Il mondo delle parole

sergio Rufo

New member
Julia, ottima considerazione: educazione? cos'e'? Hai toccato un punto nodale, topico.
L'agire inteso non in modo sociale non ha niente a che vedre con l'educazione. Anzi, quest'ultima e' l'ennesimo freno.
Ma se vuoi spiegare meglio.

Zefiro, m'interessa il tuo discorso, ma ora ho poco tempo, scusami.
Piu' che ontologico, in quel caso, io direi che e' ontico.( quando parli di relazioni e la relazione appartiene gia' all'esistenza)

Luisa: appena ho tempo ti dico come la penso sul tuo schema per altro chiaro.
 
C'è una questione più profonda in questa ricca stanza.
Stiamo girando intorno al concetto di volontà. La libertà delle nostre azioni, l'estrema ratio.
Alcune cose già pensate e dette da Sergio.

Sull'educazione ho da dire che la confusione che ne deriva dimostra la convenzione sociale di cui è intrisa.

Sento di non riuscire a condividere una discussione che diventa inutile nel momento in cui do alle parole tutto questo peso. Infatti, vorrei dimostrare con le azioni quanto ho da dire ma in questo posto diventa retorica.
Tutta la vostra discussione, a tratti interessanti, verte su qualcosa che si accentra sulla nostra individualità ed è proficua quando si pregia di osservare quel qualcosa dopo esserci rivolti in modo appropriato ai due principali quesiti filosofici: l'essere e il linguaggio.

"Ma", dicono i mediocri "intanto che voi pensatori filosofeggiate noi abbiamo bisogno dei concetti di bene e male su cui regolarci, abbiamo bisogno di un'etica". Quei tali, ad esempio, incapaci di liberarsi della teoria del buoncostume.
Questa frase è il sintomo di una condizione degradata del concetto di educazione tanto caro ai perbenisti che camuffano in potere la gestione delle buone maniere.

Il logos, questo perfetto sconosciuto, è sì strumento di potere ma se legittimato da un'azione "diseducata".
Siamo, però, nell'epoca sbagliata: quella delle discipline gestite da pseudointellettuali che caldeggiano il solito meccanicismo secondo cui "si dice ciò che permette di essere famosi". E si diventa scribacchini.

Ora sto dilungandomi anch'io, vedete?
Il nostro essere nel forum è qui contrapposto alla nostra libertà di azione. Si sta recludendo nelle altrui volontà.
La nostra parola, il nostro linguaggio, sta cercando di liberarsi da gestori che limitano la potenza delle voci.
Mi sa che siamo fottuti.
 

sergio Rufo

New member
Julia, definito in questo modo comprendo quello che vuoi dire, ma il problema e' un altro.
Si tratta di stabilire , oltre al mondo delle parole da cui siamo partiti, cos'e' il linguaggio o il fare.
Siamo arrivati per passaggi tortuosi ad azione, atto, ratio, irrazionalismo, energia, convenzioni sociali.
Tu, poi tocchi, la volonta' che dovrebbe essere il cardine di tutto: una singola azione e' voluta, un atto e' voluto, si vuole questo e quello. Si vuole persino muovere un braccio o l'altro.
Sembrerebbe che il volere sia la molla di ogni nostra azione anche se poi filtrata dalla ragione.
Non si puo' pero' dire che un istinto vuole. Infatti la volonta' cosi' intesa non esiste, non c'e'.
Ma allora cos'e'?
Rimane valida secondo me la netta separazione: da una parte la coscienza con le sue sovrastrutture che intenziona il mondo.Lo rappresenta.
Dall'altra parte l'irrazionale dell'energia che muove tutto in tondo. E questo quantum di irrazionale si convoglia in ogni singolo individuo determinandolo in un modo o nell'Altro (Angoscia esistenziale, cos'e', se no?) Non certo la paura della morte, o almeno non solo questo. E' la percezione dell'inadeguatezza di quello che noi ci siamo rappresentati ( anche noi medesimi) con il non perche' di tutto quello che accade.

Sul piano sociale : lascio a te la parola sull'azione sociale.( sempre che esista una cosa cosi' stramba, sai come la penso) :)
 

sergio Rufo

New member
Il compimento dell'agire è l'atto. L'atto (es. uccidere) non ha tempo, non ha storia, perché immediato.
L’atto e l’azione sono due fasi distinte dell’agire umano.
L’azione è il progetto (bisogna uccidere Cesare perché...), preesistente al concetto dell’atto.
L’atto è l’esito fuori dall’azione. Alla coscienza appartiene l’azione e non l’atto, di cui il soggetto ha conoscenza a posteriori.

Lo riporto per non fare su e' giu' con la pagina

Allora Luisa, secondo me, e' un discorso lungo.
Incominciamo a dire: ammettiamo che l' atto sia il risultato di un azione ( si potrebbe discutere) tu dici che non ha storia, non ha tempo, perche' immediato.
Ma nel momento che lo compi ( poniamo un atto istintivo) tu poi lo storicizzi in coscienza. Nel tuo tempo. Ne hai memoria.
Peggio ancora lo giudichi moralmente o eticamente, quindi deprivi poi quell'atto o della sua istintivita' perche' lo misuri logicamente, o lo deprivi della sua immediatezza perche' poi lo concateni a qualcosa altro.( le tue esperienze, la causa ,l' effetto, ecc.ecc).
Dove c'e'coscienza interviene sempre il pro- getto. Lo dice la parola: gettarsi in avanti. Gettiamo in avanti la nostra azione che premeditiamo di fare e la organizziamo fino alla'tto finale.
Alla coscienza dunque appartiene sia l'agire che l'atto a mio parere.
Piu' che l'atto la conseguenza dell'atto.
Se per esempio apro la finestra e butto giu' il computer , io immagino che si schianti al suolo.
Prevedo, azione, atto, conseguenza.
La coscienza o meglio l'autocoscienza di essere cosciente di agire in un modo o l'altro e' onnicomprensiva.

Noi lo sappiamo: tutto quello che e' autocosciente si rappresenta il mondo come strumento del suo esserci. L'azione, l'atto, la causa ed effetto - nella coscienza - tendono a strumentalizzare il mondo per rappresentarci in esso.
 
Nessun piano sociale nel mio discorso.
Era proprio l'esaltazione di "ciò che vuole, fa"
Ma stiamo spendendo già troppe parole.
 

Zefiro

da sudovest
(...)Ma stiamo spendendo già troppe parole.

in effetti...data la loro inutilità e profondo scollamento col reale.... (cosa dicono dunque questi post? Non corrispondono a nulla di certo, per natura ingannevoli, ovvio, allora a cosa? "Mezzo" d'altra parte non sono... mah...! ) si... un po' troppe davvero direi... :wink:

Si, siamo fottuti. Da chi non è chiaro... :? o forse si... :mrgreen:

La domanda naturalmente resta: altrimenti cosa? Togliamo le parole (falsi e fuorvianti simulacri di nulla) e qualsiasi altra (non meno falsa e fuorviante) sovrastruttura, praticamente, nel quotidiano vivere, lì dove cioè piaccia o meno si consumano le nostre esistenze, come operiamo? All'altro, oltre a prenderlo a pugni quando son nervoso, come comunico quel che voglio dire?

Altrimenti cosa?

Sempre antipatiche le domande... lo so... se qualcuno ha risposta (possibilmente comprensibile, facile, terra terra, per spiriti limitati e semplici come Zef per esempio, che vola basso, bassissimo...) io, personalmente, apprezzerei. :)
 
Ultima modifica:

sergio Rufo

New member
julia, avevo compreso il tuo intervento allargato ad altri temi, ma rileggendolo bene...forse hai ragione.
Julia e Zefiro, invece, non sono assolutamente d'accordo con voi su un altro tema.
Dato che si spendono al giorno d'oggi milioni e milioni di parole su infinite cazzate, il fatto che adesso mi si viene a dire che spenderle per capire l'aspetto fenomenologico piu' diretto di questo mondo, ovvero la nostra adesione al mondo stesso, mi lascia un po' perplesso.
Zefiro. Hai il dono di passar da un estremo all'altro, forse sei un estremista a tua insaputa. Qui non si tratta di semplificare tutto e sostenere che a posto di un educato comportamento bisogna passare alle randellate o ai pugni, si tratta di osservarci nei nostri comportameni e di come li mediamo.
Se poi poi vogliamo fare il giochino del lascia o raddoppia, be', basta saperlo.
 
Il fatto è che vi siete arenati nel metalinguaggio e parlare delle parole è ideologico.

Vediamo un po', terra terra (ma non capisco perchè non si debba fare lo sforzo e uscire dalla bassa considerazione che si ha di sè).

L'essere qui a spendere tante parole è già sintomo dell'idea, azione sarebbe non scrivere, visto che l'istinto mi porterebbe a stare zitta.
Ma sono qui a sedurre con le parole, usando il meccanicismo utile a rendermi scribacchina.
Il nostro scrivere qui è "recluso dalle altrui volontà", è risposta a idea dell'altro.
Le domande di Zeffiro, ad esempio, mi costringono ad usare la "buona creanza" di rispondergli terra terra (termine usato da lui) mentre il mio istinto mi invita a non dare alcuna spiegazione, a non usare più parole.
Il mezzo, questo, contribuisce a smentire tutto quanto stiamo dicendo. Siamo nel luogo che, per antonomasia, non esisterebbe senza le parole.
Qui l'istinto va a farsi benedire, è per questo che siamo fottuti.

L'atopos del logos.
(qui Borges mi avrebbe amato)
 

sergio Rufo

New member
ma va'?
senti chi parla

mi ricordo la favola del corvo e della volpe di Fedro.
Peccato che a me l'idealismo formaggio non piaccia.:)
 
Qui se laudari gaudet verbis subdolis, sera dat poenas turpes poenitentia.
Vedo che hai compreso, mio bel corvo seduttore.
 

Nikki

New member
mi costringono ad usare la "buona creanza" di rispondergli terra terra (termine usato da lui) mentre il mio istinto mi invita a non dare alcuna spiegazione, a non usare più parole.

Ma che tu non abbia voglia di parlare/scrivere non significa che tu non abbia "qualcosa" da esprimere... che quindi non esprimeresti. E anche questa può essere una forma di menzogna... voglio dire, forse non è proprio un caso che le formule di giuramento recitino "giuro di dire la verità e di non nascondere nulla che sia a mia conoscenza"... due aspetti che si completano reciprocamente, l'uno rende possibile l'altro. O no?

La verità dei tuoi pensieri, la verità della tua inclinazione d'animo... il sacrificio della seconda per la consacrazione della prima. Non funziona così?
 

asiul

New member
Incominciamo (...) nel momento che lo compi ( poniamo un atto istintivo) tu poi lo storicizzi in coscienza. Nel tuo tempo. Ne hai memoria.
Peggio ancora lo giudichi moralmente o eticamente, quindi deprivi poi quell'atto o della sua istintivita' perche' lo misuri logicamente, o lo deprivi della sua immediatezza perche' poi lo concateni a qualcosa altro.( le tue esperienze, la causa ,l' effetto, ecc.ecc).
Ciò che viene dopo non è più atto, quindi continua ad essere immediato e senza tempo.

Dove c'e'coscienza interviene sempre il pro- getto. Lo dice la parola: gettarsi in avanti. Gettiamo in avanti la nostra azione che premeditiamo di fare e la organizziamo fino alla'tto finale.
Alla coscienza dunque appartiene sia l'agire che l'atto a mio parere.
Piu' che l'atto la conseguenza dell'atto.

Hai corretto tu stesso, ma aggiungo che...

...l'atto non appartiene alla coscenza, perché non è il progetto. Tutto ciò che accade dopo l'atto è qualcosa d'altro. Come da te affermato è la conseguenza.


Se per esempio apro la finestra e butto giu' il computer , io immagino che si schianti al suolo.
Prevedo, azione, atto, conseguenza.
La coscienza o meglio l'autocoscienza di essere cosciente di agire in un modo o l'altro e' onnicomprensiva.

Il punto non è la conseguenza. La l'azione e l'atto sono (direttamente) mossi dall'agire, la conseguenza è lasciata al caso,agli eventi.Non è totalmente

Noi lo sappiamo: tutto quello che e' autocosciente si rappresenta il mondo come strumento del suo esserci. L'azione, l'atto, la causa ed effetto - nella coscienza - tendono a strumentalizzare il mondo per rappresentarci in esso.

Qui non ti seguo, potresti spiegarti meglio?:?
Noi con il nostro agire strumentalizziamo il mondo per rappresentarci al suo interno? C'è ben poco da strumentalizzare, il modo lo stiamo costruendo a nostra immagine.
 

asiul

New member
in effetti...data la loro inutilità e profondo scollamento col reale.... (cosa dicono dunque questi post? Non corrispondono a nulla di certo, per natura ingannevoli, ovvio, allora a cosa? "Mezzo" d'altra parte non sono... mah...! ) si... un po' troppe davvero direi... :)

Bella invenzione le parole,eh? Non si potrebbero fare tanti discorsi altrimenti in-utili...altrimenti
Non trovi che siano molto divertenti? :)

Si, siamo fottuti. Da chi non è chiaro... :?o forse si... :mrgreen:

Beh! una volta accaduto l'irreparabile, poco importa da chi...( :?) o forse sì... ( :mrgreen:)

La domanda naturalmente resta: altrimenti cosa? Togliamo le parole (falsi e fuorvianti simulacri di nulla) e qualsiasi altra (non meno falsa e fuorviante) sovrastruttura, praticamente, nel quotidiano vivere, lì dove cioè piaccia o meno si consumano le nostre esistenze, come operiamo? All'altro, oltre a prenderlo a pugni quando son nervoso, come comunico quel che voglio dire?

Altrimenti cosa?

Mi domando...perché i pugni non sono "parole"?
Un linguaggio diverso. Certo,non nel senso etimologico del termine. Ma ci troviamo sempre di fronte ad una "comunicazione" esprimente un concetto

Non credo si possa operare una qualche comunicazione fuori dalle parole. Tutte le parole,intendo.


Sempre antipatiche le domande... lo so... se qualcuno ha risposta (possibilmente comprensibile, facile, terra terra, per spiriti limitati e semplici come Zef per esempio, che vola basso, bassissimo...) io, personalmente, apprezzerei.:)

Antipatiche? Le domande? Naaa..e allora cosa dire delle risposte.:wink:
 

asiul

New member
Vediamo un po', terra terra (ma non capisco perchè non si debba fare lo sforzo e uscire dalla bassa considerazione che si ha di sè).

Azzardo un'ipotesi?:?
Forse perché si vuol far capire tutti...? :)

L'essere qui a spendere tante parole è già sintomo dell'idea, azione sarebbe non scrivere, visto che l'istinto mi porterebbe a stare zitta.(...) Qui l'istinto va a farsi benedire, è per questo che siamo fottuti.

Non ho ben capito,ma forse è un mio problema (certe volte volo basso anch'io :mrgreen:).Siamo fottuti perché non possiamo essere istintivi sempre e comunque? La parola ci ha tolto qualcosa? Se sì cosa? Ci ha privati dell'istinto? Chi vieta alle persone facenti uso della parola a sostituirla con l'istinto?
"Qui" la fa da padrona la parola, ma anche nel parlare si è istintivi a discapito della ragione.:wink:
 
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