Capitolo VI
A me continua a piacere molto.
La "corte dei miracoli" di Peltzer poi, mi sembra uno spaccato della società tedesca poco prima della fine della guerra.
C'è il nazista convinto, l'opportunista che non si espone mai fino in fondo finché non conviene, l'ebrea che si nasconde, il prigioniero di guerra, i comunisti ridotti al silenzio...
su tutti Leni, avvolta sempre in questa aurea misteriosa.
L'ironia di Boll nel trattare ogni personaggio, ogni situazione, in più punti lascia intravedere una profondità che spiazza completamente il lettore, perché improvvisamente lo catapulta nel mondo delle questioni fondamentali della vita.
Per esempio, nella ricostruzione del famoso episodio della "tazza di caffè", ecco per bocca di Grundtsch uno di questi passaggi;
riferendosi all'atto di Leni di offrire il caffè a Boris dice:
"Nessuno poteva dare un'interpretazione diversa al suo atto: era pura, ingenua umanità, ed è vero che è proibito usarla verso gli esseri inferiori, tuttavia, sa, persino un tipo come Kremp sentiva che Boris era un essere umano a tutti gli effetti: aveva un naso, due gambe e persino gli occhiali sul naso, ed era più sensibile che tutta la compagnia messa insieme. Boris, grazie a quel gesto coraggioso di Leni, venne semplicemente riconosciuto, dichiarato un essere umano: e fu un punto fermo, nonostante tutte le miserie che sarebbe accadute in seguito.
In questo semplice passaggio è condensata tutta la tragedia del nazismo: la spiegazione fondamentale, il divieto di manifestare umanità nei confronti di esseri inferiori, ma anche la lacerazione che ciò ha provocato in tutti coloro che in qualche modo ne sono stati coinvolti, da aguzzini convinti o costretti, da vittime, da indifferenti: l'impossibilità di non avvertire l'umanità di quelli che venivano considerati inferiori, a meno di non abdicare alla propria stessa umanità e trasformarsi in "mostri".
E infatti qualche pagina dopo, ecco che Peltzer dopo la guerra, probabilmente lacerato dal dubbio di non aver fatto abbastanza per evitare certi orrori, ripete in modo ossessivo la frase: "non sono mica un mostro".
Su tutti Boll non esprime nessun giudizio, si limita a raccontare o a far esprimere giudizi dai propri personaggi, giudizi che per forza di cose, a seconda di chi li esprime, spesso sono in contraddizione.
Bellissima questa ricostruzione "corale" degli eventi e delle personaggi stessi, che permette al lettore di avere più punti di vista diversi, e crea una ricchezza inimmaginabile di sfaccettature: più che di foto, sembra quasi che si tratti di dipinti in cui ogni protagonista viene invitato a dare la propria particolare e inconfondibile pennellata, inconfondibile per stile e tonalità.
Francesca