Capitolo XXIII
Questi mini universi chiusi in se stessi sono piccoli laboratori di psicologia umana, in cui la Woolf sembra fare esperimenti sociali intrecciando personalità e storie.
Li apre e li richiude, donandoci ogni volta intensi spaccati di vita di relazione.
Prima c'è stato il laboratorio sulla nave Euphrosynes, poi l'isola e la villa, l'albergo, la gita sul Monte Rosa, la gita risalendo il fiume, gli incontri nelle camere, i colloqui nella foresta, i pensieri durante la celebrazione domenicale.
Ogni capitolo sembra un quadro animato, chiuso in se stesso, ma che a sua volta porta il lettore ad entrare sempre più a fondo nell'animo non solo dei personaggi ma anche dell'epoca in cui vivono.
Tutto è regolato da regole rigidissime, dove anche le trasgressioni appaiono contenute e imbrigliate.
E' un romanzo declinato al femminile, perché i personaggi femminili dominano sempre la scena.
Ma incredibile come sia maschilista, perché le donne sono ingessate nel loro ruolo, quello che la società maschilista destina loro.
Mi chiedo se c'è nella Woolf un intento di denuncia e sarcasmo, o se è una sua lotta personale di emancipazione, quindi una denuncia ancora allo stato embrionale, perché manca ancora di una reale consapevolezza.
Spero che la prefazione, che leggo sempre alla fine di ogni libro per principio, mi aiuti a capire.
Comunque è veramente tutto così squisitamente "inglese" e borghese.
Gli ultimi capitoli, dal fidanzamento di Rachel con Terence mi sono risultati più faticosi, la vivisezione di ogni minima increspatura dell'animo dei due innamorati mi rimane a tratti poco chiara e artificiosa. Tutto mi sembra sfocato, come se fosse rimasto nella trama l'atmosfera appicicosa e soffocante della dichiarazione nella foresta.
Francesca