“Come fai a liberarti del diavolo, se non diventi un diavolo e mezzo?”
Non sarà forse un capolavoro, ma questo romanzo non mi ha deluso, nonostante le aspettative suscitate da tanti commenti entusiastici fossero molto alte.
Indubbiamente Zorba è un personaggio epico, che entra nel cuore. Un uomo di carne e di sangue, un uomo delle viscere, guardando il quale il narratore sentiva “che il mondo riacquistava la sua verginità”, che “tutte le cose sbiadite dalla consuetudine quotidiana riacquistavano lo splendore che avevano i primi giorni, appena uscite dalle mani di Dio.”
Ma che cos’ha di così speciale questo personaggio che non crede in nulla: nè in Dio, nè nella bontà degli uomini, ma solo in se stesso perchè è solo su di lui che ha potere? Credo che la potenza di Zorba, intendo proprio della sua rappresentazione letteraria, sia nel suo essere insieme una finzione e il ritratto di un uomo realmente esistito. Penso infatti che tutti i limiti di Zorba personaggio (il suo cinismo, ma soprattutto il suo rapporto ambiguo con le donne, venerate e disprezzate insieme) dipendano dal loro appartenere a un uomo in carne ed ossa, che non era nè un santo nè un eroe... d’altra parte, l’aver trasformato in “carta e inchiostro” “l’attimo effimero e insostituibile” che era il vero Zorba, per forza di cose ha prodotto un personaggio dalle tinte forti, un "mito", che nei suoi eccessi, forse, ha persino superato il suo ispiratore.
Insomma credo che la bellezza di questo romanzo sia proprio nel mescolarsi di finzione e realtà, di grandezza e di limiti umani. E lo dimostra anche il rapporto speciale, osmotico, fra Zorba e il narratore, che in fin dei conti rappresentano proprio le due facce della medaglia: la verità dell'uomo, bellezza e crudeltà, e la sua sublimazione attraverso la trasposizione artistica.
Non sono d’accordo con un’interpretazione del tutto negativa del narratore: non solo perchè senza di lui non avremmo Zorba, che proprio in rapporto a un uomo così diverso da lui, fa risplendere la sua unicità. Non sono d’accordo perchè il narratore, molto più di Zorba, rappresenta il prototipo di noi uomini civilizzati e razionali, che hanno imparato a sublimare le proprie passioni allo scopo di addomesticarle, con risultati che non sono necessariamente negativi, poichè è grazie a questa forma di “addomesticamento”, di “intellettualizzazione” che siamo progrediti. La cultura, l’arte ci appartengono. Tutto questo ci ha reso più ricchi, ma ci ha anche impoverito; ci ha reso più liberi, ma anche ci ha messo un guinzaglio.
“No, non sei libero, disse: la corda a cui sei legato è un po’ più lunga di quella degli altri uomini; questo è tutto. Tu, padrone, hai una fune lunga, vai e vieni, credi di essere libero; ma la fune non la tagli. E se non tagli la fune...” “Un giorno la taglierò!” “Difficile, padrone, molto difficile. Per questo ci vuole follia; follia, hai capito? Rischiare tutto! Ma tu hai cervello, e questo sarà la tua rovina.”
A me il narratore è piaciuto, perchè almeno è un uomo che si interroga, che prende consapevolezza della trappola in cui è caduto, e non è cosa di poco conto; la verità è che la maggior parte degli uomini a questa consapevolezza nemmeno ci arriva. “Liberarti di una passione, obbedendo a un’altra passione superiore ... Ma anche questo non è forse una schiavitù? Sacrificarti per un’idea, per la tua stirpe, per Dio? O forse quanto più in alto sta il padrone, tanto più lunga è la fune della nostra schiavitù?”
A me il narratore è piaciuto perchè probabilmente solo lui poteva amare un uomo carnale come Zorba e perchè, grazie alla sua capacità di astrazione, che ne ha fatto lo “scribacchino” tanto sbeffeggiato dall’amico, ha potuto restituirci un ritratto così meravigliosamente imperfetto e umano.
D’altra parte questa bellissima amicizia non si potrebbe spiegare altrimenti:
“Per la prima volta notte precedente aveva avuto la conferma tangibile che l’anima è anch’essa carne, più diafana, più libera, che forse si muove più rapida; ma sempre anima. E la carne è anch’essa anima, un po’ insonnolita, estenuata dai lunghi viaggi, sovraccarica di gravi eredità; ma nei momenti cruciali si ridesta anch’essa, riprende vigore, agitando i cinque tentacoli come fossero ali.”