Spilla
Well-known member
Commento finale
Alla fine ho rivalutato appieno Makar Devuškin. La sua figura è tragica. Rappresenta in modo efficacissimo la categoria di questo sottoproletariato urbano composto da funzionari sottopagati e costretti a vivere in ambienti degradati, senza nessuna prospettiva di cambiamento né di miglioramento delle condizioni di vita. Nonostante una certa cultura di base (che forse li ha illusi di potersi distinguere dalla misera classe operaia e contadina) questi impiegatucoli si trascinano, letteralmente, attraverso la vita, senza poter dare un vero contributo a nessuno, senza prospettive che vadano oltre la mera sopravvivenza.
In questa condizione miseranda e umiliante, anche intrattenere relazioni affettuose, anche voler proteggere un amico o un parente diventa impossibile. Gli stessi sentimenti sono costretti a ribaltamenti ed evoluzioni, incapaci di stabilità perché privi di una sia pur minima sicurezza economica su cui fare affidamento.
Makar ci prova, a proteggere la giovane e poco consapevole Varvara, e così va incontro a fallimenti e angosce di ogni genere. Non è l’amore a mancare, ma il denaro. Il riconoscimento sociale. La stabilità.
Nel suo incontro con Sua Eccellenza, la sua disperata condizione si rende evidente, ed egli finisce per rincorrere il bottone anzichè la propria dignità di lavoratore. Sono i bisogni primari a guidare Makar, che ne è succube.
Alla fine Varvara dovrà rendersi conto della situazione, rinuncerà alla propria libertà e umanità perché tutto ciò a cui la “povera gente” può ambire è avere un minimo di sicurezza materiale. Sogni, desideri, progetti, tutto questo è riservato a gente più ricca.
@Trillo, la società russa del tempo è piuttosto complessa e diversa da quelle a cui siamo abituati. Forse questo romanzo, che dà per scontato un mondo così lontano dal nostro per soffermarsi sulle sue conseguenze psicologiche e sociali, non è il più semplice per avvicinarsi all’opera del grande Dostoevskij. Io ti direi di buttarti e leggere Delitto e castigo.
Alla fine ho rivalutato appieno Makar Devuškin. La sua figura è tragica. Rappresenta in modo efficacissimo la categoria di questo sottoproletariato urbano composto da funzionari sottopagati e costretti a vivere in ambienti degradati, senza nessuna prospettiva di cambiamento né di miglioramento delle condizioni di vita. Nonostante una certa cultura di base (che forse li ha illusi di potersi distinguere dalla misera classe operaia e contadina) questi impiegatucoli si trascinano, letteralmente, attraverso la vita, senza poter dare un vero contributo a nessuno, senza prospettive che vadano oltre la mera sopravvivenza.
In questa condizione miseranda e umiliante, anche intrattenere relazioni affettuose, anche voler proteggere un amico o un parente diventa impossibile. Gli stessi sentimenti sono costretti a ribaltamenti ed evoluzioni, incapaci di stabilità perché privi di una sia pur minima sicurezza economica su cui fare affidamento.
Makar ci prova, a proteggere la giovane e poco consapevole Varvara, e così va incontro a fallimenti e angosce di ogni genere. Non è l’amore a mancare, ma il denaro. Il riconoscimento sociale. La stabilità.
Nel suo incontro con Sua Eccellenza, la sua disperata condizione si rende evidente, ed egli finisce per rincorrere il bottone anzichè la propria dignità di lavoratore. Sono i bisogni primari a guidare Makar, che ne è succube.
Alla fine Varvara dovrà rendersi conto della situazione, rinuncerà alla propria libertà e umanità perché tutto ciò a cui la “povera gente” può ambire è avere un minimo di sicurezza materiale. Sogni, desideri, progetti, tutto questo è riservato a gente più ricca.
@Trillo, la società russa del tempo è piuttosto complessa e diversa da quelle a cui siamo abituati. Forse questo romanzo, che dà per scontato un mondo così lontano dal nostro per soffermarsi sulle sue conseguenze psicologiche e sociali, non è il più semplice per avvicinarsi all’opera del grande Dostoevskij. Io ti direi di buttarti e leggere Delitto e castigo.
Ultima modifica: