La Matematica non è un'opinione....

pigreco

Mathematician Member
Norbert Wiener (Columbia, 26 novembre 1894 – Stoccolma, 18 marzo 1964), matematico e statistico statunitense. Ho studiato un suo teorema in corso di Crittografia. Vi rimando al link di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Norbert_Wiener

Famoso per la sua sbadataggine e smemoratezza, esistono numerosi aneddoti su di lui. Vi riporto quello che reputo più divertente, raccontatomi dal professore che tenne il corso:

La seguente storia sembra essere realmente accaduta.
Il giorno in cui la famiglia di Wiener doveva traslocare da Cambridge a Newton sua moglie era molto preoccupata. Siccome era certa che egli si sarebbe dimenticato sia che avevano traslocato sia dove avevano traslocato, ella scrisse su un foglietto il loro nuovo indirizzo e glielo fece mettere in tasca.
Naturalmente, durante il giorno Wiener ebbe un'idea matematica. Si frugò nelle tasche, trovò un pezzo di carta e vi scarabocchiò sopra alcune note. Poi si rese conto che c'era un errore e buttò via il foglio. A sera tornò a casa, al suo vecchio indirizzo, naturalmente.
Trovando tutto chiuso, si ricordò che avevano traslocato ma non aveva la minima idea di dove si erano trasferiti e di dove fosse finito il foglietto con l'indirizzo.
Per fortuna gli venne un'ispirazione. C'era una ragazza sulla strada ed egli pensò di chiederle se sapeva dove la sua famiglia si era trasferita. Tutto sommato qualcuno del luogo doveva pur conoscerlo!
Si avvicinò alla ragazza e le chiese:
- Mi scusi signorina, forse lei mi conosce. Io sono Norbert Wiener e la mia famiglia ha traslocato proprio oggi. Per caso lei sa mica dove ci siamo trasferiti?
La giovane ragazza gli rispose:
- Sì papà, la mamma mi ha mandato a cercarti. Vieni, ti accompagno a casa.

Richard Harter, da cui è stato tratto questo aneddoto, racconta di aver chiesto alla figlia di Wiener se questa storia è vera. Lei ha risposto che suo padre non ha mai dimenticato chi erano i suoi figli, ma a parte questo la storiella è molto vicina a ciò che accadde realmente.
 

asiul

New member
Inserisco qui il link ad un bellissimo (almeno secondo lo Zef-sentire :wink:) racconto dal titolo "L'hotel straordinario" di Stanislaw Lem, scrittore di fantascienza polacco, forse l’unico non di estrazione anglosassone noto al grande pubblico per via il suo capolavoro “Solaris”, nonché per lo strepitoso “Memorie di un viaggiatore spaziale”.


Credo sia il 3d giusto. Buona lettura. :)

http://www.itismattei.it/mate1/racconti/hotel.pdf

Molto bello!
Avevo già letto parte di questo racconto in quel libro meraviglioso su Fermat. Ribadisco che il libro da te suggerito (Il teorema di Fermat) è una vera miniera di informazioni e storie interessanti. :)
 

Zefiro

da sudovest
Gli egiziani, che erano meastri nell'escogitare soluzioni empiriche per problemi archittetonici, geometrici ed ingegneristici, per tracciare un angolo retto perfetto, che misurasse quindi esattamente 90 gradi, usavano un particolare strumento: una corda con 13 nodi perfettamente equidistanti tra loro. Chi vuole può rifletterci su.

Istruzioni per l'uso dello strumento egizio in inchiostro simpatico qui sotto. :wink:

START sfruttavano il teorema di Pitagora ed in particolare la terna pitagorica 3, 4, 5; quindi 9+16=25. Poggiando la corda in terra la piegavano con l'ausilio di paletti costruendo un triangolo con lunghezza dei lati 3, 4, 5, quindi dodici segmenti di corda racchiusi tra tredici nodi. L'angolo tra i due lati corti è necessariamente un angolo retto. END
 
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asiul

New member
Coniglipolli

Questa pesia risale a molti anni fa.In realtà è uno di quei problemi che la maestra ci chiedeva di risolvere, dicendoci:"allora bambini aprite il libro a pagina x e ditemi: quante mele ha comprato la mamma al mercato?".

Qui non abbiamo mele e non dobbiamo risolvere nulla, perché la soluzione è fornita dalla stessa poesia di Elio Pagliarani (poeta del Gruppo'63 ,movimento letterario di neoavanguardia, costituitosi a Palermo nel 1963 per mano di un gruppo di giovani critici nei confronti delle opere letterarie troppo legate ai modelli tradizionali degli anni cinquanta).

Mi piaceva l'idea di condividerla con voi...ed eccola :)

"La merce esclusa"
di Elio Pagliarani ( pubblicato sul “Menabò di letteratura” dell’anno 1965 - Einaudi)


e può essere immesso nella circolazione linguistica
come portatore di tale valore In termini di lavoro


Problema: un ragazzo vede conigli e polli
in un cortile. Conta
18 teste e 56 zampe
quanti polli e conigli ci sono nel cortile?
Si consideri una specie di animale
a sei zampe e due teste: il conigliopollo; ci sono nel cortile 56 zampe: 6
zampe = 9 coniglipolli
Nove coniglipolli che necessitano di 9 × 2, 18 teste
restano dunque 18 – 18, 0 teste nel
cortile
laurea in filosofia poi lo cacciarono via
non che violasse le leggi è che dissero basta
la famiglia gli amici gli esempi dei libri di testo. La sua testa
avrebbe potuto lucidissimamente, in realtà fu lui che non volle demandò
alla vita
la grandezza di lavoro umano linguistico generico medio.
Ma questi animali hanno 9 × 6, 54 zampe allora 56 – 54 = 2 Restano due
zampe nel cortile.
Si consideri quindi un’altra specie di animale che potrebbe essere il
coniglio spollato che ha
1 testa – 1 testa = 0 testa, 4 zampe – 2 zampe = 2 zampe: le due zampe che
stanno nel cortile
la grandezza di lavoro umano linguistico generico medio
con il naso giusto, un’altezza che supera la media
non che vita non fosse anche nell’aule
dei suoi vent’anni trenta
non era ancora stato richiamato sotto le armi forse perché non sapevano
bene dove metterlo
c’è dunque nel cortile 9 coniglipolli + 1 coniglio spollato. Detto in altri
termini
9 conigli + 9 polli + 1 coniglio – 1 pollo. Ed ora i conigli coi conigli e i
polli coi polli, si avrà
9 + 1, 10 conigli, 9 – 1, 8 polli
Risultano otto polli e dieci conigli nel cortile


e può essere immesso nella circolazione linguistica
come portatore di tale valore In termini
di lavoro
la grandezza di lavoro umano linguistico generico medio
con cui si misura Dio
con cui si misura Dio in termini di lavoro

Ridono le ragazze, ondeggiano sopra tacchi di sughero.


 
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Pungitopo

Far Far Away Member
Girolamo Cardano (Pavia, 24 settembre 1501 – Roma, 21 settembre 1576?) è stato un matematico, medico e astrologo italiano. Poliedrica figura del Rinascimento italiano, è noto anche come Gerolamo Cardano e con il nome latino di Hieronymus Cardanus.

Oggi Cardano è noto soprattutto per i suoi contributi all'algebra. Ha pubblicato le soluzioni dell'equazione cubica e dell'equazione quartica nella sua maggiore opera matematica, intitolata Ars magna stampata nel 1545.

Parte della soluzione dell'equazione cubica gli era stata comunicata da Tartaglia; successivamente questi sostenne che Cardano aveva giurato di non renderla pubblica e di rispettarla come di sua origine; si avviò così una disputa che durò un decennio. Cardano sostenne di avere pubblicato il testo completato solo quando gli fu segnalato che il Tartaglia avrebbe avuto a voce la soluzione dal bolognese Scipione Dal Ferro, notizia poi rivelatasi infondata. La soluzione di Tartaglia, pur essendo successiva a quella (comunque mai pubblicata) di Scipione Dal Ferro, risulta essere indipendente da questa. La soluzione è detta comunque di Cardano-Tartaglia.

L'equazione quartica venne invece risolta da Lodovico Ferrari, uno studente di Cardano. Nella prefazione dell'Ars Magna vengono accreditati sia Tartaglia che Ferrari. Nei suoi sviluppi delle soluzioni Cardano occasionalmente si serve dei numeri complessi, ma senza riconoscerne l'importanza come invece saprà fare Rafael Bombelli.

Fu l'inventore del giunto cardanico, dispositivo che consente di trasmettere un moto rotatorio da un asse a un altro di diverso orientamento e viene tuttora usato in milioni di veicoli. Ma pare fosse già conosciuto, anche se porta il suo nome perché appare nel De Rerum Varietate in una illustrazione navale.
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Che ne dite di riportare in auge questo topic?

Porgo una domandina: alla fin della fiera, la realtà, è interamente formalizzabile?
 

Zefiro

da sudovest
Che ne dite di riportare in auge questo topic?

Porgo una domandina: alla fin della fiera, la realtà, è interamente formalizzabile?

Che razza di domanda D. Alla fine della fiera, ma proprio alla fine intendi? :??

Certo che si, ci mancherebbe altro!

So che stai ipotizzando l'ammissibilità d'utilizzo di approssimazioni successive naturalmente. Nonché la necessità che esse sempre, seppur asintoticamente, vadano a convergenza. Del resto, renditi conto che, grazie a quel guastafeste di Godel, non è neanche più possibile trovare rifugio nell'unico luogo che credevamo sicuro: la matematica. (*)

Io Godel lo strozzerei. Anzi no, troppo poco! Di più. Gli farei un monumento. :mrgreen:

Come del resto a chiunque altro sia capace di regalarci la certezza d'una possibilità d'incertezza. Roba da innamorarsene perdutamente.

(*) A. Perez-Reverte, Il pittore di battaglie
 
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asiul

New member
Dal momento che hai citato Gödel, mi permetto un intermezzo con un articolo di Giuseppe Galasso sullo stesso. Poi se ne sarò capace (ma lo farò comunque) mi unirò alla vostra discussione.

Non solo matematica sugli impervi sentieri del genio

di Giuseppe Galasso
puce.gif
Corriere della Sera, 20.06.2008
L’aneddoto più bello su Kurt Gödel è di Albert Einstein che diceva di essere andato a Princeton «solo per avere il privilegio di camminare insieme a Gödel sulla via di casa». Era un’ammirazione meritata. Il teorema per cui Gödel entrò nella storia della scienza è stato definito da Rebecca Goldstein (studiosa di filosofia, e anche narratrice) insieme al principio di indeterminazione di Heisenberg e alla relatività di Einstein la terza gamba di quel tripode di cataclismi teorici che sono stati percepiti come un terremoto nella profondità dei fondamenti delle «scienze esatte» e ci hanno condotti «in un mondo sconosciuto che quasi un secolo dopo stiamo ancora lottando per renderci conto di dove, esattamente, siamo arrivati».
Detto in parole poverissime, il teorema di Gödel dimostrava, nel 1931, che qualsiasi teoria matematica in guisa di sistema formale e coerente contenente l’aritmetica elementare (ossia la teoria dei numeri interi naturali) è «sintatticamente incompleta ». Per la logica matematica un sistema è sintatticamente incompleto se nel suo linguaggio si incontrano formule di cui non si può dimostrare né la verità, né la falsità. In altri termini (mi si passi l’esempio) è come se nella grammatica di una lingua si formulassero regole di cui non si possa dire se siano corrette o scorrette. Gödel smentisce così in modo radicale che, data l’inevitabilità di proposizioni indecidibili, si possano costruire nell’universo dei numeri sistemi formali in cui tutto sia conosciuto o conoscibile, e lascia, quindi, aperti e indecisi gli esiti di qualsiasi sistema. La logica matematica prevede, però, anche un’altra incompletezza, quella semantica, se gli sviluppi di un sistema portano a formulare proposizioni non appartenenti al sistema stesso (in questo caso, per stare all’esempio di prima, è come se la grammatica italiana a un certo punto formulasse regole fuori della sua logica e del suo sistema, e secondo la logica e il sistema di un’altra ed estranea grammatica). E quest’altra incompletezza era per Gödel causata dal fatto che in tutti i sistemi la coerenza interna, ossia la loro non-contraddittorietà, è una proposizione non decidibile al loro interno. In altri termini, incompleto nel primo senso, un sistema lo è anche nel secondo senso, essendo incapace di coerenza interna, e quindi di auto-sufficienza.
Si dirà: ma questo non è molto astratto, puramente teorico? Lo è, infatti, ma, come accade nella più alta scienza, dall’astrazione nascono conseguenze e applicazioni pratiche di sconcertante concretezza. Lo stesso Gödel assimilava le classi e i concetti logici, di cui si occupava, ai corpi fisici che sono a base delle percezioni dei nostri sensi. In pratica, procedeva traducendo gli enunciati dell’aritmetica relativi alle proprietà formali o strutturali delle sue espressioni in enunciazioni semplicemente aritmetiche, per cui a ognuna di tali espressioni (formula, funzione, dimostrazione etc.) era associato un numero. Così, le relazioni logiche diventavano rapporti numerici. Poiché un sistema chiuso di tali rapporti era sintatticamente e semanticamente incompleto, occorreva, per procedere, uscire fuori dai sistemi chiusi e finiti e ammettere qualche ipotesi non formalizzabile in aritmetica. Ora, pensate che nei computer qualsiasi oggetto o dato o immagine o testo etc. è traducibile in numeri ed è memorizzabile, e avrete un’idea di quel che è stata la correlazione stabilita tra dati numerici e dati logici, di cui Gödel è stato un protagonista, così come lo è stato della negazione che l’aritmetica costituisca un sistema finito e chiuso.
A far capire tutto ciò ha mirato Francesco Berto, docente di Ontologia a Parigi e di Logica a Venezia, col suo Tutti pazzi per Gödel! (Laterza). Quel tutti è, in realtà, un auspicio di Berto stesso, che di Gödel (perché, dice, seguirne il percorso logico è stato per lui «una delle esperienze più emozionanti») si dichiara, appunto pazzo e tali vuol fare diventare gli altri.
Speriamo che sia così. Non è tanto semplice. Berto stesso dice di avere spesso, da filosofo, sbattuto la testa in un muro di difficoltà. Dice pure che per il suo libro si deve sapere un po’ di logica elementare e che ha dovuto iniziare con un po’ di teoria degli insiemi. Ma chi supera gli ostacoli trova in lui una guida abile e suasiva. E la fatica sarà premiata. Gödel è stato discusso, e dopo di lui matematica e logica hanno preso anche altri sentieri. Ma il nucleo duro del suo pensiero si è dimostrato, oltre che durevole, anche davvero affascinante (Berto ha ragione), quale lo ritrasse, fra gli altri, Douglas R. Hofstadter nel suo Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda (Adelphi), associando, non a caso, il grande logico-matematico a un grande artista della grafica e a un sommo musicista.
 

Sir

New member
Che ne dite di riportare in auge questo topic?

Porgo una domandina: alla fin della fiera, la realtà, è interamente formalizzabile?

Sì. Che realtà sarebbe, altrimenti? Io almeno, per quel che conta, non intuisco nè deduco una realtà priva di forma, tantomeno una forma che non sia in se stessa definita.

Questo in un sistema di pensiero, il nostro, che si concentra su un meccanismo di domanda e risposta ed utilizza determinati mezzi: la capacità del nostro cervello di calcolare ed elaborare in astratto, totalmente accessoria, la logica, la matematica. La realtà dev'essere potenzialmente rintracciabile, ma parlando di tradurre questi dati in conoscenza noi siamo solo una delle sterminate possibilità, ed i nostri mezzi non necessariamente gli unici a disposizione*. Tale traduzione deve per forza attuarsi in concreto, non in astratto; potrebbe la nostra mente concepirla? E soprattutto, a quale scopo asservirebbe? Domande la cui risposta mi pare meno chiara.

Perciò, in un altro sistema di pensiero, la realtà è individuabile e non individuabile, la forma è definita e non definita. Un sistema in cui si situa l'apertura del Tao te ching: La via percorribile non è l'eterna Via; una vertigine terrificante, che penso voglia significare, in sostanza, questo.


* in quest'ottica io leggerei Godel e la discussione sui limiti della matematica, tenendo sempre sullo sfondo il sistema di riferimento.
 

asiul

New member
Sì. Che realtà sarebbe, altrimenti? Io almeno, per quel che conta, non intuisco nè deduco una realtà priva di forma, tantomeno una forma che non sia in se stessa definita.

Prima domanda:stiamo parlando di darle una forma numerica o solo una forma?
Parlando di matematica...

ed il pensiero, anch'esso parte della realtà, è formalizzabile? Se sì, in che modo ?

In linea generale sarei anche d'accordo, ma noi conosciamo tutto lo scibile? Possiamo sapere, non conoscendola ancora nella sua totalità, se "tutta" la realtà sia formalizzabile?

Hihi...i miei soliti pensieri contorti.Portate pazienza... :mrgreen:
 

Sir

New member
1. Io ho parlato di forma. Poi generalmente una forma dovrebbe poter essere descritta in maniera numerica, ma questo lo lascio a chi conosce meglio di me la matematica.

2. Credo che il pensiero sia "facilmente" formalizzabile. E' una specifica capacità che dipende dalle nostre possibilità fisiche, dall'evoluzione del nostro cervello e del sistema nervoso. Le scienze che si occupano di questo non sono ancora giunte a delinearne precisamente le dinamiche, ma nell'attesa si può ragionevolmente supporre che stia tutto nel nostro corpo e non vi siano elementi estranei e sconosciuti.

3. Nella nostra concezione, quello che indichiamo con realtà è unica e indivisibile nei suoi principi; supporre che una parte sia non formalizzabile equivarrebbe a supporre che sia interamente non formalizzabile.
Questo tema comunque penso di averlo toccato nel primo e nel secondo paragrafo del post precedente; se così non fosse... non ho capito tanto bene la domanda. :mrgreen:
 

Zefiro

da sudovest
1. Io ho parlato di forma. Poi generalmente una forma dovrebbe poter essere descritta in maniera numerica, ma questo lo lascio a chi conosce meglio di me la matematica.

2. Credo che il pensiero sia "facilmente" formalizzabile. E' una specifica capacità che dipende dalle nostre possibilità fisiche, dall'evoluzione del nostro cervello e del sistema nervoso. Le scienze che si occupano di questo non sono ancora giunte a delinearne precisamente le dinamiche, ma nell'attesa si può ragionevolmente supporre che stia tutto nel nostro corpo e non vi siano elementi estranei e sconosciuti.

3. Nella nostra concezione, quello che indichiamo con realtà è unica e indivisibile nei suoi principi; supporre che una parte sia non formalizzabile equivarrebbe a supporre che sia interamente non formalizzabile.
Questo tema comunque penso di averlo toccato nel primo e nel secondo paragrafo del post precedente; se così non fosse... non ho capito tanto bene la domanda. :mrgreen:

ti va d'argomentare espandendoli un po' i punti 2 e 3? Senza impegno, se hai tempo e voglia naturalmente. Le consecutio non mi convincono, ma in realtà non son certo d'aver ben compreso.
 

Zefiro

da sudovest
citazione del giorno, mi sembra appropriato postarla qui :)

La vita è un'offensiva diretta contro il meccanismo ripetitivo dell'universo
(A. N. Whitehead; Adventures of Ideas)
 

Sir

New member
Mannaggia, e io che volevo cavarmela con una roba sintetica...:mrgreen:

Non sono sicuro di sapermi spiegare meglio di come ho fatto, in tal caso mi scuso, comunque ci provo.

Il punto 2 non lo approfondirei troppo perchè non concerne più di tanto l'argomento. Ad ogni modo, preciso che mi riferisco ad una definizione molto ligia di "pensiero", e non ho preso in considerazione ciò che chiamiamo coscienza. Se parliamo di pensiero, dobbiamo per forza riferirci al pensiero umano; per quanto possano esisterne altri, esso non mi pare un concetto universale bensì una capacità caratteristica dell'organismo che l'ha sviluppata. Il pensiero umano non esisterebbe senza il nostro corpo, il nostro sistema nervoso ed il nostro cervello, pertanto tutti i dati che riguardano un'indagine sulla sua natura e sul suo funzionamento debbono provenire dal nostro interno. Si tratta di individuarli e tradurli in un linguaggio da noi comprensibile: un'impresa forse lontana dalla nostra portata ma sicuramente dipendente da mezzi che già adoperiamo ed oggetti che già conosciamo. Mi pare abbastanza per dire che il pensiero sia reale e dotato di forma.

Torno sul punto 3 collegandomi all'idea di forma. A me non importa che sia quantificabile, numerabile, intelligibile, materiale; se anche non la riconosciamo come tale, non è detto che noi conosciamo tutte le forme. Qualcosa che ci appare o che definiamo come informe, già per il solo fatto di apparire dovremmo indicarlo come dotato di forma. Se la realtà non ne avesse una, come potremmo distinguerla ed individuarla? Non mi sto riferendo ad un piano astratto, dove l'immaterialità potrebbe trarre in inganno; conoscenza e pensiero, come accennavo prima, non possono prescindere dall'esperienza concreta, sensoriale.
Il mio ragionamento evita completamente la metafisica, forse stava qui l'inghippo, e verte esclusivamente sulla fisica; la realtà è tutto ciò che ha una rilevanza fisica, una sua priorità mi pare quindi quella di possedere una forma (non necessariamente, ripeto, una forma a noi familiare: la ricerca dei fisici teorici non sarebbe così ardua altrimenti).
Si può poi indagare, più metafisicamente, sulla natura di tale realtà e magari desumere una sua completa mancanza di forma, indagine che mi lascia abbastanza indifferente e che potrei anche appoggiare; l'ipotesi però che una sua parte sia dotata di forma ed un'altra ne sia sprovvista proprio non combacia col mio ragionamento di prima.

Comunque, ripeto, tutto questo è un meccanismo appartenente a un sistema di pensiero che in questo particolare frangente non credo sia particolarmente produttivo. Ne preferisco un altro, infatti a parte questo piccolo OT quello che avevo da dire di più attinente all'argomento e che più mi pare importante è nel primo post.
 

Zefiro

da sudovest
Mannaggia, e io che (...) pare importante è nel primo post.

Ok, capito come la vedi. Molto più chiaro così. Thanks :)

Approccio fisico-immanente molto efficacie nel quale mi ritrovo e su cui concordo pressappoco in toto... nel sistema di riferimento che hai adotatto (come giustamente da te già sottolineato).
 

Zefiro

da sudovest
Friedrich Frege: l'uomo che era libero da sé stesso

Il più famoso paradosso della storia della logica, il paradosso di Russell non è in realtà un paradosso ma una antinomia.

A dire: un paradosso è una cosa difficile da credere, una antinomia invece è una contraddizione vera e propria. Nella discipline afferenti alla logica un paradosso non inficia una data teoria o costrutto logico, la presenza di una antinomia invece si: toglie valore e fa crollare il tutto.

Ciò detto, mi piace raccontare qui la storia di Friedrich Frege, matematico e logico tedesco vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900 ed unanimemente considerato uno dei più grandi logici che l’umanità abbia mai prodotto nonché padre del formalismo moderno così come lo conosciamo oggi.

Mente rigorosa, inesauribile e brillantissima, s’accinse ad un’opera titanica: la riconduzione a pura logica dell’intera aritmetica. Non la faccio lunga e palloccolosa: al tempo praticamente una rivoluzione nell’ambito delle discipline interessate (matematica, logica, filosofia)

Cominciò a pubblicare il frutto di decenni di lavoro in una monumentale opera, “I principi dell’aritmetica”, quando ricevette una lettera personale dell’allora giovanissimo Bertrand Russell, il cui testo, col famosissimo passaggio "c'è solo un punto in cui ho trovato una difficoltà", è ormai passato alla storia, e di cui riporto per completezza di narrazione alcuni stralci:

Caro collega, da un anno e mezzo sono venuto a conoscenza dei suoi Grundgesetze der Arithmetik, ma solo ora mi è stato possibile trovare il tempo per uno studio completo dell’opera come avevo intenzione di fare. Mi trovo completamente d’accordo con lei su tutti i punti essenziali (…) C’è solo un punto in cui ho trovato una difficoltà. Lei afferma (p. 17) che anche una funzione può comportarsi come l’elemento indeterminato. Questo è ciò che io credevo prima, ma ora tale opinione mi pare dubbia a causa della seguente contraddizione. Sia w il predicato "essere un predicato che non può predicarsi di se stesso". w può essere predicato di se stesso? Da ciascuna risposta segue l’opposto. Quindi dobbiamo concludere che w non è un predicato. Analogamente non esiste alcuna classe (concepita come totalità) formata da quelle classi che, pensate ognuna come totalità, non appartengono a se stesse. Concludo da questo che in certe situazioni una collezione definibile non costituisce una totalità.”

Il botto era fatto. Il testo è ostico per i non addetti: basti sapere che l’antinomia individuata da Russell minava alla base distruggendo per intero l’intera costruzione logica di Frege.

La lettera giunse alla vigilia della pubblicazione del secondo volume. Frege si rese immediatamente conto della portata devastante dell’osservazione ed in una appendice dell'undicesima ora al volume divulgò pubblicamente il problema, provando ad impostare una bozza di soluzione. Scriveva Frege: “uno scienziato può difficilmente scontrarsi con qualcosa di più indesiderabile che avere i fondamenti spazzati via proprio quando il lavoro è terminato. Sono stato messo in questa situazione da una lettera del signor Bertrand Russell, quando l’opera era in procinto di essere data alle stampe”.

Poi, dopo averci ragionato con calma un po’ su, ammise apertis verbis che i suoi sforzi, parole sue, s’erano “risolti in un completo fallimento”. Non ciò che Frege aveva impostato era interamente sbagliato. Erronea, o meglio non completamente efficacie era la strada che aveva intrapreso: bisognerà aspettare decenni ed arrivare a Godel per dimostrare che, per quella via, era semplicemente impossibile.

Si osservi che, all’epoca dei fatti, Frege era un affermatissimo logico di fama mondiale mentre Russell poco più di un brillante dottore: senza la decisa ammissione di Frege avrebbe probabilmente faticato un bel po’ per far valer la sua. Una onestà intellettuale notevolissima.

Ecco. Mi piace qui ricordare Frege perché, oltre ad esser stato un grandissimo logico, ha saputo esercitare la più grande delle libertà: quella da sé stessi.
 
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