Diritti umani e pena di morte

qweedy

Well-known member
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Da Amnesty International Italia:

Oggi è morto Luis Sepulveda. Il suo impegno per i diritti umani è stato sempre grande e instancabile. Le sue parole sono un patrimonio comune. Ecco quelle che ci ha dedicato 20 anni fa ricordando l'impegno della nostra associazione per la sua liberazione al tempo della persecuzione del regime di Pinochet.

"Venti anni fa, mi sono fermato davanti alla porta di una casa ad Amburgo. Lì viveva una persona di cui conoscevo appena il nome, Ute Klemmer e, nonostante avessi ricevuto da lei una dozzina di lettere, nel risponderle non mi era mai capitato di chiederle l’età o se avesse una famiglia. Stavo per conoscerla e per questo non dovevo fare altro che suonare il campanello, però una forza poderosa mi impediva di alzare la mano. Era una forza che mi obbligava a rivedere I dettagli della mia vita che mi avevano portato fino a lì.
Nessuno è capace di precisare quale sia la cosa peggiore del carcere, dell’essere prigioniero di una dittatura, di qualunque dittatura, e nemmeno io posso indicare se il peggio di tutto ciò che ho dovuto sopportare sia stata la tortura, I lunghi mesi di isolamento in una fossa che mi appestava, il non sapere se fosse giorno oppure notte, l’ignorare da quanto tempo stessi nelle mani degli sbirri di Pinochet, I simulacri di fucilazione, I compagni morti o la denigrazione costante e sistematica. Tutto è peggio in carcere, e ricordo specialmente un momento in cui I militari quasi ottennero ciò che volevano: che accettassi volontariamente di essere annichilito e condannato all’atroce solitudine degli sconfitti.
Al termine di un processo sommario del tribunale militare in tempo di guerra, tenuto a Temuco nel febbraio 1975 e nel quale fui accusato di tradimento della patria, cospirazione sovversiva e appartenenza a gruppi armati, insieme ad altri delitti, il mio difensore d’ufficio (un tenente dell’esercito cileno) uscì dalla sala dove si celebrava il processo senza la presenza di noi accusati – che aspettavamo in una stanza vicina – e con gesti euforici mi informò che era andato tutto bene per me: ero riuscito a liberarmi della pena di morte e in cambio mi si condannava solamente a ventotto anni di prigione.
Allora io ero un uomo giovane, avevo venticinque anni e non seppi come reagire quando, dopo un calcolo elementare, scoprii che avrei recuperato la libertà a cinquantatrè anni.
E’ anche certo che allora ero un ottimista a oltranza – ancora lo sono – e mi ripetevo che la dittatura non sarebbe durata tanto, ma alle volte, soprattutto durante le lunghe notti, la ragione si imponeva e cominciai ad accettare che forse la dittatura sarebbe stata lunga, molto lunga, e che avrei perso I migliori anni della mia vita tra I muri del carcere.
I compagni, le lettere della famiglia e di alcuni amici mi davano coraggio, anche se non smettevano di ripetermi che per disgrazia non potevano fare più niente per aiutarmi e che l’unica cosa importante era che io fossi vivo. Si. Ero vivo, però la vita cominciò ad avere un terribile sapore di solitudine di fronte all’ingiustizia fino a che, una mattina, un soldato mi consegnò una lettera. La aprii e dopo averla letta seppi che, a migliaia di chilometri di distanza, ad Amburgo, c’era una persona, Ute Klemmer, che era disposta ad aiutarmi fino a tirarmi fuori dalla prigione.
Così iniziò uno scambio epistolare che rese meno brutali I giorni della segregazione. Nelle sue lettere, Ute mi parlava degli sforzi della sezione amburghese di Amnesty International per aiutare I numerosi cileni che si trovavano in condizioni simili alla mia, e le descrizioni della sua città e delle centinaia di atti di solidarietà ai quali assisteva, portavano brezze di libertà fino al carcere di Temuco.
Un giorno nel 1977, grazie al lavoro, alla costanza dei membri di Amnesty International, ottenni che I militari cileni rivedessero il mio caso e alla fine mi cambiarono I venticinque anni di prigione con otto di esilio, che in realtà e a dimostrazione del rispetto dei militari cileni per la giustizia, si prolungarono a sedici lunghi anni senza poter calpestare la terra cilena.
Per questo, detto in maniera più semplice, devo la mia libertà ad Amnesty International, alle sigle di AI, a Ute Klemmer e a tutte e tutti coloro che in tanti paesi lavorano instancabilmente in difesa dei diritti umani, in difesa dei perseguitati in tutti gli angoli del pianeta.
Quella mattina, ad Amburgo, quando ho avuto finalmente la forza, ho alzato la mano e suonato il campanello. Dopo pochi secondi, si è aperta la porta e mi sono trovato di fronte una ragazza dall’aspetto molto fragile.
– Vive qui Ute Klemmer?-, ho chiesto.
– Si. Sono io -.
Quindi ho preso le sue mani e le ho detto “GRAZIE”.
Grazie per la mia libertà e per la libertà di tanti. Grazie per quella forza, per quella coerenza, per quella determinazione nella lotta, per quella generosità che esalta l’essere umano. E oggi, come faccio da ventanni, ripeto quel “Grazie” nell’unico modo possibile: partecipando a tutte le azioni di Amnesty International e invitando I miei lettori e amici ad appoggiare gli sforzi di Amnesty International, l’unica istituzione che vegli per la dignità umana, per il diritto fondamentale alla giustizia e per il dovere di coscienza di opporsi alle tirannie.
Ad Amnesty International tutta la mia gratitudine, la mia ammirazione e la sempre presente disposizione a collaborare in tutto quanto sia necessario.
Un abbraccio fraterno alla sezione italiana di Amnesty International."
 

Shoshin

Goccia di blu
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Da Amnesty International Italia:

Oggi è morto Luis Sepulveda. Il suo impegno per i diritti umani è stato sempre grande e instancabile. Le sue parole sono un patrimonio comune. Ecco quelle che ci ha dedicato 20 anni fa ricordando l'impegno della nostra associazione per la sua liberazione al tempo della persecuzione del regime di Pinochet.

"Venti anni fa, mi sono fermato davanti alla porta di una casa ad Amburgo. Lì viveva una persona di cui conoscevo appena il nome, Ute Klemmer e, nonostante avessi ricevuto da lei una dozzina di lettere, nel risponderle non mi era mai capitato di chiederle l’età o se avesse una famiglia. Stavo per conoscerla e per questo non dovevo fare altro che suonare il campanello, però una forza poderosa mi impediva di alzare la mano. Era una forza che mi obbligava a rivedere I dettagli della mia vita che mi avevano portato fino a lì.
Nessuno è capace di precisare quale sia la cosa peggiore del carcere, dell’essere prigioniero di una dittatura, di qualunque dittatura, e nemmeno io posso indicare se il peggio di tutto ciò che ho dovuto sopportare sia stata la tortura, I lunghi mesi di isolamento in una fossa che mi appestava, il non sapere se fosse giorno oppure notte, l’ignorare da quanto tempo stessi nelle mani degli sbirri di Pinochet, I simulacri di fucilazione, I compagni morti o la denigrazione costante e sistematica. Tutto è peggio in carcere, e ricordo specialmente un momento in cui I militari quasi ottennero ciò che volevano: che accettassi volontariamente di essere annichilito e condannato all’atroce solitudine degli sconfitti.
Al termine di un processo sommario del tribunale militare in tempo di guerra, tenuto a Temuco nel febbraio 1975 e nel quale fui accusato di tradimento della patria, cospirazione sovversiva e appartenenza a gruppi armati, insieme ad altri delitti, il mio difensore d’ufficio (un tenente dell’esercito cileno) uscì dalla sala dove si celebrava il processo senza la presenza di noi accusati – che aspettavamo in una stanza vicina – e con gesti euforici mi informò che era andato tutto bene per me: ero riuscito a liberarmi della pena di morte e in cambio mi si condannava solamente a ventotto anni di prigione.
Allora io ero un uomo giovane, avevo venticinque anni e non seppi come reagire quando, dopo un calcolo elementare, scoprii che avrei recuperato la libertà a cinquantatrè anni.
E’ anche certo che allora ero un ottimista a oltranza – ancora lo sono – e mi ripetevo che la dittatura non sarebbe durata tanto, ma alle volte, soprattutto durante le lunghe notti, la ragione si imponeva e cominciai ad accettare che forse la dittatura sarebbe stata lunga, molto lunga, e che avrei perso I migliori anni della mia vita tra I muri del carcere.
I compagni, le lettere della famiglia e di alcuni amici mi davano coraggio, anche se non smettevano di ripetermi che per disgrazia non potevano fare più niente per aiutarmi e che l’unica cosa importante era che io fossi vivo. Si. Ero vivo, però la vita cominciò ad avere un terribile sapore di solitudine di fronte all’ingiustizia fino a che, una mattina, un soldato mi consegnò una lettera. La aprii e dopo averla letta seppi che, a migliaia di chilometri di distanza, ad Amburgo, c’era una persona, Ute Klemmer, che era disposta ad aiutarmi fino a tirarmi fuori dalla prigione.
Così iniziò uno scambio epistolare che rese meno brutali I giorni della segregazione. Nelle sue lettere, Ute mi parlava degli sforzi della sezione amburghese di Amnesty International per aiutare I numerosi cileni che si trovavano in condizioni simili alla mia, e le descrizioni della sua città e delle centinaia di atti di solidarietà ai quali assisteva, portavano brezze di libertà fino al carcere di Temuco.
Un giorno nel 1977, grazie al lavoro, alla costanza dei membri di Amnesty International, ottenni che I militari cileni rivedessero il mio caso e alla fine mi cambiarono I venticinque anni di prigione con otto di esilio, che in realtà e a dimostrazione del rispetto dei militari cileni per la giustizia, si prolungarono a sedici lunghi anni senza poter calpestare la terra cilena.
Per questo, detto in maniera più semplice, devo la mia libertà ad Amnesty International, alle sigle di AI, a Ute Klemmer e a tutte e tutti coloro che in tanti paesi lavorano instancabilmente in difesa dei diritti umani, in difesa dei perseguitati in tutti gli angoli del pianeta.
Quella mattina, ad Amburgo, quando ho avuto finalmente la forza, ho alzato la mano e suonato il campanello. Dopo pochi secondi, si è aperta la porta e mi sono trovato di fronte una ragazza dall’aspetto molto fragile.
– Vive qui Ute Klemmer?-, ho chiesto.
– Si. Sono io -.
Quindi ho preso le sue mani e le ho detto “GRAZIE”.
Grazie per la mia libertà e per la libertà di tanti. Grazie per quella forza, per quella coerenza, per quella determinazione nella lotta, per quella generosità che esalta l’essere umano. E oggi, come faccio da ventanni, ripeto quel “Grazie” nell’unico modo possibile: partecipando a tutte le azioni di Amnesty International e invitando I miei lettori e amici ad appoggiare gli sforzi di Amnesty International, l’unica istituzione che vegli per la dignità umana, per il diritto fondamentale alla giustizia e per il dovere di coscienza di opporsi alle tirannie.
Ad Amnesty International tutta la mia gratitudine, la mia ammirazione e la sempre presente disposizione a collaborare in tutto quanto sia necessario.
Un abbraccio fraterno alla sezione italiana di Amnesty International."

Grazie per questa condivisione.
Lascio qui la testimonianza commossa
di Ilide Carmignani,traduttrice dei libri di Sepulveda
in italiano.

https://youtu.be/6AWk7eTaVgw
 

qweedy

Well-known member
I sommersi e i salvati

Mi disturba molto che i nostri parlamentari abbiano approvato di nuovo il finanziamento alla guardia costiera libica, continuando a voltare il capo davanti agli orrori dei centri di detenzione libici.

La scorsa settimana, il 16 luglio, per il quarto anno consecutivo, la Camera dei Deputati ha approvato il finanziamento della missione italiana in Libia, che prevede in particolare il sostegno economico alla cosiddetta guardia costiera libica e l’attività di formazione e addestramento dei suoi componenti. La guardia costiera libica è quella che non soccorre chi fa naufragio e che riporta i sopravvissuti nei centri di detenzione.

Gli uomini, le donne e i bambini che prendono il mare dalle coste libiche fuggono da situazioni di estrema miseria, regimi dispotici, persecuzioni tribali, conflitti etnici, guerre e catastrofi ambientali. E in Libia sono rinchiusi nei centri, governativi e non, in mano a milizie e trafficanti e sono sottoposti a violenze, estorsioni, detenzione, sevizie, stupri e torture. Queste strutture vanno chiuse.

Mediterranea Saving Humans, Ero straniero - L'umanità che fa bene, Amnesty e altri, per non tacere, hanno lanciato un appello, che è possibile firmare qui: https://forms.gle/PgQSWiwyiLXnAiF57, e organizzato un'evento lunedì 27 luglio alle 18 in piazza San Silvestro a Roma per chiedere al Governo italiano e all'Unione Europea di:

- Azzerare i fondi alla guardia costiera libica

- Evacuare e chiudere i centri di detenzione in Libia

- Aprire corridoi umanitari per garantire alle persone in fuga di trovare protezione senza mettere a repentaglio la propria vita.


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Il logo della mobilitazione e dell'appello è di Carmelo Magnafico, in arte Stabilo ("C'è un cadavere alla deriva, da settimane, su un gommone sgonfio, in balia dei pesci. Mi hanno chiesto un'immagine per questa mobilitazione. Ho disegnato quello che è, un povero Cristo, solo, abbandonato, dimenticato. Questo schifo deve finire")

Per firmare l'appello: https://forms.gle/PgQSWiwyiLXnAiF57
 

Shoshin

Goccia di blu
Il diritto dei più forti

Se n'è andata Timtik Ebru.
La sua unica arma era quella della parola,
la parola che si fa pane per nutrire
i deboli .
Timtik è morta di fame.
Fame di un mondo che non sa accogliere
pensieri di giustizia ed equità.




Lo straordinario ricordo che Fausto Gianelli fa dell'avvocata Ebru Timtik.

Oggi, dopo 238 giorni di sciopero della fame, è morta l'avvocata Ebru Timtik. Era stata arrestata insieme a centinaia di altri colleghi per il suo impegno nella difesa dei diritti civili in Turchia. Ho incontrato Ebru lo scorso ottobre, durante una missione in Turchia. Mi aveva nominato suo difensore consentendomi di entrare nella prigione di Silivri (il più grande carcere d'Europa, perchè sì: Istanbul e Silivri si trovano in Europa) e parlare con lei per 30 minuti. Proprio quel giorno le avevano notificato la decisione della Corte d'Appello che confermava la condanna a suo carico per 13 anni e mezzo di carcere dopo un processo farsa. Mi raccontò i soprusi quotidiani della vita in carcere e, quando i secondini vennero a interrompere il nostro colloquio, mi salutò con uno splendido sorriso, dicendomi di stare tranquillo perchè nemmeno in prigione avrebbe smesso di lottare. A febbraio, in protesta contro le condizioni carcerarie e le violazioni dei diritti di cui era stata vittima nel corso del suo assurdo processo, era entrata in sciopero della fame insieme al collega Aytaç Ünsal. Sono stati inutili gli appelli ai giudici e alle autorità turche, l'ultimo dei quali pubblicato domenica. Il 14 agosto la Corte di cassazione turca ha respinto il ricorso per la liberazione di Ebru (ridotta a pesare 30 kg.), dichiarando che non c'erano prove che fosse in pericolo di vita o che ci fossero rischi per la sua incolumità fisica. Oggi Ebru ci ha lasciato e vorrei ricordarla con una foto che la ritrae in toga, in strada, ad una manifestazione di avvocati turchi in difesa di alcuni assistiti arrestati dal regime turco. Che la terra ti sia lieve, compagna. No, non smetteremo di lottare.
 

qweedy

Well-known member
Come i musicisti del Grup Yorum, Helin Bolek e Ibrahim Gokcek, morti tra aprile e maggio scorsi, e Mustafa Kocak, loro sostenitore, anche Timtik Ebru si è spenta di protesta.

Non so dove abbia potuto trovare la forza, le era rimasto solo il suo corpo per portare avanti la sua battaglia, per chiedere “un giusto processo”. Aveva deciso di non accettare più il cibo per accendere i riflettori sullo stato della giustizia in Turchia e per rivendicare un processo equo.

Si colpiscono gli avvocati per limitare il diritto alla difesa degli oppositori: i legali hanno paura di difenderli se poi vengono accusati degli stessi reati.

Con lei protesta il collega Aytac Unsal, in sciopero della fame da febbraio, ricoverato in ospedale in condizioni considerate critiche dallo scorso fine settimana.

L'Unione Europea ha criticato il governo turco e il sistema che ha ucciso la donna. La commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatovic, ha affermato che "la morte dell'avvocatessa Ebru Timtik è la tragica illustrazione delle sofferenze umane che sta causando il sistema giudiziario turco che si sta trasformando in uno strumento per zittire avvocati, difensori dei diritti umani e giornalisti, attraverso una negazione sistematica dei principi più basici dello stato di diritto".
 

zanblue

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Come i musicisti del Grup Yorum, Helin Bolek e Ibrahim Gokcek, morti tra aprile e maggio scorsi, e Mustafa Kocak, loro sostenitore, anche Timtik Ebru si è spenta di protesta.

Non so dove abbia potuto trovare la forza, le era rimasto solo il suo corpo per portare avanti la sua battaglia, per chiedere “un giusto processo”. Aveva deciso di non accettare più il cibo per accendere i riflettori sullo stato della giustizia in Turchia e per rivendicare un processo equo.

In Turchia con Erdogan attualmente non c'e' giustizia ma dittatura allo stato puro.
Essere arrestati e' facilissimo, e nel caso capitasse, ci si puo' scordare dei propri diritti.Non ti puoi difendere in nessun modo.
 

qweedy

Well-known member
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A una settimana dalla morte della collega e amica Ebru Timtik seguita a 238 giorni di sciopero della fame nelle carceri turche, l'avvocato Aytac Unsal, anch'egli difensore degli oppositori politici, è stato liberato grazie alla fortissima mobilitazione della comunità internazionale.
Aytac è ormai ridotto a poche decine di chili dopo 213 giorni di digiuno, non riesce a camminare, il suo fisico è gravemente minato dal digiuno di protesta.
La sua scarcerazione in extremis è certamente un'ottima notizia.
Ma non cancella l'orrore e la profonda ingiustizia della negazione dei diritti umani nella Turchia di Erdogan.
 

Shoshin

Goccia di blu
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A una settimana dalla morte della collega e amica Ebru Timtik seguita a 238 giorni di sciopero della fame nelle carceri turche, l'avvocato Aytac Unsal, anch'egli difensore degli oppositori politici, è stato liberato grazie alla fortissima mobilitazione della comunità internazionale.
Aytac è ormai ridotto a poche decine di chili dopo 213 giorni di digiuno, non riesce a camminare, il suo fisico è gravemente minato dal digiuno di protesta.
La sua scarcerazione in extremis è certamente un'ottima notizia.
Ma non cancella l'orrore e la profonda ingiustizia della negazione dei diritti umani nella Turchia di Erdogan.



Volevo parlarvi di me perché penso che vi interessi il motivo che porta un avvocato a fare lo sciopero della fame. Nella mia storia personale sono racchiuse le ragioni per cui un legale ha scelto di incamminarsi verso la morte. Purtroppo è una storia che riguarda in realtà tutti noi.

[…] Ho avuto la fortuna di avere come madre una magistrata. Essere consapevoli del meccanismo giudiziario sin dall’infanzia è un buon modo per imparare l’importanza dei diritti e della giustizia. Ma ho conosciuto anche l’ingiustizia da bambino: c’erano differenze in classe, c’erano differenze con le persone più povere delle città in cui ho vissuto.

[…] Quando mi sono trasferito ad Ankara per studiare all’università, la maggior parte degli studenti della facoltà di giurisprudenza erano figli di famiglie benestanti. Erano lontanissimi dalla realtà dei milioni di poveri che avevo conosciuto trasferendomi in molte città della Turchia per motivi di lavoro dei miei.

Sapete quando nei film turchi si usa l’espressione “persone di un altro mondo?” Erano proprio quelle lì. Le loro giornate e i loro problemi erano troppo diversi da ciò che avevo visto. Non mi sentivo a mio agio e non ero felice.

Ero abituato al rapporto con la gente umile: aperto, sincero, caloroso. Da bambino ho imparato a considerare solo ciò che fosse giusto, senza pregiudizi, sapendo ridere e soffrendo con chiunque. All’università cercavo nelle persone i valori dei miei amici di infanzia, ma mi sentivo come se fossero improvvisamente scomparsi.

Poi sono entrato in contatto con l’Ufficio legale popolare, e li ho realizzato che quelle persone oneste in realtà erano ovunque. Milioni e milioni: li ho trovati di nuovo, li ho trovati nella resistenza di Cansel Malatyalı a cui ho partecipato. Li ho conosciuti con i lavoratori di Kazova. Li ho visti nella miniera di Kınıklı. Li ho trovati in Didem, mia cara moglie, anche lei avvocata dell’Ufficio legale popolare. Dopo averli trovati di nuovo, non li ho mai lasciati soli.

Non ho mai lasciato indietro le persone più vulnerabili. Ho vissuto i momenti più felici della vita mentre difendevo i più deboli nei tribunali. Grazie al mio lavoro di avvocato ho conosciuto il valore della vita e delle singole persone. L’ufficio legale popolare mi ha insegnato la vita in termini reali.

[…] Ora mi stanno costringendo a rinunciare a tutto questo. Dicono che non puoi difendere gli operai, gli abitanti del villaggio, la gente dell’Anatolia. Dicono che non puoi essere un avvocato presso l’Ufficio legale popolare. Dicono che non puoi vedere Didem per i prossimi dieci anni e mezzo. Stanno cercando di mettere al bando le persone, il paese, il mio amore, la mia professione.

Ma queste non sono cose senza valore a cui puoi semplicemente rinunciare. Non è abbastanza semplice dire “Beh, non c’è niente da fare.” Io non rinuncerò mai alla mia gente, all’Anatolia, che mi ha insegnato la vita, che mi ha reso umano con il suo sforzo. Morirò ma non mi arrenderò.

Questa è la storia del mio viaggio. Resisterò alla morte come Mustafa Koçak e come İbrahim Gökçek che è morto pesando 30 chili. Fanno parte della mia famiglia già da quando eravamo bambini. Io sono stato loro avvocato fin dall’infanzia. Morirò, ma non smetterò mai di difenderli!

Aytaç Ünsal


Dalla prigione di Balikesir


Ecco come il coraggio e la cultura della vita si intrecciano a formare il ricamo prezioso della giustizia...
 

Shoshin

Goccia di blu
Oggi Liliana Segre ha compiuto novant'anni.
Una lunga vita che per noi deve rappresentare
un tesoro inestimabile...

https://m-huffingtonpost-it.cdn.amp...barbarie-assoluta_it_5f59b8adc5b62874bc185318



https://www-open-online.cdn.ampproj...9/10/colleferro-omicidio-willy-liliana-segre/

E oggi ha voluto parlare del giovane Willy,ucciso alcuni giorni fa.


"Ucciso senza un perché"era stato scritto ieri sul web.
E questa frase mi è rimasta impressa.
Mi si è aggrovigliata dentro.
Senza un perché ...perché si deve morire a vent'anni?
Esiste un perché che possa giustificare tutto
questo male ,tutto l'odio feroce che ha spinto un branco di delinquenti a spezzare la schiena e i sogni di un ragazzo .
Le parole di Liliana Segre devono essere ascoltate.Devono essere portate sui banchi delle scuole,nelle case,per le strade.
Perché si possa ripensare alla vita con uno sguardo diverso.
Finché c'è tempo.
 
Ultima modifica:

qweedy

Well-known member
Oggi si è celebrato il funerale di Willy Monteiro Duarte.
L’ultimo a pagare con la vita il clima d’odio di questo paese.

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*Illustrazione di Gianluca Costantini da Amnesty International - Italia

La mamma Lucia Monteiro alla camera ardente, senza mai smettere di tenergli la mano, ha pronunciato con la voce tremante parole che sono di una forza e di una dignità nel dolore sconvolgenti.
“Mi hanno portato via mio figlio in modo orribile. Gli hanno fatto male, tanto male. Picchiato in maniera selvaggia. Avrà sofferto, chissà quanto. E lui che non poteva fare niente, a terra, indifeso. Lui aveva tanto da vivere.
Non cerchiamo vendetta, vogliamo solo giustizia. Crediamo nei giudici e a loro chiediamo di farla. Diamo un senso alla sua morte. A nessuno, mai, deve capitare in futuro quello che è accaduto a lui.”
Nessuna vendetta, solo giustizia. Una parola enorme, specie se pronunciata da chi avrebbe tutto il diritto di dire altro.
 

Shoshin

Goccia di blu
Gli assassini che qualche giorno fa hanno ucciso un giovane buono e tranquillo
hanno commesso un delitto contro l' umanità,
quella parte di umanità senza macchia,onesta,pulita,che vive
come faceva Willy, che esprimeva sé stesso e la sua giovinezza con
quel sorriso aperto e sincero di chi ha fiducia negli altri.
Io spero che durante il processo sia davvero raccontata tutta la verità, e che la stessa urli verso la Corte la necessità di una pena severissima e definitiva,per questi ragazzi così crudeli,che hanno fatto della loro vita un deserto arido ,vuoto,ed inutile,dove non c'è spazio per la fioritura di sogni e speranze...
E dove adesso,sola,resta una lacrima triste caduta dagli occhi di Willy.

Forse fra tanti anni questi uomini potranno tornare nel loro
deserto e restare in silenzio accanto al dolore che hanno procurato
a chi amava Willy,e credeva nei suoi sogni e nelle sue possibilità di raggiungerli.
Chissà...un giorno,forse.Ma non sono tanto sicura.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Gli assassini che qualche giorno fa hanno ucciso...
Chissà...un giorno,forse.Ma non sono tanto sicura.

Nemmeno io.
È se nella vita hai avuto a che fare con i delinquenti, quelli veri, quelli che anche con le mani sporche di sangue continuano a twittare stupidaggini, vien voglia di gettare la spugna e abbandonarli a un boia e buona notte.
 

qweedy

Well-known member
Nemmeno io.
È se nella vita hai avuto a che fare con i delinquenti, quelli veri, quelli che anche con le mani sporche di sangue continuano a twittare stupidaggini, vien voglia di gettare la spugna e abbandonarli a un boia e buona notte.

Le persone possono cambiare, ma il pentimento è un percorso lungo che implica un cambiamento profondo e doloroso. Se avviene, non avviene certo il giorno dopo.
Delinquenti non si nasce, si diventa.
 

Shoshin

Goccia di blu
Le persone possono cambiare, ma il pentimento è un percorso lungo che implica un cambiamento profondo e doloroso. Se avviene, non avviene certo il giorno dopo.
Delinquenti non si nasce, si diventa.


Hai ragione qweedy,il pentimento è un lungo cammino di pellegrinaggio dentro se stessi,talvolta può essere dolorosissimo.
Avvertire il peso di quello che si è commesso,e attraversare la soglia del dolore che si è provocato negli altri può essere un banco di prova difficile ma necessario al cambiamento profondo.
Nel caso di questi sciagurati ragazzi,aridi e vili al punto di uccidere per mettere alla prova le loro "abilità "nell'arte del combattimento ,tradendo di fatto la nobiltà del gesto atletico,che si ferma alla rappresentazione agonistica e non travalica mai questo confine,
io credo ci vorrà un tempo lunghissimo di lavoro su se stessi.
E spero che non mancherà il sostegno di psicologi e psicoterapeuti.
Dovremmo addentrarci nei meandri della realtà carceraria che spesso non è in grado di sostenere questi percorsi,trascinando i detenuti,in particolare questo tipo di detenuti,in una deriva ancora più pericolosa.
Voglio sperare che questi delinquenti riusciranno a capire che la forza di un essere umano sta tutta nell'equilibrio e nel senso del rispetto assoluto degli altri.
Voglio sperare che un giorno,diventati uomini,possano sentire nel profondo del cuore vergogna e riprovazione per l'assurdo gesto commesso,e pietà per quel sorriso buono che hanno cancellato per sempre.
Io spero che un giorno ,in silenzio e in ginocchio chiedano perdono a Willy con tutto il loro cuore,
in silenzio...a terra ,accanto all'ultimo respiro di quel giovane buono e senza colpa...
Con i loro cuori...vicini a quel respiro ultimo,si compirà il cammino .Il pentimento.
Io lo spero.
 
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