono a cercarci per ucciderci.
Forse era meglio stare dove eravamo: Dawaco nelle montagne della Somalia dove viveva non rischiava di essere ucciso per la sua pelle, così calda e morbida. Ed io, Xezalan, lassù sui monti del Kurdistan, ero di certo più al sicuro e non rischiavo di finire come trofeo in qualche casa di cacciatore.