Che dire, una lettura decisamente...strana! Potrei dividere questo libro in due parti, la prima composta dai primi tre capitoli e la seconda dai restanti quattro.
Alla prima parte dò un giudizio molto positivo: alcuni spunti molto interessanti, così come le citazioni, gli aneddoti e le riflessioni su Nietzsche, Beethoven, Parmenide, la dicotomia leggerezza-pesantezza, e di riflesso quella debolezza-fortezza. Non l'ho trovato affatto noioso, al contrario di molti, anzi ripeto, molto interessante e di facile lettura, con alcune considerazioni che meriterebbero assolutamente un debito approfondimento. Per quanto comunque non ci sia un personaggio che mi ha colpito, li ho trovati tutti un po' estremi, esacerbati, fino a metà libro circa pensavo di essere di fronte a un'opera notevole, degna di essere catalogata come "romanzo filosofico".
Poi sono iniziate le stranezze.
Già il capitolo 4, su Tereze, è stato un po' disturbante, analizzando questo personaggio che sinceramente non sopporto: tutta la questione al bar, poi con l'ingegnere, tutte le turbe mentali di questa donna tormentata da un uomo (Tomàs) che non capisco come possa meritarsi il suo affetto.
Poi il capitolo 5, su Tomàs, abbastanza godibile, ritorna qualche spunto carino qua e là, anche se l'autore si rivela piuttosto impietoso verso la sua gente. Ma anche qui situazioni estreme e irreali, tipo Tomàs che viene chiamato da donne a destra a manca con la scusa di pulire i vetri, ma in realtà per fare qualcos'altro..situazioni per mezzo delle quali l'autore comincia a emettere sentenze di vita abbastanza discutibili, tra l'altro.
Dopodichè, arrivati al capitolo 6, c'è un crollo verticale nella qualità del romanzo: Kundera inizia a sproloquiare (letteralmente, secondo me) sul senso dell'esistenza, su Dio e derivati, su questo fantomatico Kitsch..un'accozzaglia di, ripeto, sentenze del tutto arbitrarie colte da situazioni pretestuose, i personaggi praticamente scompaiono e lasciano il posto all'ingombrante presenza dell'autore che non fa altro, per 40-50 pagine, che sentenziare sulla vita a suo piacimento. Una delusione totale.
L'ultimo capitolo, poi, sul cane Karenin, tenta di stabilire una certa empatia fra il lettore e il simpatico animaletto..ma anche qui l'autore coglie la situazione da lui creata per presentare sue teorie un po' campate in aria sul rapporto tra l'uomo e il mondo/la natura/gli animali, con le quali non si capisce bene dove voglia arrivare. Alla fine i sentimenti dei personaggi verso Karenin risultano, di nuovo, esacerbati, raggiungendo il climax nel momento della morte e, soprattutto, del seppellimento del loro defunto cane. L'ho trovato abbastanza fastidioso e, di nuovo, esagerato.
Così come alla fine non mi trovo d'accordo con le sue conclusioni sull'argomento "amore/rapporto di coppia": l'autore lo vede come una serie di complicazioni su complicazioni, i personaggi instaurano tra di loro relazioni che fanno sorgere solo problemi e molto raramente qualche puro sentimento..io non so che storie d'amore Kundera abbia vissuto, ma, o sono fortunato io ad avere una relazione normale, oppure si sbaglia di grosso sulla questione.
Insomma, un libro strano, scritto alla fine in modo molto semplice, senza uno stile particolarmente elaborato. Dovendo dare un voto, direi un 4/5 alla prima parte e un 1/5 alla seconda: in media fa 2,5/5, non proprio un successone insomma! :?
Romanzo filosofico? La filosofia è ben altro, non ha nulla a che vedere con questo libro.
Visto comunque l'elevatissimo gradimento riscontrato da molti in questo forum, mi piacerebbe molto discutere su molti punti, che qui per necessità di sintesi non ho fatto emergere..e magari in privato, così non intasiamo il forum :HIPP