Bene, messaggio afferrato
Non preoccupatevi, ripeto che potete anche commentare come al solito
Io ci provo ...
Sta lì seduta e guarda il vuoto, mentre il caffé attende invano che lei lo gusti. Pensa a Juan, alla sua vita crollata in pochi minuti, alla loro casa messa su in quattro e quattr'otto con coraggio e passione. Gli anni insieme, così pochi anche se sembrano tanti. Sono trascorsi dieci giorni da quando le ha detto "Mi dispiace, la convivenza non fa per me". Ma certo, ha pensato lei. Se ne accorge adesso. Gli uomini sono così bravi a giustificarsi, tanto bravi quanto le loro scuse sono cretine. E comunque non è caduta dalle nuvole; si era accorta che negli ultimi mesi era distratto, assente. Sempre con gli occhi fissi su quel cellulare. Leggendo i messaggi di quell'americana, di certo. Eleanor, così si chiama, deve essere svampita proprio come l'omonima protagonista di quel libro. Quella stronza. E dire che prima le piaceva, quel nome.
In ufficio ha detto di essere malata: non avrebbe sopportato gli sguardi indagatori dei colleghi ed era certa che sarebbe scoppiata a piangere alla minima sollecitazione.
Oggi però ha deciso di uscire. Devo darmi una mossa, ha pensato. E ha indossato per la prima volta quel vestito, quello che le ha regalato sua sorella per il compleanno. Che bello, le aveva detto. E' troppo scollato, non lo indosserò mai, aveva pensato. Il suo atteggiamento ben studiato comunica una finta disinvoltura ma, in realtà, tutto contribuisce a crearle disagio: i vicini di tavolo, le cameriere che sorridono forzatamente, come oche giulive. E quella tazzina sporca lì davanti, che trascuratezza. Non c'erano altri tavoli liberi. Forse avrebbe dovuto andarsene subito, che ci fa in quel posto così estraneo?
Ancora non ci credo, non voglio pensarci. Non so quanto ho bevuto, non riesco a sollevare la testa dal tavolo da quanto mi gira e dal sonno che sento piombarmi addosso senza dolcezza, come un macigno. Ma il sonno traditore si avvicina e poi fugge via. Mi sembra di vedermela ancora davanti, con quelle lentiggini e il ciuffo biondo che le cadeva sugli occhi. Venivamo spesso qui, insieme. Le piaceva questo posto, "i camerieri sono così carini e il caffé è così buono", diceva. In realtà si entusiasmava per tutti i locali che frequentavamo e per tutti i film che guardavamo e per tutti i libri che leggevamo insieme, prima di addormentarci o di fare l'amore. E il mio cuore si gonfiava perché ogni volta mi sorrideva come se fossi io a scatenare il suo entusiasmo, e per me ogni giorno era il primo giorno e i suoi occhi erano gli stessi di un anno fa e credevo che anche per lei fosse così. Quasi ho continuato a crederlo anche quando mi ha guardato innocente e mi ha detto che si era innamorata di un altro "così carino e così buono, so che capirai, perché anche tu sei carino e buono, sai, sto con lui già da un po' ma non sapevo come dirtelo". Poi però ha pronunciato il suo nome, "Juan" - uno spagnolo del cacchio! - e ho visto qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che non avevo mai visto, qualcosa che andava oltre tutto l'entusiasmo per i locali e per i libri e per i film e per me, e ho capito che la mia Eleanor che si chiamava come la protagonista del suo libro preferito non c'era più e non ci sarebbe stata mai più. E ora non riesco più a versare una lacrima e la testa gira, gira, sento qualcuno che si avvicina, forse una cameriera ma non riesco ad alzare gli occhi, forse mi manderà via, chissà se riuscirò ad alzarmi, speriamo che qualcuno venga a prendermi.