Opera complessa, fortemente innovativa nel panorama letterario italiano d’allora. La tecnica dell’impersonalità, cioè la riproduzione quanto più possibile accurata della mentalità e del parlato popolare, permette all’autore di “scomparire” quasi nel libro, come se questo, secondo i canoni del Verismo, si fosse fatto da sé.
Il che in effetti è solo un’illusione, perché anche le scelte apparentemente più distaccate di un artista sono sempre scelte, e qualsiasi forma egli decida di dare ad un’opera questa è pur sempre un frutto del suo modo, necessariamente soggettivo, di vedere le cose. Così, nonostante Verga sembri limitarsi a registrare impassibilmente la storia dei Malavoglia e di Aci Trezza, vengono fuori il suo pessimismo di fondo, la sua sfiducia nello istituzioni statali ma anche nelle idee politiche più “di sinistra” (lo speziale è sì repubblicano, ma è un inconcludente che si limita a predicare e ha paura anche della moglie), e contemporaneamente la sua profonda pietà per i “vinti” dalla vita e la sua fede in un unico valore superstite: quello del focolare, degli affetti domestici, del pascoliano “nido”. La “colpa” del giovane ‘Ntoni, il vero vinto del romanzo, è proprio quella di aver abbandonato la famiglia.
Ma nonostante ciò egli è il personaggio più interessante del romanzo secondo me, e forse il più “sentito” da Verga, perché in lui vive potentemente la disperazione di chi non ha nulla e si vede costretto a lavorare tutta la vita per rimanere sempre povero. E davvero il libro è la tragedia della povera gente, tanto più flagrante proprio perché registrata da Verga con apparente imparzialità e freddezza, sia quando è la natura ad accanirsi contro gli sventurati Malavoglia, sia quando sono gli uomini (gli avari creditori e ancor di più quello Stato che porta Luca a morire combattendo dei nemici che ad Aci Trezza “non si sapeva neanche chi fossero” e poi si “dimentica” di avvertire la sua famiglia).
Un limite del libro potrebbe essere questo accanimento un po’ eccessivo della malasorte contro i protagonisti, come pure l’uso smodato dei proverbi e le descrizioni forse un po’ troppo lunghe e dettagliate delle piccole beghe del Paese, specie quelle fra comari.
Ma nel complesso il tono non è monotono, anzi Verga sa toccare corde di grande liricità nei personaggi di Mena ed Alfio e di profonda commozione umana per i due ‘Ntoni e la Longa.
Libro non semplice ma molto bello.