Christiane, F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino

bribri

New member
Fa riflettere parecchio questo libro, si capisce come si fa in fretta a finire nel baratro. Come avete detto anche voi è molto crudo, ma è assolutamente da leggere. Bellissimo.
 

velmez

Active member
interessante (la mia versione, decisamente mal scritta)... faccio parte di coloro a cui è venuta voglia di drogarsi leggendo il libro (magari non di ero...), non mi ha fatto particolarmente pena, l'ho trovato più che altro estenuante... e ho trovato assurdo il fatto che non ci fossero dei veri centri dove disintossicarsi e che questi centri dessero ospitalità solo a chi avesse buone possibilità di uscire dalla droga...
come dire che per i più deboli non c'è speranza...
per chi ha lavorato nell'ambito... è ancora così?
alla fine Christiane non ha fatto una vera terapia, l'hanno solo portata lontano da berlino per un po'... e poi ci è ricascata...
A febbraio è uscito il suo secondo libro, "La mia seconda vita" mi incuriosisce parecchio!
 

Nefertari

Active member
Ho letto questo libro alle superiori, me lo consigliò e prestò una compagna di classe: ne rimasi molto colpita e impressionata. Appena ho visto l'immagine della copertina mi sono tornate in mente le sensazioni che provai leggendolo e per un attimo mi sono sentita una quindicenne :)
 

GermanoDalcielo

Scrittore & Vulca-Mod
Membro dello Staff
L'ho letto tutto ma avrei potuto benissimo mollare al 20%. Questo romanzo autobiografico è davvero sempre uguale a se stesso. Una continua ricaduta nel vortice della droga nonostante alcuni tentativi di disintossicarsi e uscire dal giro. La cosa che più mi ha impressionato - in negativo - della vicenda è l'apatia, l'infingardaggine dei genitori: tra i due, potrei condannare di meno il padre, ma la madre mi ha fatto prudere i pollici più di una volta. Quando a un certo punto se ne lava le mani della figlia, è stato più forte di me il pensiero che certe persone non meriterebbero di mettere al mondo dei figli. Ci vorrebbe un bel test attitudinale associato a uno per il QI. Se vedi tua figlia autodistruggersi, come puoi, dopo un iniziale "sbattimento", alzare bandiera bianca? Come puoi non lottare per il tuo stesso sangue, come fai a non desiderare di aiutarla, salvarla davvero? Solo dopo un bel po' di anni si degna di prenderla per i capelli e portarla lontano da Berlino.
Non giudico questa ragazza tedesca che ha fatto le sue scelte - perché, non nascondiamoci dietro un dito, provare il primo tiro, la prima sniffata, la prima pera, è una scelta. Inutile tirar fuori i problemi familiari, il malessere adolescenziale leopardiano, la paura di essere esclusa dal gruppo se non ci si adegua al trend - giudico solo il racconto della sua storia, che liquido con una sufficienza rosicata, anche per uno stile a tratti eccessivamente slang e fastidioso nel tentare di rendere la parlata giovanile grezza e sboccata.
Nel complesso perdibile.
 

Lauretta

Moderator
per chi ha lavorato nell'ambito... è ancora così?
alla fine Christiane non ha fatto una vera terapia, l'hanno solo portata lontano da berlino per un po'... e poi ci è ricascata...
A febbraio è uscito il suo secondo libro, "La mia seconda vita" mi incuriosisce parecchio!

No non è così...vero è che per i più "inafferrabili" il fatto di renderli dipendenti dal metadone a vita è già un successo...non esiste il "non ti prendo in carico perchè sei inguaribile" ma esiste il sovraffollamento dei servizi con medici e psicologi che ti possono vedere si e no una volta al mese e il taglio ai servizi non aiuta...
Ma cosa ci stiamo dicendo? che ad un tossico da 15 anni di eroina basta una dose di metadone quotidiana un colloquio al mese con un medico e un colloquio al mese con uno psicologo?

Oggi funziona così...se hai i soldi vai al servizio tossicodipendenze per togliere gradualmente la sostanza e ti spari la psicoterapia privata a 80 euro a settimana e magari ne esci...
se non li hai purtroppo rimani nel servizio pubblico che vede 20 persone al giorno a 20 minuti l'una... :MM
 

giusy17

New member
Inutile dire che è un libro che a parer mio, merita di essere letto. Uno spaccato nudo e crudo sulla società tedesca degli anni 80, quando ancora della droga si sapeva ben poco. Il libro non mette in mostra soltanto la storia di Christiane, entrata nel tunnel della droga e della prostituzione, ma anche lo scenario che si cela sotto i suoi comportamenti. Genitori poco presenti, lo stato poco attento allo svilupparsi delle sostanze stupefacenti a Berlino. Solo alla fine del libro ci si comincia ad accorgere del serio problema, viste le numerosi morti di ragazzi per overdose. Un libro molto forte, soprattutto letto da una 17enne. Credo che il film non possa essere ritenuto bello tanto quanto il libro. :)
 

Luca_130

New member
ha segnato un epoca

pochi non lo hanno letto all fine degli anni 70 e rispecchia le emozioni di quel periodo
 

isola74

Lonely member
come molti di voi lo lessi anch'io molto tempo fa... per la me di allora fu sconvolgente, ma a ripensarci non credo che lo rileggerei, troppo volutamente sopra le righe
 

Valuzza Baguette

New member
Ho letto questo libro tutto d'un fiato.
Crudo,pesante,straziante vedere l'indifferenza dei genitori davanti all'autodistruzione di Christiane;solamente alla fine troviamo una madre che cerca in qualche modo di aiutare la figlia.
Morbosa e ossessiva la relazione con Detlef,un continuo riaffondare e spingersi a vicenda nella vita squallida del tossicomane.
Mi è piaciuto molto anche l'inizio del libro,dove Christiane racconta le differenze tra la sua vita precedente da bambina felice e spensierata in campagna alla vita di una bambina alla periferia di Berlino dove anche per giocare bisognava sempre e comunque infrangere qualche regola,come se fosse un anticipazione del futuro di questa ragazzina fragile.
Molto toccante.
 
D

Daria87

Guest
Che poi è uscito un nuovo libro, non molto tempo fa, che racconta la vita di Christiane dopo le vicende di "Noi. i ragazzi dello zoo di Berlino". Qualcuno lo ha letto? Mi senbra che si intitoli "la mia seconda vita".
 

Tanny

Well-known member
Libro divorato in pochissimo tempo, dal punto di vista letterario non è certo il massimo, le continue ripetizioni e l'uso forzato del linguaggio giovanile non aiutano; ma ciò che conta in un simile libro non è tanto la forma quanto il messaggio che vuole trasmettere.
La tossicodipendenza è una cosa che non va mai sottovalutata ed è un bene che ci siano dei testi di questo genere che aprono una finestra sullo schifoso mondo delle dipendenze, per poter sconfiggere un male occorre prima conoscerlo, far finta di non vedere non è certo la soluzione; per tale ragione consiglio vivamente la lettura di questo libro.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Negli anni '70 Berlino è il centro del mondo.

Da lì parte la linea ideale della politica; sopra di lei il nord, sotto il sud e, cosa più importante, a destra l'est e a sinistra l'ovest. I buoni da una parte, i cattivi dall'altra in una feroce visione dicotomica che oggi non è per niente svanita, ha solo mutato il proprio campo di azione.

E' troppo per una città sola, e Berlino, città industriale, industriosa e poco attraente, travolge tutto ciò che non è politica, economia e macro visione della vita. Non c'è posto per i bambini e non ci sono spazi per l'ambiente, per il divertimento, per le attività meno legate al "sentire adulto". A maggior ragione nelle periferie della città, dove tutto viene inglobato in un contesto iper produttivo, schizofrenico e volto unicamente alla crescita nazionale.

La droga come ultimo e unico rifugio, raccontata da una ragazzina che a quindici anni ha già provato tutto ciò che l'essere umano sa fare di peggio; droghe leggere e pesanti, prostituzione, anch'essa "leggera" e "pesante". Christiane F. ha introdotto neologismi in ogni parte del mondo, "trip", "rota", rendendo globale il piccolo mondo sporco delle periferie e il vissuto marginale degli adolescenti, anzi dei bambini, tossicodipendenti, il cui unico torto fu quello di essere nati dalla parte sbagliata del mondo nel momento peggiore, un momento in cui i grandi non avevano tempo di ascoltare i loro figli.

votato 5/5
 

Grantenca

Well-known member
E’ la cronaca, direi minuto per minuto, del percorso verso il tunnel buio senza via d’uscita della droga, di una ragazza dai 12 ai 16 anni. A dodici anni inizia con le droghe leggere, a 13 anni già con l’eroina, a 14 si prostituisce per potersi pagare le dosi di eroina. Sono 4 anni che sembrano 40 anni. Non mi pronuncio sul valore letterario (non è questo il fine del libro) ma è una testimonianza assoluta sul disagio giovanile che, in quegli anni 70, ha spezzato migliaia di giovani vite. Certo tutto inizia con una situazione di famiglia precaria, con un padre dittatore e manesco, una madre succube, nei casermoni della Berlino di quegli anni che non prevedono spazi per i giochi dei bambini, con i genitori che pensano soprattutto a procurarsi, con il lavoro e i sacrifici, i beni materiali indispensabili anche per elevarsi socialmente, ma che, anche per carenze culturali, hanno ben poca attenzione per la problematica esistenziale dei figli, convinti che sia sufficiente, come genitori, assicurargli quanto loro necessario per vivere decorosamente.
, Questo libro è una grande testimonianza ed ha un altissimo valore assoluto. Mi ha fatto molto riflettere e ritornare indietro indietro negli anni.
Abito, da sempre, in un piccolo comune (9.000 abitanti circa escludendo le frazioni) dove le famiglie si conoscono un po’ tutte. Negli anni, fine 70 e 80 una intera generazione, successiva alla mia, tra le morti per abuso di droga e le stragi del sabato sera, è stata pesantemente falcidiata e la comunità ancora oggi ne sopporta le conseguenze. Non è facile trovare le cause. Certo la mancanza di colloquio tra genitori e figli ha avuto il suo peso, ma credo in definitiva che la naturale curiosità giovanile e forse i miti di quegli anni hanno avuto un peso determinante. La maggior parte di queste vite spezzate apparteneva a figli di operai. La ricchezza che traspariva da ogni manifesto pubblicitario, bellissime macchine, vacanze e vita da sogno, successo, miti irraggiungibili per la maggior parte della gente comune hanno portato alla caduta di ogni valore ed è stato facile per questi ragazzini rifugiarsi nello “stordimento”. Poi le mode, alimentate non certo dai giovani, ma da gente dedita agli affari (abbigliamento “griffato” con costi esorbitanti di cui non si poteva fare a meno per non sembrare superati) e senza scrupoli. Perché i giovani andavano in discoteca a mezzanotte? E’ passata per una “moda”, ma, a mio avviso non è così. Prima della discoteca avevano il tempo di passare per i bar e i ristoranti, così guadagnavano un po’ tutti, sulla pelle dei giovani. Da ultimo la assoluta assenza, in quegli anni, di strutture sociali adeguate che potessero affrontare efficacemente un problema così grande.
Quando penso poi a me stesso ancora prima, quattordicenne, in questi tempi di salute vacillante un po’ mi commuovo, è trascorsa una vita intera.
Vengo da una famiglia molto modesta ma molto unita, basti pensare che ho potuto frequentare l’Istituto tecnico esclusivamente perché mia sorella, maggiore di me , da qualche anno aveva cominciato a lavorare in fabbrica. Una famiglia che non ringrazierò mai abbastanza per avermi fatto trascorrere una infanzia e prima adolescenza veramente gratificanti, ma con la quale, a quei tempi, non ci poteva essere dialogo per problemi “esistenziali”, troppo l'impegno per far quadrare i magri bilanci. Torniamo al tema. A 14 anni ho cominciato a frequentare l’Istituto tecnico, un’ora e un quarto di viaggio all’andata e altrettanto al ritorno, in treno. Lasciavo la mia abitazione alle 6 del mattino e ritornavo verso le 15.30. Sul treno c’ero io ma anche gli studenti che frequentavano gli ultimi anni, e già dopo due mesi ho iniziato a fumare. Ho fumato, ininterrottamente, per 18 anni, solo gli ultimi 2 però in modo compulsivo. La nicotina non dà però dipendenza. Provavo veramente piacere nel fumo. Sigarette e, quando potevo, anche sigari di qualità. Non ho mai pensato veramente di smettere. Se voi guardate i film degli anni 50-60 quasi sempre i protagonisti fumano che è un piacere. La sigaretta era uno “status- simbol” di emancipazione e non c’erano campagne …..antifumo! (forse il contrario). Anche i superalcoolici erano un mito (Whisky d’annata, vodka ghiacciata, ed anche gli “amari” che dovevano favorire la digestione ed avevano invece l’effetto contrario) ed io non mi tiravo indietro, e qualche “imbarcata” fino quasi ai 20 anni l’ho presa. La mia fortuna, con l’alcool, è stata che dopo una “sballata” stavo male tre giorni e poi la domenica giocavo a calcio e non potevo permettermi di abusare dell’alcool proprio nella serata “delle trasgressioni”, e cioè il sabato sera. A bere non provavo però piacere, come a fumare, era solo un “atteggiamento” e quindi questa pericolosissima dipendenza, (non c’erano i controlli etilici – palloncino - della polizia stradale a quei tempi !) non ha potuto attecchire sulla mia persona. Sono convintissimo però che, data la mia grande curiosità, se a quei tempi ci fossero state le droghe leggere, certamente avrei provato. Non so se sarei arrivato a “bucarmi” perché non sono un “cuor di leone,” e ancora adesso ho il terrore solo alla vista di una siringa.
Poi il servizio militare, la ricerca del lavoro, la volontà comune con mia moglie di costruirci una famiglia e, in definitiva , la consapevolezza del mondo in cui vivevo, ha agito da vaccino preservandomi dal desiderio di simile esperienze. A quattordici anni però un ragazzo ( o una ragazza) è come un cristallo prezioso: splendente di luce propria ma molto delicato. E’ necessario qualche “no” e una grande comprensione dell’ambiente che lo circonda per fargli superare, indenne, questa età , molto affascinante per certi versi, ma certamente molto complicata..
Io, dai 14 ai vent’anni anni ho avuto molta fortuna, a qualcun altro non è andata così bene, e forse anche il mondo era meno complicato di adesso. Ho avuto tra l’altro, negli ultimi tre anni di scuola, anche un professore di lettere che mi ha interessato alle buone letture, che forse non c’entrano per niente con le dipendenze che ho descritto, ma che mi hanno fatto capire che i beni materiali più preziosi non possono essere lo scopo principale di una vita.
 
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