XCVI GdL - L'opera al nero di Marguerite Yourcenar

Minerva6

Monkey *MOD*
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Io l'ho finito poco fa, ma ovviamente aspetto voi per commentare :wink:.
Vi dico solo che ho sentito Zenon più vicino a me di quanto avessi immaginato all'inizio della lettura e nonostante alcune parti le abbia trovate piuttosto impegnative sono comunque rimasta soddisfatta della lettura.
 

Spilla

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FIno a pag. 220 circa - Spoiler

Sono pian piano arrivata alla fine della passeggiata sulla duna.
Dopo un'iniziale perplessità, la stessa che avete avuto voi, mi sono detta, come Minerva, che Zenone non se la sente di affrontare un salto nel vuoto, che l'abitudine, ad un certo punto della vita, è più attraente della novità. Forse sono un po' meno pessimista di te, Minerva, e ho semplicemente pensato che... Zenone è diventato vecchio. :)
Penso anche che la sua osservazione della natura, nel momento in cui stava sdraiato sulla duna, lo porta a riconoscere che solo l'uomo fugge da se stesso, ricavandone infelicità. Gli animali accettano la propria natura e vivono e muoiono senza recriminazioni, sensi di colpa, finzioni. Forse ha pensato che fuggire sarebbe stato mentire. E infatti sulla strada del ritorno svela la sua identità alla contadina della masseria, cosa che da anni aveva evitato accuratamente di fare. Insomma, sceglie di affrontare il proprio destino :wink:.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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Intanto io ho letto anche la nota dell'autrice a fine libro, ve la consiglio se c'è pure nella vostra edizione, chiarisce tante parti storiche e inventate, con i vari riferimenti a personaggi realmente esistiti.
 

Trillo

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Ho finito anch'io! Più tardi vedo di raccogliere un po' le idee per un commento generale più esteso in PB.

Nel frattempo, grazie Spilla per aver spiegato il tuo punto di vista, condivido sia il tuo che quello di Minerva6, entrambi i motivi insieme potrebbero aver indotto Zenone a tornare indietro. Ora penso anche che insieme a tutto ciò possa aver ulteriormente contribuito il fatto che forse un altro viaggio non avrebbe potuto aggiungere nient'altro alla sua conoscenza di sé e del mondo di cui non abbia già consapevolezza. In fondo la sua opera al nero l’ha già realizzata, e probabilmente ormai niente nella dimensione terrena può consentirgli di raggiungere le altre fasi dell'Opera forse più spirituali e che non si accordano molto con la sua concezione della vita.

Minerva6 ha scritto:
Intanto io ho letto anche la nota dell'autrice a fine libro, ve la consiglio se c'è pure nella vostra edizione, chiarisce tante parti storiche e inventate, con i vari riferimenti a personaggi realmente esistiti.
Ho letto la nota, e per quanto non conosca la maggior parte dei riferimenti citati, emerge ancora di più l'incredibile lavoro storiografico che c'è dietro questo romanzo.

Per quanto riguarda il titolo del libro, invece, l'autrice dice che: "Si discute tuttora se tale espressione venisse applicata ad audaci esperimenti sulla materia o se si riferisse simbolicamente al travaglio dello spirito nell'atto di liberarsi dalle abitudini e dai pregiudizi. E’ probabile che sia servita a indicare alternativamente l'uno e l'altro".
Secondo me l'autrice ha voluto abbracciare quest'ultima visione. Penso infatti che Zenone, dopo aver raggiunto la sua opera al nero nella sua mente attraverso le riflessioni in cui ci immergiamo nel capitolo dell'abisso, alla fine la completi anche da un punto di vista materiale, attraverso la dissoluzione del suo corpo nel nero del suo stesso sangue. E chissà, forse la sua anima che vede fuoriuscire da sé insieme al sangue potrà completare in un altra dimensione le altre fasi sua Opera lasciate incompiute.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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Ecco qualche altra citazione:

Non si è liberi quanto si desidera, quanto si vuole, quanto si teme, fors'anche quanto si vive.

Non m'è mai capitato di assistere a un intervento diretto di Dio nelle nostre faccende terrestri. Dio si delega. Agisce solo tramite noi poveri uomini.

Gli sembrava quasi di aver arrecato offesa alle infinite possibilità dell'esistenza rinunciando per tanto tempo al vasto mondo.


E questa parte era nella nota dell'autrice, chiarisce ancora meglio il titolo del libro:

L'Opera al nero, data come titolo al presente libro, nei trattati alchemici designa la fase di separazione e di dissoluzione della sostanza che era, a quanto si legge, la parte più ardua della grande Opera.
 

Spilla

Well-known member
Grazie a entrambi, i vostri commenti sono profondi e illuminanti.
Trillo, mi è piaciuto un passaggio della tua riflessione, più tardi passo con calma a rifletterci e a farti qualche domanda:wink:
Dovrete avere pazienza perché io procedo molto lentamente, sono a pagina 130
 

Spilla

Well-known member
Ho finito anch'io! Più tardi vedo di raccogliere un po' le idee per un commento generale più esteso in PB.

Nel frattempo, grazie Spilla per aver spiegato il tuo punto di vista, condivido sia il tuo che quello di Minerva6, entrambi i motivi insieme potrebbero aver indotto Zenone a tornare indietro. Ora penso anche che insieme a tutto ciò possa aver ulteriormente contribuito il fatto che forse un altro viaggio non avrebbe potuto aggiungere nient'altro alla sua conoscenza di sé e del mondo di cui non abbia già consapevolezza. In fondo la sua opera al nero l’ha già realizzata, e probabilmente ormai niente nella dimensione terrena può consentirgli di raggiungere le altre fasi dell'Opera forse più spirituali e che non si accordano molto con la sua concezione della vita.

Eccomi. Mi ha colpito questa tua affermazione perché apre le porte ad una conoscenza di tipo diverso. Insomma, tu pensi che, per quanto egli sia dotto e consapevole, la parte spirituale avrebbe dato a Zenone un di più che in realtà è rimasto fuori dalla sua portata? Che Zenone abbia tralasciato gli aspetti non-materiali non perché la sua scienza gli avesse dimostrato la loro inutilità, ma, al contrario, perché la sua incapacità di accettarli gli ha impedito una più alta conoscenza?
E, se posso chiedertelo, il termine "spirituale" lo riferisci ad una sfera religiosa o ad un più ampio ambito metafisico (tipo energia cosmica o simili)?
Non sei obbligato a rispondere :wink:, ma mi hai incuriosito :mrgreen:
 

Trillo

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Mi fa piacere se ho suscitato la tua curiosità, non pensavo di poter generare tanto interesse :) Devo ammettere che non è facile rispondere in modo obiettivo a queste domande che mi poni, si tratta chiaramente solo di un mio pensiero. In ogni caso provo a motivartelo cercando di essere il meno soggettivo possibile. Parto dalle tue domande a ritroso.

Spilla ha scritto:
E, se posso chiedertelo, il termine "spirituale" lo riferisci ad una sfera religiosa o ad un più ampio ambito metafisico (tipo energia cosmica o simili)?

Allora, ho usato il termine "spirituale" perché nel libro si distingue tra corpo, anima e spirito in relazione alle tre fasi della Grande Opera. Zenone è riuscito a realizzare la prima fase, quella materiale che concerne il corpo; le altre fasi dell'Opera attengono invece ad una sfera più alta, che va al di là di quella materiale. Ho usato quindi questo termine come contrapposizione al mondo sensibile di cui Zenone è già padrone.

Spilla ha scritto:
Che Zenone abbia tralasciato gli aspetti non-materiali non perché la sua scienza gli avesse dimostrato la loro inutilità, ma, al contrario, perché la sua incapacità di accettarli gli ha impedito una più alta conoscenza?

Non credo che Zenone abbia tralasciato gli aspetti non materiali, al contrario, penso che ne abbia coltivato un profondo interesse ma che non riesca a sentirli propri, ad accettarli e crederci così come fanno altri, per quanto lui ci provi. Ora non so se questo possa portare a ciò che chiamiamo conoscenza, ma ad un altro tipo di consapevolezza forse sì, o comunque ad un particolare stato interiore di ricongiungimento col tutto. In questo senso quindi direi che il termine spirituale possa riferirsi ad un ambito metafisico, come dici tu. Questo però non esclude che possa ugualmente far riferimento ad una sfera religiosa. Infatti, come dice il priore ad un certo punto:

"Qualcuno afferma che i vostri alchimisti fanno di Gesù Cristo la pietra filosofale e del sacrificio della messa l'equivalente della Grande Opera".

Quindi, in definitiva, il termine "spirituale" lo riferisco a tutto ciò che va al di là della materialità, sia esso metafisico o religioso. D’altra parte, nessuna di queste due visioni sembra appartenere a Zenone. Quando infatti si accenna a questi argomenti, Zenone pur essendo egli stesso un alchimista, tende spesso a porre una certa distanza dai suoi "colleghi". Per esempio, in risposta alla prima citata affermazione del priore, lui irisponde iniziando con l’espressione: "Alcuni lo dicono". Oppure, in un'altra occasione inizia dicendo: "I miei fratelli alchimisti usano". Riporto per intero questa frase, perché può essere significativa per capire la sua posizione:

"I miei fratelli alchimisti usano figure come il Latte della Vergine, il Corvo Nero, il Leone Verde Universale e la Copulazione Metallica per designare operazioni della loro arte, là dove la violenza o la sottigliezza di quelle supera le parole umane. Il risultato è che le menti rozze si affezionano a quei simulacri, e che altre più giudiziose disprezzano al contrario un sapere che va sì lontano ma che appare loro come insabbiato in una palude di sogni…".

La posizione alchimista di Zenone quindi non si inserisce all'interno di un quadro di speculazione propria dei suoi "fratelli", ma più entro una visione oggettiva che fa da precursore alla scienza vera e propria. Lui è uno che non si lascia offuscare la mente da certi simbolismi oscuri, ed infatti è uno che si dedica agli esperimenti, di cui ne sono esempi il suo fuoco liquido, le sue prove di trasfusioni di sangue....E' uno che si prende gioco di Aristotele e delle sue speculazioni sull'anima, è uno che nega che l'uomo sia al centro di tutto, è uno di quelli che, seppur relegando l’inspiegabile a una forma di magia, ammette pur sempre che "restavano da dimostrare ancora tante cose." Questa forma di apertura, rende a mio parere anche l'ultimo gesto di Zenone una forma di estremo esperimento o verifica, in qualche modo. Se l’Opera al nero era stato per lui inizialmente una forma ribellione e poi un esperimento di laboratorio, nella sua maturità comprende che si tratta di qualcosa di più complesso, di un'esperienza che abbraccia tutto se stesso, dapprima nella sua mente, per poi infine estendersi ad un esperimento fisico estremo su tutto il suo corpo. Ed è qui che vedo la possibilità o la speranza di realizzare in un'altra dimensione le altre fasi dell'Opera, collegandomi a quanto affermato nel capitolo dell’abisso in cui si dice:

"La prima fase dell’opera aveva richiesto tutta la sua vita. Gli mancavano il tempo e le forze per procedere oltre, supponendo che ci fosse una strada e che per quella strada potesse passare un uomo."

In questo passaggio, Zenone comincia a dubitare dell'esistenza di una via terrena attraverso cui accedere al compimento dell'Opera. E poi continua dicendo:

"Oppure, quel putrefarsi delle idee, quel perire degli istinti, quella distruzione delle forme sarebbero immediatamente seguiti dalla vera morte e gli sarebbe piaciuto vedere in che modo lo spirito scampato dei domini della vertigine riprenderebbe la sua attività abituale, munito solamente di facoltà più libere, quasi purificate. Sarebbe bello vederne i risultati".

Con questa frase Zenone sembra ammettere la possibilità che ci sia una forma di continuazione dopo la morte, in un’altra dimensione di cui forse non potrà essere coscientemente partecipe.

Spilla ha scritto:
tu pensi che, per quanto dotto e consapevole, la parte spirituale avrebbe dato a Zenone un di più che in realtà è rimasto fuori dalla sua portata?

Non so se la parte spirituale avrebbe potuto dare "un di più" a Zenone senza togliergli al contempo qualcos’altro, ma perchè dubitarlo a priori, in fondo. Sono certo che il fatto di essere dotto non escluda la possibilità di avere un di più da qualcosa che vada al di là del razionale o del conosciuto.

Vorrei azzardare un'analogia/contrasto con Siddharta. Secondo me lui potrebbe rappresentare un esempio di realizzazione completa della Grande Opera, seppur con la differenza che lui non era così profondamente contestualizzato in una realtà storico-sociale così come lo è Zenone, per cui il percorso a cui loro vanno incontro è comunque totalmente diverso.

Vediamo prima l'analogia. Le riflessioni che Zenone fa nel capitolo dell’abisso a proposito di quella sua dissoluzione di tutti i pensieri che si fondono in un tutt’uno senza tempo, assomigliano alle conclusioni di Siddharta. I pensieri di Zenone sono del tipo:

"Ogni cosa ne era un’altra: la camicia che gli lavavano le suore Bernardine era un campo di lino più azzurro del cielo e insieme un mucchio di fibre in macerazione sul fondo d’un canale" oppure "Un’oca sgozzata schiamazzava nella penna che sarebbe servita a tracciare su vecchi cenci idee credute degne di durare nel tempo" o "I muri di mattoni si dissolvevano nel fango che sarebbero tornati ad essere un giorno".

Siddharta in modo analogo dice:

"D’ogni verità anche il contrario è vero! [...] Siamo soggetti alla illusione che il tempo sia qualcosa di reale. Il tempo non è reale[...] Nel peccatore è già, ora stesso, il Buddha potenziale, il Buddha in divenire, il Buddha nascosto [...] Tutti i bambini portano già in sé la vecchiaia, tutti i lattanti la morte, tutti i morenti la vita eterna. La meditazione profonda consente la possibilità di abolire il tempo, di vedere in contemporaneità tutto ciò che è stato, ciò che è, e ciò che sarà, e allora tutto è bene, tutto è perfetto, tutto è Brahma."

Questa è l’analogia. Mentre però Zenone non riesce ad andare al di là di questi pensieri, di quest'Opera al nero, Siddharta fa quel passo in più, anche se non facilmente comprensibile, che gli consente secondo me di portare a compimento l'Opera:

"Il mondo, caro Govinda, non è imperfetto, o impegnato in una lunga via verso la perfezione: no, è perfetto in ogni istante, ogni peccato porta già in sé la grazia" [...]
"Per questo a me par buono tutto ciò che esiste, la vita come la morte, il peccato come la santità, l’intelligenza come la stoltezza, tutto dev’essere così, tutto richiede solamente il mio accordo, la mia buona volontà, la mia amorosa comprensione, e così per me tutto è bene, nulla mi può far male. Ho appreso, nell’anima e nel corpo, che avevo molto bisogno del peccato, avevo bisogno della voluttà, dell’ambizione, della vanità, e avevo bisogno della più ignominiosa disperazione, per imparare la rinuncia a resistere, per imparare ad amare il mondo, per smettere di confrontarlo con un certo mondo immaginato, desiderato da me, con una specie di perfezione da me escogitata, ma per lasciarlo, invece, così com’è, e amarlo e appartenergli con gioia.[...] Questa è una pietra, e forse, entro un determinato tempo sarà terra, e di terra diventerà pianta, o bestia, o uomo. [...] Oggi invece penso: questa pietra è pietra, ed è anche animale, è anche dio, è anche Buddha, io l’amo e l’onoro non perché un giorno o l’altro possa possa diventare questo o quello, ma perché essa è, ed è sempre stata, tutto."

Io in tutto ciò riconosco quella fusione di corpo, anima e spirito che ricongiunge il sé al tutto in una dimensione sublime, quella che forse è la Grande Opera. Siddharta alla fine del suo percorso riesce ad amare il mondo così com’è, a ritenerlo perfetto, a gioire e a sentirsi un tutt'uno con esso. Questa visione è quindi all'opposto di Zenone, che invece afferma:

"I filosofi dei nostri tempi sono numerosi nel postulare l'esistenza d'una Anima Mundi senziente e più o meno cosciente, alla quale partecipano tutte le cose; io stesso ho sognato le cogitazioni delle pietre... [...] Tutto il resto, voglio dire il regno minerale e quello degli spiriti, se esiste, è forse insensibile e tranquillo, al di là o al di qua delle nostre gioie o pene. Le nostre tribolazioni, signor priore, sono forse solo un'infima eccezione nella fabbrica universale, e ciò potrebbe spiegare l'indifferenza di quella sostanza immutabile che devotamente chiamiamo Dio."

Zenone, al contrario di Siddharta, non riesce a fondersi armoniosamente con il mondo insieme ad i suoi pregi e i suoi difetti, non riesce ad accettarlo così com'è. Lui sogna un mondo diverso, vorrebbe scoprirlo, e vorrebbe cambiarlo. Ma allora il prezzo da pagare per il raggiungimento della Grande Opera nella vita terrena è davvero quello di una piena accettazione e identificazione del mondo in cui viviamo senza far nulla per modificarlo? Oppure effettivamente la Grande Opera non può realizzarsi a pieno entro una cornice esclusivamente terrena? In fondo Siddharta è un personaggio difficile da immaginarsi reale...

Non mi dilungo oltre, perchè poi sarebbero solo speculazioni filosofiche che non mi appartengono, e poi è già venuto un mega papirone (pippone?) che spero non ti/vi abbia annoiato. In tutto ciò, spero di aver colto il senso delle tue domande nel provare a risponderti, e quindi non aver divagato troppo nonostante il lungo messaggio...In caso contrario mi scuso, non era mia intenzione farti/vi perdere tempo :mrgreen:
 

Spilla

Well-known member
Trillo, mi devo complimentare con te per la profondità di analisi e soprattutto per la tua lucidità di pensiero :ad::ad::ad:
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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Trillo, mi devo complimentare con te per la profondità di analisi e soprattutto per la tua lucidità di pensiero :ad::ad::ad:

Io il post non ho ancora avuto modo di leggerlo ma gli ho già fatto i complimenti in PB per la recensione.
Il ragazzo li merita davvero :ad: :wink:.
 

elisa

Motherator
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scusate per l'assenza ma la tecnologia ha fatto i capricci complice un periodo di lavoro superintensivo non riuscivo convenientemente a mettermi in contatto con voi!

Ho finito da alcuni giorni il romanzo e mi è piaciuto, anche molto, ma forse riuscirò a parlarne un po' meglio nei prossimi giorni.
 

Spilla

Well-known member
Francesca? Sei ancora dei nostri?
Io sono a pagina 260, ho buone speranze di finire antro il mese di novembre :mrgreen:
 

Spilla

Well-known member
Finito! Mi è piaciuto, anche se non sono certa di aver capito bene l'intenzione dell'autrice. Soprattutto, non capisco se alla fine il bilancio esistenzile di zenone sia stato positivo o no. Certo, è un uomo che sceglie come condurre la sua vita, senza restare ingabbiato nelle ideologie e nelle consuetudini. Ma la sua ricerca si esaurisce in questo?:boh:

Trillo, c'è un passaggio, nel dialogo finale, in cui sembra che Zenone stesso sostenga che aprirsi allo spirituale avrebbe potuto permettergli di accedere ad una comprensione più alta. Di solito non riesco ad inserire citazioni, ma magari più tardi ci provo.
 

Trillo

Active member
Trillo, c'è un passaggio, nel dialogo finale, in cui sembra che Zenone stesso sostenga che aprirsi allo spirituale avrebbe potuto permettergli di accedere ad una comprensione più alta. Di solito non riesco ad inserire citazioni, ma magari più tardi ci provo.
Provaci, che sono curioso :mrgreen: Oppure puoi scrivere anche solo un riferimento alla pagina, poi posso trovarla e scriverla io, così la vediamo insieme.
 

francesca

Well-known member
Scusate se sono sparita così ma ho avuto un periodo allucinante a lavoro.
Ho finito da un po’ il libro e quindi il mio è più che un commento a freddo, direi che è un commento sotto zero :)
Dopo i primi capitoli per me abbastanza spiazzanti perché non riuscivo a trovare il filo conduttore della narrazione, la storia da mille rivoli, episodi e personaggi si è concentrata su Zenone che è diventato il protagonista indiscusso e univoco di tutto il romanzo. Da una coralità indefinita e caotica si passa quasi bruscamente alla monotonicità dei singoli pensieri e idee di un solo personaggio. I primi capitoli sembrano una specie di preparazione per contestualizzare il periodo storico in cui il protagonista vive le sue vicende.
Una volta entrato prepotentemente in scena gli altri personaggi sembrano esistere solo per dargli maggior risalto.
Il punto di svolta nella narrazione l’ho individuato nel capitolo dell’Abisso in cui rivela come Zenone è arrivato ad essere quello che è, le sue lotte interiori, i suoi cinquant’anni di ricerche.
Però in tutte le sue successive vicissitudini che lo portano fino alla morte per me rimane sempre un personaggio confusionario.
La postfazione dell’autrice forse mi ha aiutato a capire meglio perché dall’inizio alla fine ho avuto questa sensazione. Premesso che non sono riuscita a capire tutti i riferimenti che cita e che l’hanno ispirata. Una cosa però ho capito: che per Zenone ha preso ispirazione da diversi personaggi realmente esistiti, filosofi e studiosi del Rinascimento europeo. E forse è proprio lì il problema: che riunendo in un solo personaggio sfaccettature tanto diverse alla fine questo è risultato poco credibile perché indefinito.
Ho apprezzato moltissimo la capacità dell’autrice di immergere il lettore in questa epoca così complessa e drammatica, dando a questa immersione un taglio soprattutto filosofico e “scientifico”, nel termine che assumeva allora la parola. I dotti del tempo erano un calderone di contraddizioni, erano al tempo stesso astronomi e astrologi, medici e stregoni, preti e atei, e Zenone racchiude tutto questo in sé, ma racchiude così tanto da chiedersi come non faccia a disgregarsi in pezzi sotto la spinta delle mille incongruenze che lo tirano da tutte le parti.
Più che la vita di tutti i giorni di quell’epoca, la Yourcenar vuole rendere al lettore la nascita del pensiero moderno, l’immane sforzo dell’uomo di quel tempo per liberarsi dall’ancestrale superstizione che lo vuole succube di un dio che gli impone cosa e come pensare.
Ho apprezzato molto quindi l’affresco complessivo di questo Cinquecento che emerge dalla lettura; ammetto di non aver abbastanza conoscenza per riuscire a cogliere a fondo tutti i riferimenti teologici e filosofici sparsi in tutta la narrazione. Alla fine però ne esco con la sensazione che l’autrice abbia chiesto troppo al suo Zenone, e lo abbia reso un personaggio poco credibile, che difficilmente può uscire dalla carta del libro che lo contiene.

Francesca
 

Gnome74

New member
Ciao...

... venendo solo ora a conoscenza di questo gruppo di lettura, ho pensato di "aggregarmi"; be', io il romanzo della Yourcenar lo lessi alcuni anni fa e fatico a ricordarne la trama, i personaggi, eccetera, ma forse leggendo i vostri commenti lo "riesumerei", per così dire, dai meandri della memoria. Tra l'altro non so se sono o no ancora in possesso del libro, ma penso di sì. La Yourcenar era/è una delle autrici che preferisco e lessi alcune delle sue opere, ad esempio "Memorie di Adriano" e "Quoi? L'Eternité.". Se questo gruppo di lettura fosse interessato anche a questi due, per esempio, se ne potrebbe discutere prossimamente. Io, magari, li dovrei rileggere, però. Da un po' di tempo leggo quasi solamente saggistica e biografie, in particolare sulla storia dell'arte, ma ricordo con piacere la lettura della Yourcenar e quindi coglierei l'occasione per rileggere i suoi bei romanzi. Ah, però adesso che ci ripenso "Memorie di Adriano" è in effetti una biografia. Comunque ve la consiglio. Ciao.
 
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