Finito
Complice un viaggio in pullman di ore e ore, ho finito il libro in un colpo solo qualche giorno fa.
Mah, che dire? :?
Mi ritrovo tantissimo nel post di commento di Spilla.
Lettura per me scorrevole, veloce, vivace; come dicevo, adoro lo stile di Auster, così asciutto, descrittivo, semplice.
Ma alla fine mi è rimasta la stessa domanda di fondo di Spilla: e quindi?
Se leggo la vicenda come ho detto nel mio precedente post, come una storia da ascoltare per il gusto di farsi raccontare una storia e vederla prendere vita nella nostra immaginazione, il libro per me ha funzionato: mi sono sentita parte di questa città assurda, ho sofferto con Anna la fame e il freddo, ho percorso le strade pazze di questa città, il senso kafkiano della presenza dello stato, il periodo di tregua nella biblioteca, il sole implacabile, le scarpe rattoppate di carta che si inzuppano di acqua.
Ma se cerco di dare un senso a tutto ciò, un significato oltre, non ce lo trovo e non mi convince niente.
Inoltre anche per me come per Spilla, alcuni spunti che mi sembravano interessanti e promettenti, come la città che cambia continuamente, vengono abbandonati quasi subito, non sviluppati.
Per esempio quello delle parole che vengono perdute in seguito all'oblio dell'oggetto che definivano, spunto che nasce dalla discussione di Anna con un poliziotto che non sa cosa voglia dire "aeroplano". Mi sembrava una bella riflessione, ma muore lì, nella storia non ha alcun seguito narrativo, non produce nessuno sviluppo.
Insomma, non sono rimasta pienamente convinta.
Francesca