Le donne che hanno fatto la storia

Zingaro di Macondo

The black sheep member
E poi le mogli, le madri e le sorelle che sostituirono nella produzione e nella vita di tutti i giorni i mariti, i figli e i fratelli. Partiti e mai più tornati.

Il binomio di retorica vecchio stampo e armamenti moderni, ha dato luogo all’avvenimento più assurdo di tutto il XX secolo.

Potenti del mondo, monarchi e imperatori del nulla, che hanno giocato a Risiko con folle di giovani, spesso minorenni, mandati al massacro per conquistare lembi di terra di nessuna rilevanza.

Le Dolomiti sono state il principale teatro di questo macabro circo. Le condizioni mutavano talmente rapidamente, in seguito alle carneficine chiamate battaglie, che oggi risulta difficile tirare le fila in modo storicamente ordinato. Chi stava dove e quando è roba da super esperti.

Alle donne veniva detto che i loro figli erano caduti per la patria. O per l’onore, è uguale. La tirannia delle parole è la peggiore, la più pericolosa in assoluto.

Non a caso tanti giovani sceglievano di loro spontanea volontà di andare in guerra, carichi di quella retorica nazionalista che rintronava le loro menti e rimbambiti ben più di quanto lo siano oggi i giovani dalla tv.

“Evviva l’Italia!”, gridava il ragazzino che usciva dalla trincea e si faceva mitragliare dall’austriaco nelle sue stesse condizioni.

Oggi questa retorica è stata spostata dentro gli stadi. Dico per fortuna e lo dico provocatoriamente, ma non troppo. Perché può darsi che in noi sia innato il bisogno della bandiera, allora meglio che ci chiudiamo tutti quanti in un recinto a gridare forza Milan.

Se vi capita di passare dalle zone di Cortina d’Ampezzo, c’è un bellissimo rifugio alpino, il Lagazuoi. Posto a 3.000 metri è uno dei rifugi più in alto d’Italia. Per i più pigri è raggiungibile in funivia, ma consiglio di farlo a piedi passando attraverso quelle gallerie costruite dagli uomini, ma che sembrano fatte da grossi topi di montagna.

Da lassù ho tentato di capire un po’ la geografia storica degli avvenimenti, cercando di scioglierne i complicati intrecci con le cime di fronte e un libro sotto il naso. Ma il lavoro è titanico, persino noioso. A sinistra tutto in mano agli austriaci nel dicembre del ‘16, qui nel mezzo gli italiani, la sotto gli austriaci, più in là di nuovi gli italiani. Salvo poi cambiare tutto nel giro di 20 giorni.

Sotto alla cima del Lagazuoi, dopo uno strapiombo di un migliaio di metri, si apre una specie di conca naturale, infrattata sotto la cima e dunque invisibile da quella posizione. Gli austriaci sapevano che lì sotto, in quella specie di grotta, c’erano gli italiani. Lo sapevano perché di tanto in tanto uscivano per colpire coi mortai, salvo poi rientrare rapidamente a nascondersi. Una specie di toccata e fuga che mandava in bestia gli austriaci.

Allora i generali decisero per una tattica veramente notevole. Pigliarono dei ragazzotti, li legarono alla bellemeglio e li calarono penzoloni sul baratro finché non cominciavano a intravedere la conca degli italiani. A quel punto, spesso sanguinanti per la corda che li tagliava sotto le ascelle, lanciavano le granate verso quel grosso buco.

Immaginate: sospesi nel vuoto coi fucili sotto che cominciano a sparare. E quando finiva le due granate, una per mano, gliene lanciavano di nuove dalla cima. Lui le doveva acchiappare al volo e ributtarle nella conca, come in un videogioco. Ovviamente la maggior parte di questi ragazzotti finiva tritato dal fuoco nemico nel giro di un minuto. Ma magari un paio di granate erano andate a buon fine e questo era tutto. Carne marcia a penzoloni in un paesaggio di una bellezza mozzafiato. I suoi compagni da lassù allora lasciavano la corda e ne mandavano giù un altro. Ma non sempre, perché alle volte la corda serviva.

Lassù i rifornimenti e le armi arrivavano a mano. In quella zona non erano le donne a farlo, era l’esercito, cioè gli stessi ragazzotti di cui sopra. *Nell’inverno del ‘17 ci furono 10 metri di neve e molti, durante il tragitto con cannoni e mortai in spalla, morivano di stenti. Freddo, fame, disidratazione. Vallo a sapere.

I soldati invece ci vivevano lassù. *A 3.000 metri non ci sono manco gli alberi, dunque si dormiva a meno 20 gradi e senza fuoco. Ci furono casi di cannibalismo, ci fu chi mangiò i propri escrementi e chi si amputò una mano congelata, tanto era il dolore.

A poco a poco la diserzione si fece massiccia e i generali cominciarono a sparare alle spalle di coloro che tentavano di fuggire verso valle. Maledetti disfattisti.

Einstein, negli anni ‘30 chiese a chi aveva dedicato la vita ad osservare i comportamenti umani, il perché di queste cose.

Freud gli rispose che una risposta non ce l’aveva.
 

bouvard

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Ida Brunelli Lenti: una Giusta fra le Nazioni

Tutti conosciamo la storia di Giorgio Perlasca – se non altro per aver visto il film sulla sua vita - l’uomo italiano che fingendosi un diplomatico spagnolo durante la Seconda Guerra Mondiale riuscì a sottrarre molti ebrei alla morte dei campi di sterminio, eppure chissà quanti altri Perlasca ci sono stati senza che qualcuno abbia mai conosciuto la loro storia. Magari non hanno salvato così tante persone come ha fatto Perlasca, ma anche avessero salvato una sola vita sarebbe comunque una grande vittoria perché come dice il Talmud “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Anche perché nessuno può sapere cosa potrà fare quella vita che si sta salvando, magari diventerà un grande scienziato, o un grande scrittore, o un eccelso musicista, ma anche dovesse diventare un semplice uomo (o semplice una donna), uno come tanti, la sua vita sarà comunque sempre una testimonianza della capacità e della possibilità che l’uomo ha sempre – anche nelle situazioni più disumane ed atroci – di scegliere il Bene.

Ida Bunelli Lenti allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale aveva solo 15 anni e dalla sua città natale Monselice si era trasferita ad Arezzo insieme alla famiglia Toth da cui era stata assunta come bambinaia. I Toth erano ebrei, ma nessuno lo sapeva. Quando anche l’Italia approvò le leggi razziali il signor Toth ritornò in Ungheria per valutare le possibilità di un loro ritorno in Patria, perché continuare a vivere in Italia era diventato troppo rischioso per la sua famiglia.
Ma una volta giunto in Ungheria fu costretto ad arruolarsi e morì poco dopo. La moglie rimasta in Italia con i tre figli si ammalò di cuore e poco dopo morì anche lei. Ma prima di morire rivelò alla bambinaia la loro vera identità chiedendole di proteggere i suoi figli. Ida era affezionatissima ai bambini e nonostante la sua giovanissima età non ebbe neppure bisogno di pensarci su. Quando non ebbe più soldi per rimanere ad Arezzo portò i bambini a Monselice dove la sua famiglia avrebbe potuto aiutarla a nasconderli.
Grazie all’aiuto di altre persone i bambini vennero nascosti nell’orfanatrofio Sant’Antonio a Padova. Quando la guerra terminò Ida si mise in contatto con la Brigata ebraica, un’organizzazione che si occupava di rintracciare gli orfani ebrei in Italia, e rimase insieme ai bambini fino a quando non furono imbarcati per raggiungere la Palestina.
Nel 1993 l’Istituto Yad Vashem ha riconosciuto Ida Brunelli Lenti Giusta fra le Nazioni.

Sicuramente Ida Brunelli Lenti non è una donna che ha fatto la Storia, e sicuramente il suo nome non è comparso e non comparirà mai in un libro di storia, infatti dubito che qualcuno al di fuori di Monselice conosca la sua storia, ma a me piaceva ricordare questa donna e far conoscere la sua storia. Se sono andata off-topic cancellate tranquillamente il messaggio.
 

Monica

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FRANCESCA DE GIOVANNI:la prima donna partigiana uccisa dalle brigate nere il 1 Aprile del '44.

Quello delle donne partigiane è un argomento che spesso è passato sotto silenzio,ma si stima che fossero più di 30.000
25 aprile, la Resistenza 'taciuta' delle donne: "Pesava il pregiudizio degli uomini" - Il Fatto Quotidiano

C'è un bellissimo libro di Miriam Mafai:pANE NERO ch eparla poi dell'eroismo delle donne comuni,lasciate sole dai mariti partiti per il fronte che affrontavano quotidianamente la miseria e la fame cercando di mandare avanti la famiglia.
 

bouvard

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Elena Lucrezia Corner Piscopia: la prima donna al mondo a laurearsi

Non tutti sanno che la prima donna al mondo a laurearsi è stata un’italiana: Elena Lucrezia Corner Piscopia dottore in Filosofia nel 1678 presso l’Università di Padova.

Elena Lucrezia nacque a Venezia in una famiglia patrizia nel 1646. In effetti patrizio e ricco, molto ricco, lo era solo suo padre Giovanbattista procuratore di San Marco, uno insomma che in quanto a potere al di sopra di sé aveva solo il Doge. Tutt’altra storia per quanto riguardava sua madre: una semplice popolana bresciana. Per questa ragione Elena Lucrezia e i suoi fratelli non poterono essere iscritti nel Libro d’Oro che elencava le famiglie patrizie veneziane e dava loro diritto ad una serie di privilegi.

A Giovan Battista non restò che comprare a suon di soldi la nobiltà per i figli maschi, mentre ad Elena Lucrezia - che aveva dimostrato fin da piccola notevolissime doti di apprendimento – impose di diventare la prima donna laureata al mondo. In questo modo secondo Giovanbattista la famiglia Corner avrebbe acquisito lustro imperituro.

Elena Lucrezia a 21 anni conosceva greco, latino, francese, inglese ed era in grado di discutere di filosofia e matematica passando indifferentemente da una all’altra lingua. Amava studiare, ed aveva un’autentica passione per la cultura e per la conoscenza. La sua passione non era quindi dettata dalle futili ambizioni che muovevano il padre, ma in quanto donna non aveva alcuna possibilità di opporsi alla sua volontà.

Si iscrisse perciò all’Università di Padova per laurearsi in Teologia. L’Università non fece obiezioni ad accettare la sua iscrizione, anche perché la sua preparazione era inconfutabile, a farle le obiezioni ci pensò invece Gregorio Barbarigo cardinale di Padova (divenuto in seguito Santo, è stato infatti canonizzato da papa Giovanni XXIII). Il cardinale sosteneva fosse “uno sproposito dottorare una donna” e che sarebbe stato un “renderci ridicoli agli occhi del mondo”. Queste frasi la dicono lunga su quanta considerazione avesse all’epoca la Chiesa delle donne. Non ci sono davvero parole.

Ne nacque una controversia durata otto anni e chiusa da un compromesso: ci sarebbe stata la laurea, ma non in Teologia bensì nella più “neutrale” Filosofia.

In effetti era italiana non solo la prima donna che si è laureata, ma le prime quattro: la seconda fu infatti Laura Bassi Verati laureatasi a Bologna nel 1732 in storia naturale e medicina e diventata poi la prima donna docente universitaria. La terza fu Cristina Roccati laureata in filosofia e fisica all'Università di Bologna nel 1751; la quarta fu Maria Pellegrina Amoretti, laureata a Pavia in giurisprudenza nel 1777 (in un secolo solo 4 donne, la cosa si commenta da sola); la prima straniera fu solo quinta: una spagnola.

A ricordare Elena Lucrezia a parte una statua all’Università di Padova, in tutta Italia ci sono tre strade ed una scuola elementare. Nient’altro. Nessuna aula universitaria, nessuna scuola superiore, nessun francobollo. A quanto pare essere la prima donna laureata al mondo in Italia non è motivo sufficiente per essere ricordati.
 

Meri

Viôt di viodi
MARY QUANT
Di sicuro un'impronta nella storia l'ha lasciata.

Dame Mary Quant (Blackheath, 11 febbraio 1934) è una stilista inglese, conosciuta in tutto il mondo come l'inventrice della minigonna.

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Ondine

Logopedista nei sogni
Tina Modotti

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Tina Modotti, all'anagrafe Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942), è stata una fotografa, attivista e attrice italiana.
È considerata una delle più grandi fotografe dell'inizio del XX secolo, nonché una figura importante e controversa del comunismo e della fotografia mondiale.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Gerda Taro

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Gerda Taro (Stoccarda, 1º agosto 1910 – Brunete, 26 luglio 1937) è stata una fotografa tedesca. Nota per i suoi reportage di guerra, è anche conosciuta per essere stata la compagna di Robert Capa e per aver stabilito con il fotoreporter ungherese un forte sodalizio professionale. La sua morte violenta a 27 anni, fu travolta da un carro armato in uno scenario di guerra, contribuì a mitizzarla come donna rivoluzionaria e coraggiosa che cadde per le proprie idee e per il suo lavoro.
 

qweedy

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ROSA PARKS (1913-2005)

Da umile sarta a leader afroamericana del movimento per i diritti civili.
Rosa Parks il 1° dicembre 1955 si rifiutò di lasciare il posto a sedere dell’autobus ad un altro passeggero bianco. Fu subito arrestata. Ma quel semplice gesto innescò una lunga e grande trasformazione...

Il 1º dicembre del 1955, a Montgomery, Rosa, allora sarta, stava tornando a casa in autobus e, poiché l'unico posto a sedere libero era nella parte anteriore del mezzo, quella riservata ai bianchi, andò a sedersi lì.
Poco dopo salirono sull'autobus alcuni passeggeri bianchi, al che il conducente James Blake le ordinò di alzarsi e andare nella parte riservata ai neri.
Rosa però si rifiutò di lasciare il posto a sedere e spostarsi nella parte posteriore del pullman: stanca di essere trattata come una cittadina di seconda classe (per giunta costretta anche a stare in piedi), ella rimase al suo posto.
Il conducente fermò così l'automezzo, e chiamò due poliziotti per risolvere la questione: Rosa Parks fu arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine.

Quella notte, cinquanta leader della comunità afro-americana, guidati dall'allora sconosciuto pastore protestante Martin Luther King si riunirono per decidere le azioni da intraprendere per reagire all'accaduto, mentre c'erano già state le prime reazioni violente: il giorno successivo incominciò il boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery, protesta che durò per 381 giorni; dozzine di pullman rimasero fermi per mesi finché non fu rimossa la legge che legalizzava la segregazione. Questi eventi diedero inizio a numerose altre proteste in molte parti del paese.

Nel 1956 il caso della signora Parks arrivò alla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, che decretò, all'unanimità, incostituzionale la segregazione sui pullman pubblici dell'Alabama.

Da quel momento, la Parks divenne un'icona del movimento per i diritti civili.

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qweedy

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Mi chiamo Rigoberta Menchù

Rigoberta Menchú Tum (Uspantàn, El Quichè, 9 gennaio 1959) è una contadina pacifista guatemalteca, che ha ricevuto nel 1992 il Premio Nobel per la Pace.

Nel suo libro, con l'aiuto dell'antropologa Elisabeth Burgos, Rigoberta racconta la sua vita, fin da bambina lavora come contadina nei latifondi di caffé, canna da zucchero e cotone; cresce tra discriminazione, sfruttamento, repressioni, ignoranza e desiderio di riscatto.

Raccontando la sua personale esperienza di vita, Rigoberta Menchù affronta le tematiche comuni a tutto il suo popolo, quali lo sfruttamento da parte dei proprietari terrieri e dei ladinos (ovvero i meticci, che derivano dall'unione degli indios con gli spagnoli), la sofferenza per la fame, i sacrifici dovuti affrontare nel tentativo di rivendicare i propri diritti, offrendoci uno scenario fatto di riti quotidiani, antiche credenze, piccoli gesti simbolici che ricollegano i guatemaltechi agli antichi Maya, loro antenati. La vita degli indigeni è incentrata sul rispetto nei confronti della natura; l'alimentazione è fatta di ciò che si coltiva, le abitazioni sono costruite di arbusti e gli animali sono componenti della famiglia. Il mais (la "milpa") è alla base dell'alimentazione guatemalteca.

Testimone della morte del suo fratellino e di sua madre e degli abusi dei militari ai danni dei campesinos, soffre con la sua gente il potere che il governo “bianco” esercita sul paese; a 20 anni è già nell’organizzazione sindacale del CUC (Comitato di Unità Contadina) comprende subito che la liberazione non può avvenire se non attraverso l’apprendimento della lingua, la nonviolenza, l’istruzione.

Il suo impegno politico, sociale e sindacale è per promuovere azioni per la prevenzione della discriminazione e la tutela della minoranze etniche degli indios e dei meticci del Guatemala.

Nel 1982 andò in esilio in Messico e lì continuò instancabilmente il suo lavoro di denuncia del Genocidio in Guatemala e cominciò anche la conoscenza profonda e la lotta all’interno della comunità internazionale a favore del rispetto e per il riconoscimento dei diritti dei Popoli Indigeni del Mondo.

Dal 1986 è membro del Consiglio dell’ONU per i diritti degli indios, partecipando alle sessioni annuali della Sottocommissione di Prevenzione delle Discriminazioni e Protezione delle Minoranze della commissione per i Diritti Umani dell’ONU.

Nel 1992 riceve il Nobel per la Pace.

“i popoli indigeni non devono essere più considerati manodopera a basso costo, oggetti di studio, nativi da catechizzare, soldati costretti ad assassinare la propria gente, cittadini di seconda classe”

“quando qualcuno si vergogna delle proprie radici o si sente superiore delle culture altrui, l’umanità fa un passo indietro”

“Non sono padrona della mia vita, e ho deciso di offrirla per una causa. Mi possono ammazzare in qualsiasi momento, purché sia a causa di qualcosa per cui so che il mio sangue non sarà inutile , ma sarà anzi di esempio per gli altri. La mia causa ha le radici nella miseria in cui vive il mio popolo”

P.S. Il libro l'ho letto molti anni fa, lo consiglio, è interessante perchè descrive un mondo molto diverso dal nostro.

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isola74

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FRANCA VIOLA fu la prima donna in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore, anno 1966.

(da Wikipedia)
All'epoca, la legislazione italiana, in particolare l'articolo 544 del
codice penale, recitava: "Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali", in altre parole ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto "matrimonio riparatore", contratto tra l'accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerata oltraggio alla morale e non reato contro la persona.

Per inciso, questo articolo fu abrogato solo nel 1981!

https://it.wikipedia.org/wiki/Franca_Viola
 

qweedy

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Sophie Magdalena Scholl - La Rosa Bianca

Monaco, 1943. Mentre la guerra di Hitler devasta l’Europa, un gruppo di coraggiosi giovani universitari decide di ribellarsi al nazismo e alla sua disumana macchina da guerra. Nasce così la "Rosa Bianca", un movimento di resistenza al Terzo Reich formato da un gruppo di studenti tedeschi che pagarono con la vita la loro opposizione al regime nazista.
Sophie Scholl è l’unica donna che si unisce al gruppo.

Sophie Magdalena Scholl (Forchtenberg, 9 maggio 1921 – Monaco di Baviera, 22 febbraio 1943) è stata un'antifascista tedesca, attivista del gruppo antinazista della "Rosa Bianca" ed emblema della ribellione non violenta al Reich.

Nel 1942 si iscrisse all'Università di Monaco, dove studiava anche suo fratello Hans e decise di aderire alla "Rosa Bianca" e come tale si occupò della preparazione dei volantini e della loro distribuzione.

Il 18 febbraio 1943 Hans e Sophie Scholl si recano all'Università con una valigia contenente 1500 copie del volantino, da distribuire clandestinamente. Dopo averli diffusi per i vari piani dell'edificio, Sophie dà una spinta ad una risma di volantini appoggiata sulla balaustra del secondo piano, che volano nell'atrio. Un impiegato dell'Università li nota e li ferma, portandoli dal rettore, senza che essi oppongano resistenza. Vengono arrestati.
Sottoposta per 4 giorni a interrogatorio da parte della Gestapo, fu riconosciuta colpevole di tradimento e processata insieme al fratello Hans e all'amico Christoph Probst, nel frattempo arrestato anche lui.

L'uomo della Gestapo che la interrogava le chiese:
« "... non si sente colpevole di aver diffuso e aiutato la Resistenza, mentre i nostri soldati combattevano a Stalingrado? Non prova dispiacere per questo?", e lei rispose:" No, al contrario! Credo di aver fatto la miglior cosa per il mio popolo e per tutti gli uomini. Non mi pento di nulla e mi assumo la pena!" »

I funzionari della Gestapo che interrogano Sophie rimangono sorpresi dal coraggio e dalla determinazione con cui la ragazza rivendica le proprie ragioni di dissenso dal nazismo e ammette le responsabilità sue e del fratello, che pure ha confessato, cercando di attribuirle interamente ad entrambi per scagionare gli altri membri della Rosa Bianca.

Il 22 febbraio 1943 i tre ragazzi furono condannati a morte dal Tribunale del Popolo presieduto dal giudice Roland Freisler e ghigliottinati lo stesso giorno nel cortile della prigione di Monaco Stadelheim.

Bellissimo il film del 2005 La rosa bianca - Sophie Scholl.

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qweedy

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ROBI DAMELIN - La giustizia del perdono
Le nostre lacrime hanno lo stesso colore

Robi Damelin, nata in Sudafrica nel 1945, trasferitasi in Israele nel 1967, ha perso nel marzo del 2002 il figlio David di 28 anni, tenente della riserva dell'esercito israeliano, ucciso a un check point da un giovane cecchino palestinese.

Robi Damelin fa parte del Parents Circle Families Forum – Palestinian Israeli Bereaved Families for Peace, un’associazione senza fini di lucro che raccoglie genitori e famiglie israeliane e palestinesi, colpite dalla morte di un figlio o altro parente stretto, in percorsi di incontro e riconciliazione.

Dopo la morte del figlio la Damelin ha intrapreso un lungo e simbolico viaggio: da Israele al Sudafrica e ritorno, passando per la Palestina.
In Sudafrica, paese che ha vissuto l’esperienza della Commissione per la Verità e Riconciliazione voluta da Nelson Mandela e Desmond Tutu, ha incontrato vittime e perpetratori del crimine di apartheid che, grazie alla Commissione, si sono avvicinati, conosciuti, parlati e in alcuni casi perdonati.
In Palestina, terra insieme vicina e lontana, ha conosciuto altri genitori, palestinesi, orfani come lei dei propri figli a causa del conflitto.

La giovane madre palestinese che ha perso un figlio ucciso dai soldati israeliani, esclama: "Anche tra cent'anni se incontrerò chi ha sparato a mio figlio lo ucciderò con le mie mani!" Ma una mano bianca e sottile si avvicina alle sue mani, le accarezza e una voce serena ma decisa afferma: "No, tu non ucciderai nessuno, perchè tu non sei un'assassina." E l'espressione di odio sul volto della mamma palestinese si scioglie in un dolce sorriso di assenso, malinconico e struggente.

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qweedy

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Norma Cossetto (1920 - 1943)

Giovane studentessa istriana, presa di mira dai partigiani per via del ruolo di spicco ricoperto dal padre nel fascismo istriano, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata viva in una foiba.

Qui la sua storia: http://normacossetto.blogspot.it/

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Vera Brittain

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Vera Brittain nacque nel 1883, unica figlia femmina di una famiglia benestante inglese, a Newcastle-under-Lyme, Inghilterra. Sin da ragazza si dimostro’ fortemente portata per lo studio, la ricerca e le attivita’ sociali. In un tipico ambiente edoardiano del ceto borghese anglosassone, la sua decisione di andare a studiare ad Oxford provoco’ non poche reazioni e perplessita’ in famiglia.
Il padre tuttavia le concesse di iscriversi al Somerville College di Oxford, dove Vera conobbe, nell’ambito delle amicizie universitarie di suo fratello Edward, il grande amore della sua vita, Ronald Leighton. Dopo qualche anno pervaso dalla spensieratezza e dall’ardore della passione nutrita sia per Roland che per la letteratura e le sperimentazioni di impegno sociale, Vera si scontro’ con la dura realta’ di una guerra mondiale che vide impegnati al fronte sia il fidanzato che il fratello. Il primo si uni’ al Reggimento Worcestershire, il secondo al Reggimento Sherwood Foresters.
Vera non rimase a guardare, ne’ ad aspettare, schiacciata dall’angoscia e dall’attesa spasmodica, qualche notizia dal fronte: si arruolo’ infatti nella Croce Rossa come aiutante volontaria (V.A.D. – Voluntary Aid Detachment). Come molte altre giovani donne della borghesia e anche dell’aristocrazia anglosassone, senti’ fortissimo il desiderio di impegnarsi nello sforzo bellico, dando allo stesso tempo voce e spessore ai primi moti di suffragio a favore delle donne.
Poco dopo il suo fidanzamento ufficiale con Roland Leighton, avvenuto durante una breve licenza nel 1915, quest’ultimo venne colpito a morte, durante un pattugliamento notturno nel settore di Lovencourt, Francia. Distrutta dal dolore Vera non si diede tuttavia per vinta e continuo’ a servire la Croce Rossa inglese curando personalmente anche il fratello Edward, ricoverato a Londra per ferite riportate durante la battaglia della Somme. Ristabilitosi, Edward Brittain torno’ al fronte, questa volta sull’Altopiano di Asiago, al seguito di un contingente della British Expeditionary Force concesso in aiuto all’Italia, dopo il grave arretramento del fronte nel novembre dell’anno prima.
Anche Nel 1918 Edward perse la vita nelle trincee del saliente di San Sisto e fu sepolto nel cimitero militare inglese di Granezza, tra Asiago e Lusiana. Molti altri amici di infanzia di Vera persero la vita in analoghe circostanze e, rimasta praticamente sola con i suoi ricordi, la giovane crocerossina inizio’ a concretizzare l’idea di pubblicare i diari personali, ricchi di testimonianze su quegli anni violenti e terribili.
Ben presto, nel 1933, Vera diede alle stampe il romanzo autobiografico “Testament of Youth” che, seguito da “Testament of Experience”, “Chronicle of youth” e “Letters from a Lost Generation” (quest’ultimo scritto “a quattro mani” con le lettere e testimonianze originali di amici di gioventu’ caduti in guerra), la consacro’ nel ruolo di scrittrice, acclamata anche oltreoceano.
Durante una lunga carriera politica, in veste di pacifista e femminista, Vera si adopero’ per la difesa dei piu’ deboli e delle donne anche durante e dopo il Secondo Conflitto Mondiale.
Si spense all’eta’ di 77 anni, nel 1970 e le sue ceneri vennero sparse sulla tomba del fratello Edward, nel cimitero militare inglese dov’e’ tutt’ora sepolto.
 
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qweedy

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"a volte non si pensa che se essere donna può essere difficile ai nostri giorni, in altri tempi - non così remoti - aveva addirittura del rivoluzionario... ammiro moltissimo queste donne così forti, caparbie, determinate. Chissà dove saremmo oggi senza di loro....!"

TAMARA DE LEMPICKA
Mosca 1898 – Cuernavaca 1980

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Impossibile riassumere la vita avventurosa di questa donna, che a San Pietroburgo, a una festa in maschera organizzata dagli Stifter, si presenta vestita da contadina polacca con un’oca al guinzaglio. In questa occasione incontra Tadeusz Lempicki, nobile avvocato polacco di ventidue anni, che diverrà il suo primo marito.
Fa abitualmente uso di cocaina, lavora febbrilmente, viaggia in tutta Europa, e anche negli Stati Uniti, a Cuba, in Egitto.
Incontra Marinetti in un locale a Parigi e decidono di andare a incendiare il Louvre, intenzione miseramente naufragata al commissariato, dove vanno a recuperare l’automobile della Lempicka rimossa perché parcheggiata in sosta vietata.
E' anche ospite di Gabriele D'Annunzio al Vittoriale, rifiutando i suoi continui tentativi di seduzione, e per questo lui non le consente di fargli il ritratto.

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Nel 1934 avviene il secondo matrimonio con il Barone Kuffner a Zurigo. Il matrimonio è per Tamara una sicura sistemazione sociale ed economica, della quale non ha peraltro bisogno in questo momento, perché “guadagna più di quanto riesce a spendere”, nonostante l’alto tenore di vita. Tra i due esistono accordi precisi, secondo i quali ognuno ha la massima libertà sessuale.
Come da sua volontà, il suo corpo viene cremato, e le ceneri vengono sparse dall'amico, conte Giovanni Agusta, sul vulcano Popocatepetl.

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Qui i suoi quadri:
https://www.tamara-de-lempicka.org/
 

qweedy

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"L'anima è nel cervello"

MARGHERITA HACK
Firenze 1922- Trieste 2013

Astrofisica, membro di prestigiose società fisiche e astrofisiche e dell’Accademia dei Lincei, è stata docente all’Università di Trieste e direttrice dell’Osservatorio Astronomico di Trieste dal 1964 al 1987, lavorando presso numerosi osservatori europei ed americani, pubblicando molti lavori, sia strettamente scientifici, sia dal taglio maggiormente divulgativo.
Un asteroide, l’8558 Hack, porta il suo nome, un omaggio in segno di apprezzamento per il suo rilevante contributo.

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Ma Margherita Hack non è e non è stata solo una scienziata; da sempre ha messo le proprie doti al servizio di battaglie morali, politiche, sociali.
Sensibile a tematiche quali la sofferenza umana, sostiene il diritto per i malati terminali all’eutanasia, quale strumento per alleviarne il dolore.

Animalista convinta, non mangia carne fin da quando era bambina, trovando “atroce” il fatto che si uccidano quotidianamente migliaia di animali.

Fortemente impegnata per il riconoscimento dei diritti giuridici e dell’unione civile delle coppie omosessuali: sempre in prima linea accanto a coloro i quali si sono trovati ad essere, a causa della società in cui viviamo, i più deboli.

E' atea, ritiene inoltre che l'etica non derivi dalla religione, ma da "principi di coscienza" che permettono a chiunque di avere una visione laica della vita, ovvero rispettosa del prossimo, della sua individualità e della sua libertà.

Sul tema della questione energetica Margherita Hack si è espressa a favore del nucleare spiegando che senza questa risorsa non si riuscirebbe a soddisfare il fabbisogno energetico mondiale. Ha però puntualizzato che "siccome è anche pericolosa bisogna affrontarla in maniera seria, non all'italiana".
 

qweedy

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Le Madri e Nonne di Plaza de Mayo


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Il 30 aprile 1977 per la prima volta 14 donne "ingenue, vecchie e molto addolorate" scendono nella Plaza de Mayo di Buenos Aires a chiedere ragione della sparizione dei loro figli; la polizia, chiamandole locas (pazze), tenta di sloggiarle intimando loro di "camminare". Così, camminando attorno alla piazza, inizia la lunga marcia delle Madres dei desaparecidos davanti alla Casa Rosada, sede della presidenza argentina. Una marcia attorno all'obelisco simbolo di Buenos Aires con il capo coperto da un fazzoletto bianco e in mano le foto e le immagini dei cari scomparsi.
Una marcia che non si arresta neanche di fronte alla dura repressione militare che uccide le fondatrici del movimento. Le Madri non si danno per vinte e ogni giovedì scendono sempre in piazza noncuranti delle manganellate e degli arresti della polizia che cerca ogni volta di disperderle invocando le norme sullo stato d'assedio che proibiscono gli assembramenti non autorizzati.

Si ritiene che tra il 1976 e il 1983 in Argentina siano scomparsi trentamila dissidenti, o sospettati tali.

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Una volta arrestati, i dissidenti politici venivano rinchiusi in luoghi segreti di detenzione, senza alcun processo, quasi sempre torturati, a volte per mesi.
Molti desaparecidos furono caricati a bordo di aerei militari – i cosiddetti vuelos de la muerte, voli della morte – sedati e lanciati nel Rio de la Plata, oppure gettati nell’Oceano Atlantico col ventre squarciato da una coltellata affinché i loro corpi fossero divorati dagli squali. Altri furono detenuti in centri clandestini, tra cui la scuola di addestramento della Marina Militare ESMA a Buenos Aires.

La maggior parte dei figli di "desaparecidos", nati quando le loro madri erano detenute illegalmente - e molte volte uccise subito dopo il parto - sono stati affidati a famiglie di militari, poliziotti o persone in qualche modo legate all'apparato repressivo della dittatura. Quei bambini sono oggi uomini e donne che non sanno di essere figli di desaparecidos, non sanno che le persone con cui sono cresciuti sono state molto spesso le responsabili dirette della morte dei loro veri genitori.

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E' stato trovato in Argentina il nipote n.128. E' una ricerca incessante che le Nonne di Plaza de Mayo ancora continuano a portare avanti per trovare quei bambini che, tra il 1976 e il 1983, furono sottratti dalla dittatura ai genitori (desaparecidos) e consegnati ad altre famiglie affinché non avessero mai contatto con le proprie famiglie di origine. Abuelas de Plaza de Mayo stima in 500 circa il numero dei bambini rubati alle loro famiglie. Così è stato trovato in questi giorni Marcos, figlio di Rosario del Carmen Ramos, che fu sottratto dal regime quando aveva poco meno di cinque mesi di vita.
 
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qweedy

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Ella Maillart (Ginevra 1903 – Chandolin 1997) è stata una delle maggiori scrittrici e fotografe di viaggio, velista e hockeista su ghiaccio svizzera.

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Donna dalla personalità poliedrica, si è distinta nei campi più disparati: nel 1919 fondò il primo club femminile di hockey su prato della Svizzera. Nel 1922/23 attraversò il Mediterraneo in vela e l'anno dopo fece parte della squadra svizzera di vela per i Giochi Olimpici di Parigi.

Dal 1930 iniziò a viaggiare, visitando Mosca, il Caucaso, il Turkestan, e poi la Cina per un reportage sulla Manciuria occupata dai giapponesi. Nel 1937/38 si recò in India, passando per la Turchia, l'Iran e l'Afghanistan.

Viaggiatrice inquieta attraverso le terre dell'Asia, scrittrice, giornalista, fotografa,
Ella Maillart ha dedicato tutta la sua vita a soddisfare un desiderio di conoscenza che le bruciava sotto la pelle, incapace di fermarsi se non per rivivere, quasi per raddoppiare le proprie avventure attraverso la scrittura; una scrittura essa stessa senza fronzoli letterari, scabra e rapidissima come la sua movimentata esistenza.

Nel giugno del 1939 parte dalla Svizzera alla volta dell'Iran in compagnia di Annemarie Schwarzenbach.
Al termine del loro itinerario, la Maillart scrive un libro che in italiano è tradotto con il titolo La via crudele. Due donne in viaggio dall'Europa a Kabul.

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"Questo desiderio, questa ricerca dell'assoluto sono probabilmente i motivi profondi che spingono ogni vero viaggiatore. Forse io sono uno di questi inguaribili viaggiatori" (A. Schwarzenbach).

E' il racconto di un viaggio lungo e sorprendente che due amiche, le scrittrici e viaggiatrici Ella Maillart e Annemarie Schwarzenbach, forte e serena la prima, fragile ed eternamente sofferente la seconda,intraprendono nell’estate del 1939, mentre in Europa si preannuncia l'apocalisse, a bordo di una Ford dall’Europa fino a Kabul, attraversando la valle di Bamiyan, dove visitano anche le due enormi statue di Buddha scolpite nelle pareti di roccia, distrutte nel 2001 dai talebani.


Durante il lungo viaggio, le due donne attraversarono i Balcani, la Turchia, navigarono nel Mar Nero fino a Trebisonda, in Iran visitarono il Kurdistan, le città di Tabriz e Teheran. Saranno le prime donne a seguire la via "del Nord", che passa da Herat per giungere in Afganistan, a contemplare i cieli stellati delle steppe asiatiche con l’auto insabbiata, ad emozionarsi alla veduta delle città sante, a inviare articoli alle rispettive redazioni giornalistiche, a smarrire la strada più di una volta e a incontrare altri viaggiatori lungo la strada per Kabul.
 

qweedy

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La passione di Artemisia

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Artemisia Gentileschi (Roma 1593 - Napoli 1652/53)
Prima di sei figli, tutti maschi, del pittore Orazio Gentileschi, che la istruì in tenerissima età alla pittura, seguace della maniera caravaggesca.

La prima tela attribuita alla diciassette Artemisia è Susanna e i vecchioni.

Nel 1612 ebbe inizio il processo per stupro subito dal pittore Augusto Tassi che si protrasse per diversi mesi, Artemisia aveva 15 anni e il suo insegnante, 32.

Oltre all'umiliazione dell' interrogatorio che mette in dubbio l'integrità e la sincerità della ragazza, la visita medica sotto lo sguardo di tutti, la giovane dovette confermare l'accusa subendo un ulteriore interrogatorio sotto tortura, che consistette nello schiacciamento dei pollici attraverso uno strumento usato ampiamente all'epoca: quando le legarono le cordicelle alle dita gridò al Tassi: Questo è l'anello che mi dai, e queste sono le promesse.

Il processo è vinto e Agostino è condannato a scontare una pena di alcuni anni in carcere.

La sua fama crescente la portò a Firenze, Napoli, Londra: tutte le corti europee ambiscono a incontrare la bellissima artista che ormai non viene considerata a livello inferiore di un uomo.

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Autoritratto
 

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IPAZIA D'ALESSANDRIA (370 – 415 d.C.)

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Astronoma, matematica e filosofa, erede della scuola alessandrina, fatta massacrare dal vescovo Cirillo per mettere a tacere la sua sete di sapere e la sua libertà di pensiero. Antesignana della scienza sperimentale, studiò e realizzò l'astrolabio, l'idroscopio e l'aerometro.


La scienziata Ipazia pagò con la vita la sua indipendenza dalle pressioni dei poteri religiosi dell'epoca e dalle invidie di chi voleva relegare le donne a ruoli di inferiorità.

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Ipazia vita e sogni di una scienzata del 4° secolo - prefazione di Margherita Hack



« Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale »
(Socrate Scolastico, cit., VII, 15)

Ipazia era nata ad Alessandria d’Egitto intorno al 370 d.C., figlia del matematico Teone. Fu barbaramente assassinata nel marzo del 415, vittima del fondamentalismo religioso, "cristiani dall'animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli.
 
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