Zingaro di Macondo
The black sheep member
Sono al capitolo 5, ho incontrato Lodovico, personaggio bellissimo.
Quante cose da dire...
Per il momento non faccio altro che riprendere due concetti espressi da Spilla. Il primo è quello sulla famosa ironia dei Promessi Sposi, arguta, delicata e deliziosa, ma riservata esclusivamente ai potenti di turno e ai leccapiedi di corte. Da sempre mi piace pensare che Paolo Villaggio abbia trasformato il sarcasmo manzoniano in comicità grottesca. “Gran fig de put lup mannar”. Ridicolaggini tipiche italiane, quelle di accompagnare il proprio nome al titolo di studio, quasi come se quello, e quello solamente, fosse indice di superiorità rispetto a chi non lo ha. E via di seguito, con i titoli nobiliari spesso del tutto vuoti, inventati solo per dare importanza a chi non sa dare importanza alle cose.
Bellissimo il dialogo tra Azzecagarbugli e Renzo, evidentemente un dialogo tra sordi. Azzecagarbugli è un politico che dice tutto e non dice niente per non esporsi. Renzo, da par suo, non è esente dal timore reverenziale tipico di chi è cresciuto con la convinzione di “essere meno”.
Il secondo concetto di Spilla è quello dei “tipi manzoniani”, che molti vedono, secondo me sbagliando, come dei semplici “cliché”. Il punto è che quelle caratteristiche, come accennava Spilla, le ha scoperte e descritte per primo proprio il Manzoni. E' solo da lì in poi che sono diventati dei cliché. Sarebbe come dire che “Romeo e Giulietta” è una storia banale perché racconta l’amore impossibile tra due ragazzi ostacolati dal fato e dalla società. Il punto è che, così come Shakespeare ha introdotto il concetto di amore agitato e passionale, anticipando di due secoli il Romanticismo, il Manzoni ha visto tutto ciò che oggi è la nostra società, facendolo anch'egli con grande anticipo sui tempi. Manzoni ha pennellato con grande genio una società in divenire, partendo dai suoi prodromi che, all'epoca, ben pochi erano in grado di percepire.
Dire che i “potenti” (con questo termine mettiamo per un attimo tutti nello stesso fascio) sono dei tronfi menzogneri non era per niente scontato, non in una società che ancora doveva togliersi di dosso quella polvere medioevale di matrice cristiana ortodossa che vedeva il prete come il dispensatore di verità assolute, re e regine come interlocutori divini e avvocati e medici come sapienti ai quali rivolgersi con la testa china.
La figura di don Abbondio avrebbe creato, all'autore, non pochi problemi, se solo fosse vissuto un paio di secoli prima.
Quante cose da dire...
Per il momento non faccio altro che riprendere due concetti espressi da Spilla. Il primo è quello sulla famosa ironia dei Promessi Sposi, arguta, delicata e deliziosa, ma riservata esclusivamente ai potenti di turno e ai leccapiedi di corte. Da sempre mi piace pensare che Paolo Villaggio abbia trasformato il sarcasmo manzoniano in comicità grottesca. “Gran fig de put lup mannar”. Ridicolaggini tipiche italiane, quelle di accompagnare il proprio nome al titolo di studio, quasi come se quello, e quello solamente, fosse indice di superiorità rispetto a chi non lo ha. E via di seguito, con i titoli nobiliari spesso del tutto vuoti, inventati solo per dare importanza a chi non sa dare importanza alle cose.
Bellissimo il dialogo tra Azzecagarbugli e Renzo, evidentemente un dialogo tra sordi. Azzecagarbugli è un politico che dice tutto e non dice niente per non esporsi. Renzo, da par suo, non è esente dal timore reverenziale tipico di chi è cresciuto con la convinzione di “essere meno”.
Il secondo concetto di Spilla è quello dei “tipi manzoniani”, che molti vedono, secondo me sbagliando, come dei semplici “cliché”. Il punto è che quelle caratteristiche, come accennava Spilla, le ha scoperte e descritte per primo proprio il Manzoni. E' solo da lì in poi che sono diventati dei cliché. Sarebbe come dire che “Romeo e Giulietta” è una storia banale perché racconta l’amore impossibile tra due ragazzi ostacolati dal fato e dalla società. Il punto è che, così come Shakespeare ha introdotto il concetto di amore agitato e passionale, anticipando di due secoli il Romanticismo, il Manzoni ha visto tutto ciò che oggi è la nostra società, facendolo anch'egli con grande anticipo sui tempi. Manzoni ha pennellato con grande genio una società in divenire, partendo dai suoi prodromi che, all'epoca, ben pochi erano in grado di percepire.
Dire che i “potenti” (con questo termine mettiamo per un attimo tutti nello stesso fascio) sono dei tronfi menzogneri non era per niente scontato, non in una società che ancora doveva togliersi di dosso quella polvere medioevale di matrice cristiana ortodossa che vedeva il prete come il dispensatore di verità assolute, re e regine come interlocutori divini e avvocati e medici come sapienti ai quali rivolgersi con la testa china.
La figura di don Abbondio avrebbe creato, all'autore, non pochi problemi, se solo fosse vissuto un paio di secoli prima.
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