La bellezza delle leggende legate alla natura

Zefiro

da sudovest
Fenomeni naturali, costellazioni, il mondo, l’universo insomma, hanno sempre risvegliato nell’uomo lo sguardo riflessivo, sensibile, talvolta poetico che poco o tanto si nasconde in ciascuno di noi.

Innumerevoli sono le leggende, molto spesso incentrate sull’origine di quanto osservato, generate da questo particolarissimo modo di guardare la natura. Alcune molto belle e talvolta commoventi.
 
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Zefiro

da sudovest
La Cascata delle Marmore

Comincio con un’immagine della Cascata delle Marmore, vicino a Terni in Umbria. Spettacolare salto di 165 m in cui il fiume Velino precipita sul sottostante fiume Nera in esso fondendosi in unico fluire.

Ho avuto occasione di vederla più volte e lo spettacolo è mozzafiato: fragorosamente assordante e bellissimo. Avvicinandosi al punto d’impatto più basso ci si bagna anche un po’ per via del liquido pulviscolo generato dall’urto e che satura l’aria intorno, ma fa nulla: ne vale la pena.


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Vuole la leggenda che le sue origini risalgano all’amore tra la ninfa Nera ed il pastore Velino. Giunone, gelosa di questo amore trasformò Nera in fiume. Velino, disperato, per non perdere la sua amata mutò in fiume anche lui e si gettò dalla rupe di Marmore, dando così vita alla cascata dove quel salto innamorato continua ad accadere per sempre in un continuo ed eterno precipitare.
 
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asiul

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Il Palazzo della Scimmia

"'Sto palazzo sta a vyia de S. Antonino de Portoghesi: si cee fate caso, la notte su in cima a la torre der palazzo, ce sta ssernpre acceso u' llume davanti a 'na Madonna. Mo' vve dico er perchè.
Dice che ttanto tempo fa, llì cciabbitaveno certi signori che tieneveno pe' ccasa una scimmiaccia. 'Sta scimmia, come ce ll'hanno pe' vvizzio, rifaceva tutto quello che ffaceveno li padroni.
Si, ppresempio, vedeva er padrone fasse la bbarba, quanno lui aveva finito. annava lei de llà in. cammera e sse faceva la bbarba puro llei, e accusì vvia discurenno.
Dice, che 'sta scimmiaccia stava ogni sempre a gguardà' la bbalia quanno sfasciava e arinfasciava la cratura de la signora, e nun se sa che averebbe pagato pe' sfascialla puro lei e spupazzalla!
E nun te dubbità', che una vorta che li padroni uscirno assieme a la bbalia, e llassorno la cratura a ddormì', figurateve si la Scimmia nun ce vorse provà'.
Defatti agnede a la cunnola se prese in braccio er pupo o la pupa che ssia, se prese er canestrello de l'infascio, e ppe' nun èsse disturbata, indovinate s'indove se n'agnede? Propio in cima in cima e se messe a ssede in pizzo in pizzo ar cantone de la torre. E llì, come si ffusse stata a ssede in portrona principiò a sfascià' e arinfascià' la cratura, manco si sse fusse trattato de 'na pupazza.
Figurateve le pene e le smagne de la povera madre, quanno in der tornà' a ccasa e in de l'arzà' cche ffece l'occhi su pper aria, te vidde quer tibbi de funzione!
Nu' je prese un sarvognóne, perchè Ddio nun vorse. Fece li scalini de casa a quattro a quattro, salì ssu a ccasa, e ppe' nu' spaventà' la scimmia, se messe in ginocchio davanti a la Madonna, e je fece er voto, che si la scimmia, j'ariportava drento casa la cratura sana e ssarva, lei in quer posto 'medemo indove stava la scimmia co' la cratura, ciaverebbe fatto fa' un artarino a la Madonna co na lampena accesa tutta la notte.
Defatti la Madonna bbenedetta l'esavudi, e dda quer giorno in poi llassù, in pizzo a la torre der palazzo, ce se vede incora un' immaggina indove tutte le notte ce stà sempre u' llume acceso."[usi e costumi di Gigi Zanazzo]

Tradotto liberamente :

Se dovesse capitarvi di passeggiare in via dei Portoghesi, vicino piazza Navona, sotto il Palazzo Scappucci, fate attenzione alla scimmia dispettosa.
Secondo questa antica leggenda romana,l'antico proprietario del palazzo, sembra possedesse come animale da compagnia una scimmia addomesticata che gelosa per la nascita del piccolo figlio del padrone, attesa l’uscita di quest’ultimo dalla dimora, gli rapì l'erede. Portò il bimbo in cima alla torre, rifugiandosi in un luogo inaccessibile.

Tutti cercarono di recuperare il neonato,ma ogni tentativo fu vano. Così non avendo ormai soluzione umana invocarono la Vergine.
Quando il padrone ritornò chiamò la scimmia con il suo usuale fischio e questa, senza opporre alcuna resistenza,tornò,portando con se,in salvo,il bambino.

Da qui il nome di “palazzo della scimmia".Sulla cui torre brilla un lume dedicato alla Madonna.

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SALLY

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La storia della Fata Morgana

La leggenda ci tramanda che, dopo aver condotto suo fratello Artù ai piedi dell'Etna, Morgana si trasferisce in Sicilia tra l'Etna e lo stretto di Messina, dove i marinai non si avvicinano a causa delle forti tempeste, e si costruisce un palazzo di cristallo.

Sempre in base alla leggenda, Morgana esce dall'acqua con un cocchio tirato da sette cavalli e getta nell'acqua tre sassi, il mare diventa di cristallo e riflette immagini di città.

Grazie alle sue abilità, la Fata Morgana riesce ad ingannare il navigante che, illuso dal movimento dei castelli aerei, crede di approdare a Messina o a Reggio, ma in realtà naufraga nelle braccia della fata.

La Fata Morgana in realtà non è altro che un fenomeno ottico che si ammira spesso nello stretto di Messina e nell'isola di Favignana a causa di particolari condizioni atmosferiche. Guardando da Messina verso la Calabria, si vede come sospesa nell'aria l'immagine di Messina e, viceversa, guardando da Reggio Calabria verso Capo Peloro, si vede nello stretto Reggio.
 

SALLY

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Per i turisti la piana di El Tatio (in Cile), uno dei campi geotermici più grandi del mondo (oltre 80 geyser attivi), è uno spettacolo da togliere il fiato. Ma per alcune popolazioni locali, come gli Aymara, dietro a questi potentissimi getti di vapore si cela in realtà un dolore. Secondo un'antica leggenda, infatti, i geyser di questo altipiano sarebbero gli "occhi" della Terra che, stanca dei continui sconvolgimenti naturali come eruzioni e terremoti, "piange" lacrime bollenti rivolta verso il cielo.
 

skitty

Cat Member
Ma che bella anche questa stanza! Guardo con ammirazione tutte le vostre bellissime informazioni... appena trovo l'ispirazione, cercherò di contribuire! :YY
 

Zefiro

da sudovest
azz... sono ammirato Sally. E sono serio, non sto facendo ironia.

Non le conoscevo, bellissime le due leggende che hai postato. Quella di Morgana in particolare, che crea inganni di specchi con giochi d'acqua confondendo i marinai che naufragano nelle sue braccia è notevole davvero. :) :ad:
 

franceska

CON LA "C"
A proposito di folletti, anche in Italia si hanno racconti e leggende su Fate e Folletti. In Sardegna ci sono delle antiche costruzioni in pietra nella terra chiamate "Domus De Janas" (dalla lingua sarda tradotto:"La Casa delle Fate"); esse hanno tunnel e passaggi talmente piccoli che solo degli esseri minuscoli come i folletti avrebbero potuto viverci.

 

asiul

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I Laghi Gemelli

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"Quando i Laghi Gemelli erano proprio gemelli, cioè due limpidi specchi d’acqua circondati da una corona di montagne, appena separati da una stretta lingua di terra, e non erano ancora stati fusi in un solo bacino dalle impellenti esigenze del progresso, attorno alla loro origine sorse una leggenda che per la verità è assai triste, ma forse rispecchia la realtà dei tempi in cui è scaturita dalla fantasia popolare. Si racconta che la figlia di un ricco possidente di Branzi era innamorata di un pastore della Valle Taleggio, dal quale era teneramente ricambiata.
Il loro amore era però risolutamente ostacolato dalla famiglia della ragazza che avrebbe preferito per lei un partito migliore di quanto non costituisse quel modesto pastore, costretto ogni anno ad andare in cerca di lavoro, accudendo a pecore e capre che si faceva affidare da allevatori della zona per portarle a pascolare sulle montagne dell’alta Valle Brembana. La ragazza era stata da tempo promessa dal padre a un proprietario di fucine della Val Fondra, piuttosto attempato e per nulla piacente, ma assai ricco e influente nella vita politica ed economica della zona. Come si sa, in queste faccende nemmeno le lacrime più strazianti e le suppliche più insistenti possono sortire un qualche effetto, e così l’infelice ragazza, dopo aver inutilmente dato fondo a tutte le sue risorse di convincimento, dovette prendere atto, con il più grande sconforto, che il suo destino era segnato e la condannava a passare il resto della sua vita accanto ad un uomo che non amava e non avrebbe mai amato.
Così, mentre si avvicinava il giorno delle nozze, fissate in tutta fretta, proprio per togliere di mezzo ogni possibile interferenza nei programmi prestabiliti, l’infelice ragazza trascinava stancamente le sue giornate, monotone e senza speranza, tutta sola, chiusa nella sua cameretta, con le mani abbandonate in grembo e gli occhi persi nello spazio indefinito, sospirando l’amore impossibile per il suo bel pastorello. Costui nel frattempo si trovava sui monti col suo gregge ed era ben consapevole dei progetti che riguardavano la sua amata, dai quali era stato drasticamente escluso con la perentoria minaccia di non farsi più vedere dalle parti di Branzi, se ci teneva alla sua vita. Ma come accade sovente, specie nelle leggende, la ragazza non si rassegnava a perdere il suo amore, così cominciò a non mangiare più e a dar segni di squilibrio mentale, al punto da sembrare uscita di senno. Il padre ricorse a ogni mezzo per riavere la figlia in buona salute, interpellò tutti i medici della valle e scese fino a Bergamo per consultarsi con i luminari di allora, ma non ottenne nessun risultato.
Finalmente un giorno si presentò nella casa della fanciulla un medico che all’apparenza non dava particolari garanzie di professionalità, in quanto oltre che assai giovane, era anche vestito in modo piuttosto dimesso e si esprimeva con un linguaggio non proprio all’altezza di un uomo di scienza. Ma pur di salvare la figlia, il padre accettò anche le prescrizioni di quel mediconzolo che, per la verità, si mostrava assai sollecito e puntuale nel recarsi tutti i giorni a visitare la giovane paziente. Nell’incredulità generale, la ragazza cominciò come per incanto a migliorare: tornò a sorridere e a parlare, riprese a mangiare con gusto e in fretta le suo gote ridivennero rosee e pienotte. Sembrava di nuovo innamorata della vita. Ormai anche il più distratto dei lettori avrà intuito la vera identità di quell’improbabile medico e si sarà fatta un’idea sulla natura delle cure a cui era sottoposta la ragazza.
Infatti egli altri non era se non il pastore che, approfittando dell’equivoco sulla sua identità, non passava giorno che non si incontrasse con la sua bella per trascorrere con lei momenti meravigliosi, coperti dalla scusa della riservatezza di una visita medica. Ma ovviamente il gioco non poteva protrarsi troppo a lungo e se i due innamorati fossero stati scoperti avrebbero pagato caro quell’inganno. D’altronde non erano per nulla disposti a lasciare che le cose tornassero come prima, così decisero di scappare per cercare di coronare il loro sogno d’amore lontano dalla valle. Una notte, dopo aver preparato un fagotto con poche cose, lasciarono di nascosto il paese e, per evitare il rischio di essere scoperti, preferirono non scendere verso il fondovalle, ma scelsero di seguire la strada più difficile delle montagne, che il pastore conosceva bene perché vi portava le sue bestie al pascolo. Di buona lena salirono lungo il sentiero della Val Borleggia e in fretta arrivarono al Piano delle Casere, ma quando si fermarono per riposare un attimo udirono il suono delle campane a martello proveniente dal campanile di Branzi: la loro fuga era stata scoperta e in paese si stavano organizzando per venire a riprenderli.
Più disperati che mai, ripresero il cammino quasi di corsa, ma raggiunte le pendici del monte Farno, la ragazza nel superare un tratto piuttosto impervio mise un piede in fallo e scivolò. Nella caduta batté la testa contro un sasso e rimase a terra svenuta. Il pastore, dopo aver cercato inutilmente di farla rinvenire, udendo in lontananza i richiami delle persone mandate alla loro ricerca, prese la ragazza tra le sue braccia e si mise a correre su per la montagna, incurante dei pericoli. Per il buio fitto il sentiero era quasi invisibile e così ad un certo punto, ormai allo stremo delle forze, il pastorello perse l’orientamento e si trovò a procedere in un luogo scosceso e impraticabile. Ancora qualche passo incerto e poi una scivolata sui sassi di un ghiaione. E i due poveri innamorati precipitarono, così stretti in un abbraccio estremo e disperato, fino al fondo di un precipizio. Nel luogo dove caddero i loro miseri corpi si aprirono due conche circolari dalle quali cominciarono a sgorgare due limpide polle d’acqua che, zampillando senza sosta, formarono due laghetti quasi della stessa forma e dimensione: i laghi gemelli . Ai giorni nostri la costruzione della diga ha decisamente trasformato il paesaggio, ma volendo stare nella leggenda si potrebbe affermare che finalmente i laghetti dei due innamorati si sono fusi in uno solo, a coronare per sempre il loro sogno d’amore."

Racconti Popolari Brembani di T.Bottani e W.Taufer​
 
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SALLY

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Grazie Zef..:mrgreen:

M'ha commosso quella dei laghi gemelli :roll:



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Molti secoli fa, che ci crediate o no, la terra era verde e fresca, migliaia di ruscelli la percorrevano, gli alberi erano ricchi d'ogni genere di frutta e gli uomini, che ignoravano il male, vivevano felici senza farsi la guerra.

Allah aveva detto agli uomini: "Questo bel giardino e vostro e vostri sono i suoi frutti, dovete però sempre agire con giustizia, altrimenti lascerò cadere un granello di sabbia sulla terra per ogni vostra azione malvagia e un giorno tutto questo verde e tutta questa frescura potrebbero anche sparire.

Per molto tempo tutti si ricordarono di questo monito, ma un brutto giorno due uomini litigarono per il possesso di un cammello e appena la prima parolaccia fu pronunziata Allah fece cadere sulla terra un granello di sabbia così minuscolo che nessuno se ne accorse.

Ben presto i due litiganti dopo le male parole vennero alle mani e gli uomini si accorsero che un mucchietto di sabbia stava crescendo lentamente. Chiesero allora ad Allah di cosa si trattasse e Allah rispose che era il frutto della loro cattiveria e che ogni volta si fosse verificata una cattiva azione, un granello di sabbia sarebbe sceso ad aggiungersi agli altri e forse un giorno la sabbia avrebbe coperto la terra. Gli uomini si misero a ridere e pensarono: "Anche se fossimo estremamente malvagi ci vorrebbero milioni e milioni di anni prima che questa polvere leggera copra la nostra terra e ci possa danneggiare.

Così iniziarono a combattersi gli uni contro gli altri, tribù contro tribù finché la sabbia seppellì campi e pascoli, cancellò i ruscelli e spinse le bestie lontano in cerca di cibo. In questo modo fu creato il deserto e da allora le tribù andarono vagando tra le dune, vivendo in tende, aiutate solo dai cammelli per i lunghi spostamenti, e si portarono nel cuore l'immagine delle terra perduta. Anzi, perché non dimenticassero, Allah volle che ogni tanto si presentasse ai loro occhi l'immagine delle piante e delle acque scomparse. Per questo ogni tanto chi cammina nel deserto, vede cose che non ci sono tende le braccia per toccarle, ma la visione subito svanisce. Sono come i sogni ad occhi ad aperti e la gente li chiama miraggi.

Solo dove gli uomini hanno osservato le leggi di Allah ci sono ancora ruscelli e palmeti, e la sabbia non può cancellarli ma li circonda come il mare l'isola. Questi luoghi si chiamano oasi e là gli uomini si fermano per trovare acqua, cibo, riposo ricordando ogni volta le parole di Allah: "Non trasformate il mio mondo verde in un deserto infinito".
 

Zefiro

da sudovest
deserto e miraggi

Bisogna dire che Sally, diventata nonna da poco, con tutta probabilità non si troverà mai a corto di storie da raccontare la sera al momento di prender sonno: le sue leggende son belle davvero :)

Piccolo OT su deserto e miraggi. La scorsa estate sono stato in Africa, Sahara incluso. Ho avuto occasione di vedere una decina di miraggi, l’effetto ottico più straordinario che mia sia mai capitato di vedere in vita mia. In primis, trattandosi di un ben noto fenomeno fisico, il cambiamento dell’indice di rifrazione dovuto a strati caldi dell’aria, non è affare soggettivo. Quando c’è un miraggio tutti vedono lo stesso miraggio nello stesso modo. Si può fotografare (*)

Al primo di essi sono rimasto letteralmente senza fiato: il laghetto era laggiù a circa 300 m di distanza, fresco e liquido, di un realismo assolutamente impressionante, con tutte le sue palme intorno. Ero alla guida di una jeep, l’ho puntato con decisione. Il miraggio prima si è allontanato un po’ e poi è scomparso. Molto difficile capire cosa accade anche per la assoluta mancanza nel deserto di qualsivoglia punto di riferimento, e, aggiungo, il fatto di sapere che si tratta di un miraggio non ne attenua il realismo nemmeno un po’. Finché un miraggio ha avuto luogo in prossimità d’una piccola duna: stavolta il punto di riferimento lo avevo. Sono andato di nuovo e, ovviamente, il miraggio è scomparso da dove sapevo con certezza si trovava fino a poco prima, lì vicino alla duna. Una cosa da non credere ai propri occhi.

L’oretta buona trascorsa ad inseguire miraggi nel deserto è stata tra le più divertenti che mi sia mai capitato di trascorrere.


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Ultima osservazione. Il Sahara ha una estensione spaventevole: 9 milioni di kilometri quadrati. Una distesa sterminata di sabbia e sole accecante. Un pianeta alieno in cui la vita è praticamente impossibile. Conoscevo la leggenda di Sally, raccontata quest’estate appunto, in pieno deserto di notte, intorno al fuoco, da una famiglia di berberi che si erano accampati vicino a noi e con i quali avevamo cenato scambiandoci cibo occidentale con pietanze speziate e piccantissime oltre ogni dire. L’uomo che aveva parlato concludeva che, il fatto la leggenda legasse un inferno così sterminato ed immenso proprio alla cattiveria umana, la diceva lunga su quanta ce ne fosse, diceva: di cosa altro c'è così abbondanza nel mondo per poter spiegare così tanta sabbia?

(*) la foto non è mia, presa dalla rete, ma questo è all'incirca quel che si vede anche nelle mie foto.
 
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SALLY

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Piccolo OT...
bellissima la tua esperienza Zef...allora è vero che i miraggi sono così "veri" da crederci davvero...sono contenta che hai sentito questa leggenda "sul posto" :D
 

Zefiro

da sudovest
Piccolo OT...
bellissima la tua esperienza Zef...allora è vero che i miraggi sono così "veri" da crederci davvero...sono contenta che hai sentito questa leggenda "sul posto" :D

oh yes, verissimo, posso garantire. Questa osservazione peraltro, traslata su altri piani ben più immanenti alla vita di ciascuno si presta a riflessioni su metasignificati pregnanti non trovi? Io si. :wink:
 

asiul

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Piccolo OT...
bellissima la tua esperienza Zef...allora è vero che i miraggi sono così "veri" da crederci davvero...sono contenta che hai sentito questa leggenda "sul posto" :D

oh yes, verissimo, posso garantire. Questa osservazione peraltro, traslata su altri piani ben più immanenti alla vita di ciascuno si presta a riflessioni su metasignificati pregnanti non trovi? Io si. :wink:


In certi momenti della vita si hanno emozioni talmente forti da temere siano miraggi...

Complimeti Sally.Trovo molto bella la tua capacità, per me un tuo dono, di saperti emozionare tanto. Una fortuna per la nipotina avere una nonnina così... :)
 

asiul

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La tuffatrice della baia di oiso

Oiso, nella provincia di Sagami, che è diventato un luogo molto celebre per essere stato scelto come residenza dal marchese Ito e da molti altri grandi personaggi giapponesi, può avere un certo interesse anche per una storia di natura piuttosto romantica risalente al periodo Heian.
Durante i primi anni di quel periodo un cavaliere di nome Takadai Jiro si ammalò nella città di Kamakura, dove si trovava in servizio, e gli fu consigliato di trascorrere il mese caldo di agosto a Oiso nel riposo e nella tranquillità.
Ottenuta l’autorizzazione, Takadai Jiro subito vi si recò e si sistemò nel modo più confortevole possibile in una piccola locanda di fronte al mare. Essendo un uomo di terra che (a parte il servizio a Kamakura) aveva visto ben di rado il mare: a Takadai piaceva restare a guardarlo giorno e notte dato che, come molti giapponesi di nobile nascita, aveva un’anima poetica e romantica.
Dopo il suo arrivo a Oiso, Takadai si sentiva stanco e impolverato. Chiuse per bene la stanza e subito si spogliò e scese per fare il bagno. Takadai, che aveva circa venticinque anni, era un buon nuotatore e si tuffò in mare senza paura spingendosi fino a sette ottocento metri al largo. Ma qui la sfortuna lo sorprese. Fu colto da un violento crampo e cominciò ad affondare. Una barca da pesca spinta a remi da un uomo e su cui viaggiava una tuffatrice lo vide e accorse per salvarlo, ma lui nel frattempo aveva perso conoscenza ed era affondato per la terza volta.
La ragazza si tuffò in mare e nuotò verso il punto in cui era scomparso e, dopo essersi immersa in profondità, riuscì a riportarlo in superficie e a tenerlo fuori dell’acqua fino all’arrivo della barca. Con l’aiuto del padre riuscì a issare a bordo Takadai, ma non prima che questi si rendesse conto che il morbido braccio che si stringeva attorno al suo collo era quello di una donna.
Quando riprese completamente coscienza, prima di raggiungere la riva, Takadai vide che la sua salvatrice era una bella ama (tuffatrice) di non più di diciassette anni. Non aveva mai visto prima una simile bellezza, nemmeno nei circoli dell’alta nobiltà che era abituato a frequentare. Takadai si era innamorato della sua coraggiosa salvatrice ancora prima che la barca prendesse terra sulla spiaggia sassosa. Volendo ricambiare in qualche modo il favore che aveva ricevuto, Takadai diede una mano a trascinare la barca su per la spiaggia ripida, poi trasportò i pesci e le reti fino alla piccola capanna dei due, dove ringraziò la ragazza per il gesto nobile e coraggioso del suo salvataggio e si complimentò con il padre per avere una figlia come quella. Ciò fatto, tornò alla locanda che si trovava a poche centinaia di metri di distanza.
Da quel momento l’anima di Takadai non conobbe più pace. Un folle amore lo sconvolgeva. Non riusciva più a dormire di notte perché non vedeva altro che il viso della bella tuffatrice il cui nome (l’aveva saputo) era Kinu. Per quanto ci provasse con tutte le sue forze, non riusciva a togliersela dalla mente neppure per un istante. Di giorno impazziva perché non poteva vedere O Kinu, dato che era in mare con il padre per tuffarsi in cerca di molluschi e di solito quando faceva ritorno si era già fatta sera, e quindi c’era troppo poca luce perché riuscisse a vederla.
Una volta Takadai cercò anche di parlare a O Kinu, ma lei non aveva niente da dirgli e continuò nel suo lavoro aiutando il padre a portare le reti e i pesci fino alla capanna. Questo fece restare molto male Takadai, che tornò a casa arrabbiato e più innamorato che mai.
Alla fine il suo amore era diventato così grande che non riuscì a resistere più a lungo. Sentiva che sarebbe stato un sollievo dichiararsi a lei, qualunque cosa succedesse. E così prese da parte il suo servitore più fidato e lo mandò alla capanna del pescatore con una lettera. O Kinu San non scrisse una risposta, ma disse al servitore di ringraziare il padrone da parte sua per la lettera e la proposta di matrimonio.
«Digli anche», disse poi, «che non nascerebbe niente di buono dall’unione tra una persona di così alti natali e una di classe bassa come me. Una coppia così male assortita non potrebbe mai vivere felice insieme». E in risposta alle proteste del servitore aggiunse soltanto: «Ti ho detto cosa riferire al tuo padrone: portagli il messaggio».
Takadai Jiro, udendo quello che aveva detto O Kinu, non si arrabbiò. Restò semplicemente sbalordito. Non poteva credere che la figlia di un pescatore rifiutasse una proposta di matrimonio da uno come lui, un samurai della classe più alta. Anzi, invece di essere arrabbiato, Takadai era piuttosto contento, perché pensava di aver preso un po’ troppo alla sprovvista l’amabile O Kinu e che il suo primo rifiuto fosse solo un po’ di timidezza da parte sua della quale non c’era da stupirsi. “Aspetterò qualche giorno”, pensò Takadai. “Ora che Kinu sa del mio amore, penserà a me e avrà voglia di vedermi. Mi terrò alla larga, così forse lei diventerà impaziente di vedermi quanto io lo sono di vedere lei”.
Takadai rimase nella sua stanza per i tre giorni seguenti, credendo in cuor suo che O Kinu si stesse tormentando per lui. La sera del quarto giorno scrisse un’altra lettera a O Kinu, ancor più piena d’amore della prima, la mandò con il suo vecchio servitore e aspettò pazientemente la risposta.
Quando O Kinu ricevette la lettera, rise e disse:
«Veramente, mio buon vecchio, mi sembri davvero buffo a portarmi delle lettere. Questa è la seconda volta in quattro giorni, e fino a quattro giorni fa non ho mai ricevuto una lettera in vita mia. Che starà mai succedendo, mi domando».
Così dicendo, la aprì e la lesse, poi, rivolgendosi al servitore, proseguì:
«Non riesco a capire. Se hai riferito esattamente al tuo padrone il mio messaggio, dovrebbe sapere che non posso sposarlo. La sua posizione sociale è troppo alta. Il tuo padrone ha la testa a posto?»
«Sì, a parte il suo amore per te, il mio giovane padrone ha la testa a posto, ma da quando ti ha vista, non parla e non pensa che a te, tanto che ormai sono stufo di tutto questo e ogni giorno prego ardentemente Kwannon che venga presto la stagione fredda, in modo che possa tornare ai suoi doveri a Kamakura. Per tre interi giorni ho dovuto restarmene seduto nella locanda ad ascoltare le poesie del mio padrone sulla tua bellezza e il suo amore. E ogni giorno ho sperato che saremmo andati in barca a pescare il dolce pesce aburame, che in questo periodo è grasso e buono, come stanno facendo tutte le altre persone di buon senso. Sì, il mio padrone ha la testa a posto, ma tu gliela hai fatta perdere, a quanto sembra. Sposalo, ti prego, così saremo tutti contenti e andremo a pescare tutti i giorni invece di sprecare così queste inattese vacanze».
«Sei un vecchio egoista», rispose O Kinu. «Dovrei sposarmi per soddisfare l’amore del tuo padrone e il tuo desiderio di pescare? Ti ho detto di dire al tuo padrone che non lo voglio sposare perché le nostre classi sociali diverse non ci permetterebbero di essere felici. Vai, e ripetigli questa risposta».
Il servitore supplicò ancora una volta, ma O Kinu fu irremovibile, e alla fine fu costretto a riferire al padrone lo sgradevole messaggio.
Povero Takadai! Questa volta era veramente afflitto, poiché la ragazza aveva rifiutato perfino di incontrarlo. Cosa poteva fare? Scrisse una lettera ancora più supplichevole e parlò anche con il padre di O Kinu, ma il padre disse:
«Signore, mia figlia è tutto ciò che mi resta da amare al mondo: non posso influenzarla in una cosa importante come l’amore. Inoltre tutte le nostre tuffatrici hanno un carattere forte quanto il loro fisico, dato che il costante pericolo rafforza i loro nervi: non sono come le fragili ragazze di campagna, che si possono influenzare e a cui si può anche ordinare di sposare un uomo che odiano. Il carattere delle nostre ragazze molto spesso è più forte di quello di noi uomini. Io stesso ho sempre fatto quello che la madre di Kinu mi diceva di fare e non sarei in grado di influenzare Kinu in una cosa come il suo matrimonio. Posso esprimerle la mia opinione, e lo farò. Ma, mio signore, in questo caso non posso che essere d’accordo con mia figlia sul fatto che, per quanto sia grande l’onore che le fate, non sarebbe saggio sposare un uomo di una condizione sociale così elevata rispetto alla sua».
Il cuore di Takadai era spezzato. Non c’era più niente che potesse fare o dire. Inchinandosi leggermente, si congedò dal pescatore e si ritirò subito nella sua stanza alla locanda, da dove non uscì più, con grande disappunto del servitore.
Giorno dopo giorno diventava sempre più magro, e all’avvicinarsi del giorno in cui avrebbe dovuto rientrare dalla sua licenza, era ancora più ammalato di quando era arrivato a Oiso. Cosa poteva fare? Il saggio consiglio del proverbio che recita: “Ci sono tanti pesci nel mare” non faceva certo per lui. Sentiva che la vita per lui non era più degna di essere vissuta e decise di farla finita nel mare dove forse sarebbe rimasto il suo spirito e ogni tanto avrebbe potuto vedere la bella tuffatrice che gli aveva stregato il cuore.
Quella sera Takadai scrisse un ultimo biglietto a Kinu e, non appena la gente di Oiso fu addormentata, lo fece scivolare sotto la porta. Poi andò alla spiaggia e, dopo aver legato una corda al suo collo e a una grossa pietra, salì su una barca e remò fino a un centinaio di metri dalla riva, quindi prese la pietra fra le braccia e saltò in mare.

la_tuffatrice.jpg

[SIZE=-1]- O Kinu San ispeziona il luogo in cui Takadai Jiro si è suicidato -[/SIZE]​

Il mattino dopo O Kinu fu molto scossa nel leggere sul biglietto che Jiro Takadai si era suicidato per amore di lei. Corse giù alla spiaggia, ma vide solo una barca da pesca vuota a qualche centinaio di metri dalla riva e si diresse a nuoto verso di essa. Nella barca trovò la borsa del tabacco di Takadai e il suo juro (scatola dei medicinali). O Kinu pensò che Takadai doveva essersi gettato in mare più o meno in quel punto: allora cominciò a tuffarsi e non passò molto che trovò il corpo e lo riportò in superficie con qualche difficoltà a causa del peso della pietra che stringeva strettamente tra le braccia. O Kinu riportò il corpo a riva, dove trovò il vecchio servitore di Takadai che si torceva le mani per l’angoscia.
Il corpo fu riportato a Kamakura, dove fu seppellito. O Kinu fu tanto colpita che giurò di non sposare mai nessuno. È vero che non aveva amato Takadai, ma lui l’aveva amata ed era morto per lei. Se si fosse sposata, il suo spirito non avrebbe riposato in pace.
Non molto tempo dopo che O Kinu aveva preso questa nobile decisione accadde un fatto singolare.
I gabbiani, che erano molto rari nella baia di Oiso, cominciarono a volare su di essa e ad abbassarsi sul punto esatto in cui Takadai si era affogato. Quando il tempo era cattivo, stavano sospesi in volo, ma non abbandonavano mai il luogo. I pescatori ritenevano tutto ciò straordinario, ma Kinu sapeva bene che lo spirito di Takadai doveva essere migrato nei gabbiani e per questo pregava regolarmente al tempio e con i suoi pochi risparmi fece costruire una piccola tomba dedicata alla memoria di Takadai Jiro.
A quel tempo Kinu aveva vent’anni e la sua bellezza era celebre e riceveva molte proposte di matrimonio, ma le rifiutò tutte e mantenne la sua promessa di non sposarsi. Per tutta la sua vita i gabbiani continuarono sempre a stazionare sul punto in cui Takadai era affogato. O Kinu morì annegata durante una violenta tempesta circa nove anni dopo Takadai, e da quel giorno i gabbiani scomparvero dimostrando così che il suo spirito non temeva più che O Kinu si sposasse."

tratta da http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/index.htm
La traduzione di questa leggenda è di un certo dario55
 

skitty

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Oiso, nella provincia di Sagami, che è diventato un luogo molto celebre per essere stato scelto come residenza dal marchese Ito e da molti altri grandi personaggi giapponesi, può avere un certo interesse anche per una storia di natura piuttosto romantica risalente al periodo Heian.
Durante i primi anni di quel periodo un cavaliere di nome Takadai Jiro si ammalò nella città di Kamakura, dove si trovava in servizio, e gli fu consigliato di trascorrere il mese caldo di agosto a Oiso nel riposo e nella tranquillità.
Ottenuta l’autorizzazione, Takadai Jiro subito vi si recò e si sistemò nel modo più confortevole possibile in una piccola locanda di fronte al mare. Essendo un uomo di terra che (a parte il servizio a Kamakura) aveva visto ben di rado il mare: a Takadai piaceva restare a guardarlo giorno e notte dato che, come molti giapponesi di nobile nascita, aveva un’anima poetica e romantica.
Dopo il suo arrivo a Oiso, Takadai si sentiva stanco e impolverato. Chiuse per bene la stanza e subito si spogliò e scese per fare il bagno. Takadai, che aveva circa venticinque anni, era un buon nuotatore e si tuffò in mare senza paura spingendosi fino a sette ottocento metri al largo. Ma qui la sfortuna lo sorprese. Fu colto da un violento crampo e cominciò ad affondare. Una barca da pesca spinta a remi da un uomo e su cui viaggiava una tuffatrice lo vide e accorse per salvarlo, ma lui nel frattempo aveva perso conoscenza ed era affondato per la terza volta.
La ragazza si tuffò in mare e nuotò verso il punto in cui era scomparso e, dopo essersi immersa in profondità, riuscì a riportarlo in superficie e a tenerlo fuori dell’acqua fino all’arrivo della barca. Con l’aiuto del padre riuscì a issare a bordo Takadai, ma non prima che questi si rendesse conto che il morbido braccio che si stringeva attorno al suo collo era quello di una donna.
Quando riprese completamente coscienza, prima di raggiungere la riva, Takadai vide che la sua salvatrice era una bella ama (tuffatrice) di non più di diciassette anni. Non aveva mai visto prima una simile bellezza, nemmeno nei circoli dell’alta nobiltà che era abituato a frequentare. Takadai si era innamorato della sua coraggiosa salvatrice ancora prima che la barca prendesse terra sulla spiaggia sassosa. Volendo ricambiare in qualche modo il favore che aveva ricevuto, Takadai diede una mano a trascinare la barca su per la spiaggia ripida, poi trasportò i pesci e le reti fino alla piccola capanna dei due, dove ringraziò la ragazza per il gesto nobile e coraggioso del suo salvataggio e si complimentò con il padre per avere una figlia come quella. Ciò fatto, tornò alla locanda che si trovava a poche centinaia di metri di distanza.
Da quel momento l’anima di Takadai non conobbe più pace. Un folle amore lo sconvolgeva. Non riusciva più a dormire di notte perché non vedeva altro che il viso della bella tuffatrice il cui nome (l’aveva saputo) era Kinu. Per quanto ci provasse con tutte le sue forze, non riusciva a togliersela dalla mente neppure per un istante. Di giorno impazziva perché non poteva vedere O Kinu, dato che era in mare con il padre per tuffarsi in cerca di molluschi e di solito quando faceva ritorno si era già fatta sera, e quindi c’era troppo poca luce perché riuscisse a vederla.
Una volta Takadai cercò anche di parlare a O Kinu, ma lei non aveva niente da dirgli e continuò nel suo lavoro aiutando il padre a portare le reti e i pesci fino alla capanna. Questo fece restare molto male Takadai, che tornò a casa arrabbiato e più innamorato che mai.
Alla fine il suo amore era diventato così grande che non riuscì a resistere più a lungo. Sentiva che sarebbe stato un sollievo dichiararsi a lei, qualunque cosa succedesse. E così prese da parte il suo servitore più fidato e lo mandò alla capanna del pescatore con una lettera. O Kinu San non scrisse una risposta, ma disse al servitore di ringraziare il padrone da parte sua per la lettera e la proposta di matrimonio.
«Digli anche», disse poi, «che non nascerebbe niente di buono dall’unione tra una persona di così alti natali e una di classe bassa come me. Una coppia così male assortita non potrebbe mai vivere felice insieme». E in risposta alle proteste del servitore aggiunse soltanto: «Ti ho detto cosa riferire al tuo padrone: portagli il messaggio».
Takadai Jiro, udendo quello che aveva detto O Kinu, non si arrabbiò. Restò semplicemente sbalordito. Non poteva credere che la figlia di un pescatore rifiutasse una proposta di matrimonio da uno come lui, un samurai della classe più alta. Anzi, invece di essere arrabbiato, Takadai era piuttosto contento, perché pensava di aver preso un po’ troppo alla sprovvista l’amabile O Kinu e che il suo primo rifiuto fosse solo un po’ di timidezza da parte sua della quale non c’era da stupirsi. “Aspetterò qualche giorno”, pensò Takadai. “Ora che Kinu sa del mio amore, penserà a me e avrà voglia di vedermi. Mi terrò alla larga, così forse lei diventerà impaziente di vedermi quanto io lo sono di vedere lei”.
Takadai rimase nella sua stanza per i tre giorni seguenti, credendo in cuor suo che O Kinu si stesse tormentando per lui. La sera del quarto giorno scrisse un’altra lettera a O Kinu, ancor più piena d’amore della prima, la mandò con il suo vecchio servitore e aspettò pazientemente la risposta.
Quando O Kinu ricevette la lettera, rise e disse:
«Veramente, mio buon vecchio, mi sembri davvero buffo a portarmi delle lettere. Questa è la seconda volta in quattro giorni, e fino a quattro giorni fa non ho mai ricevuto una lettera in vita mia. Che starà mai succedendo, mi domando».
Così dicendo, la aprì e la lesse, poi, rivolgendosi al servitore, proseguì:
«Non riesco a capire. Se hai riferito esattamente al tuo padrone il mio messaggio, dovrebbe sapere che non posso sposarlo. La sua posizione sociale è troppo alta. Il tuo padrone ha la testa a posto?»
«Sì, a parte il suo amore per te, il mio giovane padrone ha la testa a posto, ma da quando ti ha vista, non parla e non pensa che a te, tanto che ormai sono stufo di tutto questo e ogni giorno prego ardentemente Kwannon che venga presto la stagione fredda, in modo che possa tornare ai suoi doveri a Kamakura. Per tre interi giorni ho dovuto restarmene seduto nella locanda ad ascoltare le poesie del mio padrone sulla tua bellezza e il suo amore. E ogni giorno ho sperato che saremmo andati in barca a pescare il dolce pesce aburame, che in questo periodo è grasso e buono, come stanno facendo tutte le altre persone di buon senso. Sì, il mio padrone ha la testa a posto, ma tu gliela hai fatta perdere, a quanto sembra. Sposalo, ti prego, così saremo tutti contenti e andremo a pescare tutti i giorni invece di sprecare così queste inattese vacanze».
«Sei un vecchio egoista», rispose O Kinu. «Dovrei sposarmi per soddisfare l’amore del tuo padrone e il tuo desiderio di pescare? Ti ho detto di dire al tuo padrone che non lo voglio sposare perché le nostre classi sociali diverse non ci permetterebbero di essere felici. Vai, e ripetigli questa risposta».
Il servitore supplicò ancora una volta, ma O Kinu fu irremovibile, e alla fine fu costretto a riferire al padrone lo sgradevole messaggio.
Povero Takadai! Questa volta era veramente afflitto, poiché la ragazza aveva rifiutato perfino di incontrarlo. Cosa poteva fare? Scrisse una lettera ancora più supplichevole e parlò anche con il padre di O Kinu, ma il padre disse:
«Signore, mia figlia è tutto ciò che mi resta da amare al mondo: non posso influenzarla in una cosa importante come l’amore. Inoltre tutte le nostre tuffatrici hanno un carattere forte quanto il loro fisico, dato che il costante pericolo rafforza i loro nervi: non sono come le fragili ragazze di campagna, che si possono influenzare e a cui si può anche ordinare di sposare un uomo che odiano. Il carattere delle nostre ragazze molto spesso è più forte di quello di noi uomini. Io stesso ho sempre fatto quello che la madre di Kinu mi diceva di fare e non sarei in grado di influenzare Kinu in una cosa come il suo matrimonio. Posso esprimerle la mia opinione, e lo farò. Ma, mio signore, in questo caso non posso che essere d’accordo con mia figlia sul fatto che, per quanto sia grande l’onore che le fate, non sarebbe saggio sposare un uomo di una condizione sociale così elevata rispetto alla sua».
Il cuore di Takadai era spezzato. Non c’era più niente che potesse fare o dire. Inchinandosi leggermente, si congedò dal pescatore e si ritirò subito nella sua stanza alla locanda, da dove non uscì più, con grande disappunto del servitore.
Giorno dopo giorno diventava sempre più magro, e all’avvicinarsi del giorno in cui avrebbe dovuto rientrare dalla sua licenza, era ancora più ammalato di quando era arrivato a Oiso. Cosa poteva fare? Il saggio consiglio del proverbio che recita: “Ci sono tanti pesci nel mare” non faceva certo per lui. Sentiva che la vita per lui non era più degna di essere vissuta e decise di farla finita nel mare dove forse sarebbe rimasto il suo spirito e ogni tanto avrebbe potuto vedere la bella tuffatrice che gli aveva stregato il cuore.
Quella sera Takadai scrisse un ultimo biglietto a Kinu e, non appena la gente di Oiso fu addormentata, lo fece scivolare sotto la porta. Poi andò alla spiaggia e, dopo aver legato una corda al suo collo e a una grossa pietra, salì su una barca e remò fino a un centinaio di metri dalla riva, quindi prese la pietra fra le braccia e saltò in mare.

la_tuffatrice.jpg

[SIZE=-1]- O Kinu San ispeziona il luogo in cui Takadai Jiro si è suicidato -[/SIZE]​

Il mattino dopo O Kinu fu molto scossa nel leggere sul biglietto che Jiro Takadai si era suicidato per amore di lei. Corse giù alla spiaggia, ma vide solo una barca da pesca vuota a qualche centinaio di metri dalla riva e si diresse a nuoto verso di essa. Nella barca trovò la borsa del tabacco di Takadai e il suo juro (scatola dei medicinali). O Kinu pensò che Takadai doveva essersi gettato in mare più o meno in quel punto: allora cominciò a tuffarsi e non passò molto che trovò il corpo e lo riportò in superficie con qualche difficoltà a causa del peso della pietra che stringeva strettamente tra le braccia. O Kinu riportò il corpo a riva, dove trovò il vecchio servitore di Takadai che si torceva le mani per l’angoscia.
Il corpo fu riportato a Kamakura, dove fu seppellito. O Kinu fu tanto colpita che giurò di non sposare mai nessuno. È vero che non aveva amato Takadai, ma lui l’aveva amata ed era morto per lei. Se si fosse sposata, il suo spirito non avrebbe riposato in pace.
Non molto tempo dopo che O Kinu aveva preso questa nobile decisione accadde un fatto singolare.
I gabbiani, che erano molto rari nella baia di Oiso, cominciarono a volare su di essa e ad abbassarsi sul punto esatto in cui Takadai si era affogato. Quando il tempo era cattivo, stavano sospesi in volo, ma non abbandonavano mai il luogo. I pescatori ritenevano tutto ciò straordinario, ma Kinu sapeva bene che lo spirito di Takadai doveva essere migrato nei gabbiani e per questo pregava regolarmente al tempio e con i suoi pochi risparmi fece costruire una piccola tomba dedicata alla memoria di Takadai Jiro.
A quel tempo Kinu aveva vent’anni e la sua bellezza era celebre e riceveva molte proposte di matrimonio, ma le rifiutò tutte e mantenne la sua promessa di non sposarsi. Per tutta la sua vita i gabbiani continuarono sempre a stazionare sul punto in cui Takadai era affogato. O Kinu morì annegata durante una violenta tempesta circa nove anni dopo Takadai, e da quel giorno i gabbiani scomparvero dimostrando così che il suo spirito non temeva più che O Kinu si sposasse."

tratta da http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/index.htm
La traduzione di questa leggenda è di un certo dario55

Che storia struggente! Bellissima...
 

SALLY

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Per Zef...un paradosso affascinante:qual'è la realta? noi o il miraggio? cosa è reale?

Luisa...lo fai apposta....anche la tuffatrice! Ti svelo un segreto,mi danno della cinica,fredda,materialista,solo il cane che vive con me sà che mi commuovo pure...:wink:

Continuo ad allenarmi a fare la nonna....




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La leggenda del girasole

un giorno, in un grande giardino in mezzo a tanti fiori colorati, era nato un fiore davvero strano: brutto e storto. Tutti gli altri fiori dicevano che era il più brutto fiore fra tutti e nessuno voleva stargli vicino. Il povero fiore,triste e solo,soffriva,ma non si lamentava mai. Trascorreva le sue giornate a guardare il sole nel cielo. Gli piaceva così tanto che per cercare di avvicinarsi a lui si era allungato molto. Quando il sole si spostava anche il fiore lo seguiva spostando la sua corolla. Un giorno il sole si accorse di quel fiore solo e triste che lo guardava sempre,decise di conoserlo e gli si avvicino'. Dopo aver ascoltato la triste storia del fiore, il sole decise di aiutarlo e con i suoi raggi splendenti abbraccio' il fiore,che si accese subito di un bel giallo vivo e sembrava essere quasi d'oro. Da quel giorno divento' il più alto e il più bel fiore tra tutti quelli del giardino. Diventati amici,il sole decise che quel fiore meritava un nome speciale e così da quel giorno fu chiamato GIRASOLE
 

SALLY

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Una bimba e una mamma vivevano insieme in un paese lontano lontano..Abitavano
una povera casa tutta sola in un piccolo giardino.. Erano felici lo stesso, perchè si
volevano bene.. Un giorno la mamma si ammalò.. La bimba era sempre intorno a lei,
a farle delle carezze e a prepararle qualche conforto.. Ma i denari mancavano e
l'ammalata stava sempre peggio..
Una mattina la piccina volle chiedere aiuto alla Vergine Maria..
Prima di avviarsi verso la chiesa, ella cercò qualche cosa da offrire alla Madonna..
Si guardò intorno: nulla! A un tratto si accorse di un fiore sbocciato nel suo giardino..
Lo colse.. Lo depose ai piedi dell'altare e si inginocchiò.. Grande era la sua pena e
il suo cuore batteva forte forte..
Allora nel buio e nel silenzio della chiesa le parve di sentì bisbigliare alcune parole:
La tua mamma vivrà ancora tanti anni quanti sono i petali del fiore che hai offerto..
Era forse la Madonna che aveva parlato così?
La piccina ne fu sicura.. Si alzò, riprese il fiore, contò i petali che formavano la corolla..
Così pochi? Ella voleva la mamma sempre con sè.. Piano piano, con le sue mani leggere, divise ogni petalo in tanti striscioline sottili e lunghe.. Quanti erano i petali, ora? Dieci, venti, trenta, molti di più La promessa della Madonna si avverò e la mamma visse tanti anni ancora accanto alla sua figliuola..
Per questo in quel giardino, e nei giardini vicini, e poi in quelli di tutto il mondo, un nuovo fiore crebbe: il crisantemo delicato, dai cento petali sottili..
 

SALLY

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al tempo dei maghi la giraffa
non era come la vediamo oggi.
erano più piccole, tozze e col manto tutto chiaro.
golosissime e dispettose usavano le antenne per comunicare la posizione del pasto o
per rubarlo agli altri animali.
titiritik! frutta nascosta a dieci passi
ta_tak_ta-tak! foglie verdi sotto albero.
Quasi fossero cavallette grosse...gli altri animali si rivolsero a n'wabe il ragno
che era astuto e ottimo trappoliere.
psit psit psot psot psot psit!
il piano era pronto...passando vicino allo stagno dove stavano le giraffe, le oche chiaccheravano con una civetta...«come sta bene signora civetta...pare ringiovanita...ma come ha fatto?»
e la civetta «ahhh...siiiì...
tutto merito del cha'ta il frutto della felicità!»
le giraffe incuriosite in silenzio iniziarono ad origliare.
«dove si trova?» chiesero le oche
«in mezzo al monte kilè ma ci si arriva solo attraverso una grotta...ma è buia e solo al centro cresce l'albero con in cima il frutto...è difficile arrivarci!»
appena se ne andarono le giraffe si riunirono...«quel frutto deve essere nostro...andiamo!»
Sapevano dove era il monte ma non dove fosse la caverna...nè quale fosse il percorso...allora si misero a cercare l'entrata come era stata descritta dalla civetta.
Sotto i due occhi della montagna e poco più in basso dell'albero colpito dal cielo
ci sono dei bakaka (gruppi bassi di foglie...cespugli).
Tutte le giraffe alla ricerca!
Dopo un pò di tempo perso nelle ricerche una giraffa trovò l'ingresso della caverna...tiiiitiktiktik...le giraffe si misero in fila e per non perdersi segnavano con le antenne il loro cammino tanto che
divennero tutte spellacchiate.
dopo quasi 2 ore di cammino al buio e sotto lo sguardo di n'wabe arrivano ad un punto rischiarato da una luce forte proveniente da un foro sulla cima.
titak! siamo arrivati!
ecco l'albero...ora cerchiamo il frutto!
Ma mentre le giraffe sono impegnate nella ricerca un grido erompe dal buio! «Taitre!» n'wabe ordina e tutti tirano i fili...ZACCHETE! le giraffe restano intrappolate!
la ragnatela tesa intrappolava ogni giraffa
sotto il sole che passava dal foro.
le giraffe si dibattevano...agitavano le zampe e la testa ma erano sollevate da terra e
non potevano far leva per liberarsi.
Intanto il sole picchiava sul loro manto candido.
n'wabe le aveva abbandonate lì e lì restarono per giorni agitando le zampe e la testa sotto il sole,così il manto inizio ad imbrunirsi e le zampine ad allungarsi come il collo,tanto s'allungarono che toccarono terra e riuscirono così a liberarsi.
Dalla montagna furono viste dagli altri che,vedendo questi giganti si chiesero chi fossero....le giraffe ancora accecate dal sole si recarono a bere al lago e così si videro...le zampe lunghissime,le cornine spelacchiate ed il pelo macchiato come una ragnatela,così come le vediamo oggi,ora erano costrette a nutrirsi delle cime degli alberi.
Una leggenda africana narra che fù una giraffa ad annunciare la fine del diluvio,tanto erano divenute buone!
 
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